lunedì 5 ottobre 2009

Napolitano e i giorni del disagio


La crisi della politica non è, non può essere, la crisi delle istituzioni e delle autorità di garanzia, e tra queste la presidenza della Repubblica, verso le quali occorre il necessario rispetto». Ecco ciò che diceva Giorgio Napolitano il 25 giugno scorso, tra un sussulto e l’altro dello scontro tra governo e opposizione.

Scontro le cui scosse mi­nacciavano ormai anche il Quirinale. Esortava, insom­ma, a tenere ben distinti il pia­no della politica e quello del­le istituzioni. Da sabato sta sperimentan­do di persona come l’argine che chiedeva di preservare, «per la tutela della stessa de­mocrazia », sia stato sfonda­to. E scopre con amarezza che, davanti alla campagna d’insulti e di «mistificazione costituzionale» — così la defi­niscono sul Colle — lanciata da Di Pietro, il maggiore parti­to del centrosinistra, il Pd, af­fronta la nuova rincorsa di ve­leni con atteggiamenti impac­ciati, esitanti e deboli. Con il pericolo di far prevalere una tendenza movimentista e di consegnare alla piazza (una piazza per molti aspetti disin­formata) qualsiasi tipo di pro­testa e, al limite, persino ogni futura iniziativa politica. Per tutto questo, più che ir­ritato — e lo è, molto — è pre­occupato, preoccupatissimo, il presidente della Repubbli­ca. Dopo intermittenti provo­cazioni, quasi sempre lasciate cadere, da parte di Di Pietro, del blogger e attore di satira Grillo o del giornalista Trava­glio o dell’ex magistrato (ora europarlamentare) De Magi­stris, la firma allo scudo fisca­le ha rinfocolato le polemi­che. Portandole su livelli di intimidazione inaccettabili, per Napolitano. Il quale, an­che in un’analisi retrospetti­va che gli è facile fare grazie al suo lungo cursus honorum nella politica e nelle istituzio­ni, stenta a trovare preceden­ti paragonabili a quanto gli ca­pita. Caso Cossiga a parte, per troppi aspetti comunque di­verso.

Stavolta, infatti, c’è un par­tito, l’Italia dei valori, che ha scelto il capo dello Stato co­me bersaglio, accusandolo di aver compiuto un «atto di vil­tà e di abdicazione» ai propri doveri (senza contare le fol­cloristiche ingiurie escogitate per infiammare le platee, ad esempio la battuta su «Pon­zio pelato»). Un partito che può già agitare alla stregua di una clava politica le oltre 80 mila firme contro la promul­gazione raccolte da Il fatto quotidiano . Un partito che forse agisce in questo modo secondo la strategia di allar­garsi così nell’area antigover­nativa e domani, chissà, ege­monizzarla. Un partito che fa leva sulla visceralità di una certa opinione pubblica, pronta a appellarsi ogni matti­na al Quirinale, ma con poca voglia di capire. E c’è poi, nelle allarmate va­lutazioni del Presidente, un altro partito dello stesso ver­sante, il Pd, che sembra esser­si mosso più all’attacco di Di Pietro che in difesa del capo dello Stato. Non per nulla, tranne qualche condanna più esplicita (come quelle di Enri­co Letta e Rutelli), in questa battaglia si è attivato un po’ in ritardo. Quasi con timidez­za e disagio. Mostrando le proprie divisioni. Mentre in­vece, come dimostra la conta­bilità del voto alla Camera, avrebbe magari potuto aggiu­dicarsi la partita sullo scudo fiscale semplicemente assicu­rando la presenza di tutti i suoi deputati in Aula. Un at­teggiamento che, per quanto giustificabile con il trapasso interno, rischia di appiattirsi su certe astratte speranze che circolano nell’opposizione. Cioè che il governo cada con una manifestazione di piazza (come succedeva nella Prima Repubblica).

O per un crollo nervoso del premier, incalza­to da gossip che hanno fatto il giro del mondo. O, ancora, con un generico appello al­l’Europa. Com’è ovvio, non è questa la strada per mandare a casa un esecutivo. Come non lo è quella di chiedere al capo del­lo Stato di violare l’articolo 74 della Costituzione, che gli impone di promulgare le leg­gi dopo averle attentamente valutate. Cosa che Napolitano ha fatto. Verificando che la legge non riassumeva amni­stie mascherate (il condono vi era già contenuto), che non avrebbe inciso sui pro­cessi in corso e che contem­plava anzi una serie di miglio­rie suggerite con il metodo della moral suasion.

Marzio Breda

5 ottobre 2009

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