lunedì 5 ottobre 2009

Il potere di veto che il Quirinale non ha


Di fronte alle polemi­che, anche assai dure e talora scomposte, ai limiti del lessico vilipendioso, che hanno accompagnato la promulgazione — da parte del presidente Napolitano — della legge di conversione del decreto relativo allo «scudo fiscale», è opportuno stabilire qualche elementare punto fermo, ad evitare il moltiplicarsi degli equivoci.

Anche perché si ha la sensazio­ne che molte di tali polemiche muovano da cattiva informazio­ne, con riferimento altresì ai pote­ri ed alle prerogative spettanti in materia al capo dello Stato. Prescindendo qui dai molti ri­lievi critici, in chiave di immorali­tà politica, che possono rivolgersi alle scelte trasfuse nel suddetto decreto legge (soprattutto a cau­sa del messaggio mortificante di cui sono destinatari, in questa co­me in altre analoghe occasioni, i cittadini rispettosi delle leggi), un primo punto da chiarire ri­guarda la posizione costituziona­le del presidente della Repubbli­ca di fronte ad una legge già ap­provata dal Parlamento. In ipote­si del genere, infatti, al presiden­te non spetta alcun potere di «ve­to » circa la promulgazione della legge, ma soltanto il potere di re­stituirla alle Camere per una nuo­va deliberazione — nei casi di ma­nifesta incostituzionalità — sulla scorta di un proprio «messaggio motivato», fermo restando co­munque il suo dovere di promul­garla, ove la stessa legge venga nuovamente approvata. Nel nostro caso il presidente Napolitano, non potendo entrare nel merito delle scelte parlamen­tari, non ha ritenuto di esercitare il suddetto potere di restituzione alle Camere (ciò che avrebbe de­terminato, tra l’altro, la decaden­za del decreto legge ormai conver­tito, a sua volta «correttivo» di un precedente decreto, sia pure attra­verso un’innegabile trafila di «anomalie procedurali») per l’as­senza di un evidente profilo di in­costituzionalità delle previsioni che vi sono contenute.

In partico­lare, bisogna convenire che la pur discutibilissima «esclusione della punibilità penale» per numerosi reati di falso e di natura societa­ria, ivi compreso il falso in bilan­cio, in quanto strumentali ai reati tributari coperti dagli effetti dello «scudo» (e sempre che per gli stessi non sia stata ancora eserci­tata l’azione penale), non può qua­lificarsi in senso tecnico come un’«amnistia». E quindi — anche secondo ripetuti insegnamenti della Corte Costituzionale — non avrebbe richiesto la particolare procedura prescritta dalla Costitu­zione per le leggi di amnistia. Per il resto, un altro aspetto sul quale si è fatta molta confusione, riguarda la possibilità che i fatti relativi al rimpatrio ed alla regola­rizzazione dei capitali illecitamen­te detenuti all’estero possano es­sere utilizzati a danno del contri­buente anche in altri procedimen­ti. Al riguardo, mentre la risposta è negativa per quanto concerne i procedimenti civili, amministrati­vi e tributari (salvo che siano già in corso), non ci sono dubbi, inve­ce, in linea con una modifica ispi­rata proprio dalle fondate preoc­cupazioni del Quirinale, circa l’uti­lizzabilità di tali fatti nei procedi­menti penali, già pendenti od an­che non ancora avviati. In analogo ordine di idee va sottolineata, infine, l’infondatez­za dell’interpretazione secondo cui tra gli effetti dell’adesione al­lo «scudo fiscale» vi sarebbe an­che quello di porre nel nulla l’«ob­bligo di segnalazione» cui inter­mediari finanziari, professionisti ed altri operatori sono di regola tenuti quando abbiano sospetti di «operazioni di riciclaggio» o di «finanziamento del terrorismo».

Tale obbligo risulta venuto meno, infatti, soltanto con riferimento ai reati (di falso o societari, in quanto connessi ai reati tributari condonati) per i quali risulta esclusa la punibilità come conse­guenza dello «scudo»; mentre ri­mane fermo in rapporto ad ogni altro reato, per il quale possano sorgere simili sospetti, a comin­ciare ovviamente dal riciclaggio. Anche a questo proposito il Quiri­nale aveva molto insistito, duran­te i lavori preparatori della legge, per evitare incertezze, e sul punto sono stati forniti adeguati chiari­menti sia dal governo, sia dalla Agenzia delle entrate. Non è mol­to, ma si tratta pur sempre di det­tagli, che rendono meno indigeri­bile un provvedimento, per sua natura politicamente poco deco­roso, come lo «scudo fiscale».

Vittorio Grevi
5 ottobre 2009

1 commento:

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

LA 'LEZIONCINA' DI DIRITTO COSTITUZIONALE IMPARTITACI DAL PROF. GREVI DIMOSTRA COME ORMAI IN ITALIA SIAMO ALLA FRUTTA E BENE HA FATTO ANTONIO DI PIETRO AD INSORGERE.
BASTA! NON SE NE PUO' PIU'!
CHIACCHIERE, CHIACCHIERE E ANCORA CHIACCHIERE, MENTRE S.B. FA TUTTO IL SUO COMODO.