sabato 24 ottobre 2009

Riforma contro la giustizia


24/10/2009
CARLO FEDERICO GROSSO


Dopo alcuni mesi di stallo sembra che le riforme progettate dal governo in materia di giustizia subiranno, di qui a poco, una grande accelerazione. Stando alle recenti dichiarazioni del presidente del Consiglio parrebbe, anzi, che presto vi saranno ulteriori novità. Si vorrebbe affrontare rapidamente anche il tema della riforma costituzionale della giustizia.

Che la giustizia italiana debba essere riformata costituisce quasi un luogo comune. Chiunque frequenta i tribunali è costretto a fare ogni giorno i conti con le disfunzioni: processi rinviati a causa delle omesse notifiche, tempi eccessivi fra una udienza e l’altra, processi che non si celebrano perché un giudice trasferito non è stato tempestivamente sostituito, processi che saltano a causa del riscontro tardivo di situazioni di incompatibilità. Per tacere dei casi, non frequenti ma comunque riscontrabili, di sciatteria, di prepotenza, di inaccettabile gestione burocratica del servizio.

Costituisce pertanto esigenza prioritaria predisporre una riforma in grado di restituire efficienza alla macchina arrugginita: una riforma che tocchi alcuni profili della legislazione penale, che incida sui meccanismi dell’organizzazione giudiziaria, che sia caratterizzata da interventi coordinati diretti a rimuovere le cause principali del cattivo funzionamento. Di fronte a quest’esigenza, le riforme pendenti in Parlamento e quelle che sono state ulteriormente prospettate in questi ultimi giorni lasciano peraltro insoddisfatti.

Preoccupano, innanzitutto, le modalità del dibattito politico. Nei mesi che hanno preceduto la sentenza della Corte Costituzionale sul «Lodo Alfano», nessun politico di maggioranza ha più parlato di riforma della giustizia: non si voleva, probabilmente, alimentare discussioni nell’imminenza di una decisione giudiziaria molto importante per il premier. Quando si è avuta la notizia della clamorosa bocciatura, la polemica è invece riesplosa con violenza. Con un palese atteggiamento punitivo, si è gridato che entro dicembre le riforme pendenti in Parlamento devono essere approvate e che entro l’anno devono essere anche impostate le riforme costituzionali. Fra le priorità: separazione delle carriere, trasformazione dell’ufficio del pubblico ministero, spaccatura in due del Csm, riforma dei criteri di selezione dei giudici costituzionali.

Ma preoccupano, soprattutto, molti contenuti delle riforme progettate. Faccio alcuni esempi. Approvare la riforma delle intercettazioni nel testo votato dalla Camera, che subordina il loro impiego all’acquisizione di gravi indizi di colpevolezza e circoscrive la loro durata, significherebbe ridurre la possibilità di utilizzare con efficacia tale importante strumento di investigazione. Approvare la parte della riforma del processo penale in forza della quale si sottrae la polizia giudiziaria al controllo diretto del pubblico ministero, rischierebbe di indebolire ulteriormente l’incisività delle indagini. Consentire di citare i testimoni senza possibilità di controllo da parte del giudice, significherebbe concedere agli avvocati di allungare a dismisura i tempi dei processi attraverso la presentazione di liste di testi strumentalmente gonfiate.

Si pensi, d’altronde, a cosa accadrebbe se dovessero essere introdotte misure volte a consentire a ministri e parlamentari di opporre senza ritegno impegni politici alla celebrazione dei processi. O se, per preservare comunque il premier, si ritenesse di accorciare oltre misura i tempi della prescrizione anche nei confronti di reati gravi come la corruzione. Ben altre dovrebbero essere, come è evidente, le riforme della giustizia penale nell’interesse dei cittadini.

Quanto alle riforme costituzionali, per ora soltanto minacciate, per esprimere giudizi occorre ovviamente attendere la loro specifica formulazione. Già ora è, comunque, possibile procedere ad alcune considerazioni di metodo. Le proposte di cui si è sentito parlare nei giorni scorsi hanno una chiave di lettura comune: si vuole indebolire il potere giudiziario sul presupposto che la magistratura sarebbe progressivamente diventata una forza senza controlli nel panorama dei poteri dello Stato. Essa, si sostiene, ha acquistato nel tempo un peso esorbitante, ha prevaricato le sue funzioni, è diventata, nei fatti, una scheggia che è necessario riequilibrare.
Il problema non è di poco conto. Talune preoccupazioni possono anche avere un certo fondamento. Poiché una società democratica non può comunque rinunciare ai capisaldi dello Stato di diritto, preoccupa che una questione di tanta delicatezza sia affrontata nella concitazione di un momento di difficoltà del premier, con il rischio di soluzioni punitive elaborate al solo scopo di assicurare coperture ed immunità a politici che hanno commesso reati.

In astratto l’antidoto potrebbe essere un progetto di riforma costituzionale sul quale convergano maggioranza e opposizione. Il presidente del Consiglio, nei giorni scorsi, ha tuttavia già dichiarato che le riforme che verranno progettate dalla sua parte politica si faranno comunque, anche contro l’eventuale parere delle minoranze. In questa prospettiva la notizia, battuta ieri dalle agenzie, secondo cui la «Consulta Giustizia del Pdl» avrebbe chiesto, invece, di cercare soluzioni concordate, muovendo dal progetto elaborato a suo tempo dalla commissione Bicamerale presieduta da D’Alema, fa soltanto sorridere. A parte il fatto che, come si ricorderà, tale progetto non era condiviso da una parte consistente di coloro che fanno oggi parte della minoranza politica che dovrebbe concordare.

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