Di fronte alle polemiche, anche assai dure e talora scomposte, ai limiti del lessico vilipendioso, che hanno accompagnato la promulgazione — da parte del presidente Napolitano — della legge di conversione del decreto relativo allo «scudo fiscale», è opportuno stabilire qualche elementare punto fermo, ad evitare il moltiplicarsi degli equivoci.
Anche perché si ha la sensazione che molte di tali polemiche muovano da cattiva informazione, con riferimento altresì ai poteri ed alle prerogative spettanti in materia al capo dello Stato. Prescindendo qui dai molti rilievi critici, in chiave di immoralità politica, che possono rivolgersi alle scelte trasfuse nel suddetto decreto legge (soprattutto a causa del messaggio mortificante di cui sono destinatari, in questa come in altre analoghe occasioni, i cittadini rispettosi delle leggi), un primo punto da chiarire riguarda la posizione costituzionale del presidente della Repubblica di fronte ad una legge già approvata dal Parlamento. In ipotesi del genere, infatti, al presidente non spetta alcun potere di «veto » circa la promulgazione della legge, ma soltanto il potere di restituirla alle Camere per una nuova deliberazione — nei casi di manifesta incostituzionalità — sulla scorta di un proprio «messaggio motivato», fermo restando comunque il suo dovere di promulgarla, ove la stessa legge venga nuovamente approvata. Nel nostro caso il presidente Napolitano, non potendo entrare nel merito delle scelte parlamentari, non ha ritenuto di esercitare il suddetto potere di restituzione alle Camere (ciò che avrebbe determinato, tra l’altro, la decadenza del decreto legge ormai convertito, a sua volta «correttivo» di un precedente decreto, sia pure attraverso un’innegabile trafila di «anomalie procedurali») per l’assenza di un evidente profilo di incostituzionalità delle previsioni che vi sono contenute.
In particolare, bisogna convenire che la pur discutibilissima «esclusione della punibilità penale» per numerosi reati di falso e di natura societaria, ivi compreso il falso in bilancio, in quanto strumentali ai reati tributari coperti dagli effetti dello «scudo» (e sempre che per gli stessi non sia stata ancora esercitata l’azione penale), non può qualificarsi in senso tecnico come un’«amnistia». E quindi — anche secondo ripetuti insegnamenti della Corte Costituzionale — non avrebbe richiesto la particolare procedura prescritta dalla Costituzione per le leggi di amnistia. Per il resto, un altro aspetto sul quale si è fatta molta confusione, riguarda la possibilità che i fatti relativi al rimpatrio ed alla regolarizzazione dei capitali illecitamente detenuti all’estero possano essere utilizzati a danno del contribuente anche in altri procedimenti. Al riguardo, mentre la risposta è negativa per quanto concerne i procedimenti civili, amministrativi e tributari (salvo che siano già in corso), non ci sono dubbi, invece, in linea con una modifica ispirata proprio dalle fondate preoccupazioni del Quirinale, circa l’utilizzabilità di tali fatti nei procedimenti penali, già pendenti od anche non ancora avviati. In analogo ordine di idee va sottolineata, infine, l’infondatezza dell’interpretazione secondo cui tra gli effetti dell’adesione allo «scudo fiscale» vi sarebbe anche quello di porre nel nulla l’«obbligo di segnalazione» cui intermediari finanziari, professionisti ed altri operatori sono di regola tenuti quando abbiano sospetti di «operazioni di riciclaggio» o di «finanziamento del terrorismo».
Tale obbligo risulta venuto meno, infatti, soltanto con riferimento ai reati (di falso o societari, in quanto connessi ai reati tributari condonati) per i quali risulta esclusa la punibilità come conseguenza dello «scudo»; mentre rimane fermo in rapporto ad ogni altro reato, per il quale possano sorgere simili sospetti, a cominciare ovviamente dal riciclaggio. Anche a questo proposito il Quirinale aveva molto insistito, durante i lavori preparatori della legge, per evitare incertezze, e sul punto sono stati forniti adeguati chiarimenti sia dal governo, sia dalla Agenzia delle entrate. Non è molto, ma si tratta pur sempre di dettagli, che rendono meno indigeribile un provvedimento, per sua natura politicamente poco decoroso, come lo «scudo fiscale».
Vittorio Grevi
5 ottobre 2009
1 commento:
LA 'LEZIONCINA' DI DIRITTO COSTITUZIONALE IMPARTITACI DAL PROF. GREVI DIMOSTRA COME ORMAI IN ITALIA SIAMO ALLA FRUTTA E BENE HA FATTO ANTONIO DI PIETRO AD INSORGERE.
BASTA! NON SE NE PUO' PIU'!
CHIACCHIERE, CHIACCHIERE E ANCORA CHIACCHIERE, MENTRE S.B. FA TUTTO IL SUO COMODO.
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