mercoledì 4 novembre 2009

1976, Alcamo: due carabinieri uccisi Cinque condanne. Nessun colpevole


NUOVA INCHIESTA DOPO LE RIVELAZIONI DI UN APPUNTATO
di Vincenzo Vasile


Cucchi torturato e ucciso, la Blefari suicida… Frutti avvelenati di un sistema-killer, o di singole mele marce (che non mettono in discussione, per intenderci, la fedeltà democratica degli apparati, e in particolare dell’Arma). Forse si tratta solo di analogie. O forse c’è un filo che unisce tutto. E una storia in particolare. La storia di una strage, che fu catalogata 33 anni fa come l’impresa anomala di un gruppo terroristico sconosciuto, pista che oggi, con la prossima clamorosa revisione del processo, a suo tempo concluso a colpi di ergastoli, si rivela inventata da un gruppo di investigatori con la divisa dei Cc. Arma che nella stessa vicenda di cui parliamo figura dalla parte delle vittime, ma anche in quella degli anomali giustizieri. 26 gennaio 1976, c’è una casermetta ad Alcamo Marina, frazione balneare di Alcamo, solitamente presa d’assalto dai turisti d’estate, e deserta d’inverno, sulla strada statale tra Palermo e Trapani. In quella casermetta - che ora non si vede più, inglobata in una villetta residenziale - due giovani stanno dormendo.
Il carabiniere Carmine Apuzzo, 19 anni, originario di Castellammare di Stabia, è stato assegnato solo da un anno da queste parti. E’ un inverno freddo e piovoso. L’appuntato Salvatore Falcetta, 35 anni, siciliano, originario di Castelvetrano, invece, attende da un giorno all’altro il trasferimento da Alcamo per avvicinarsi a casa con ansia, per una grave malattia che ha colpito la madre di settantotto anni. L’unica cosa certa è che Carmine Apuzzo e Salvatore Falcetta quella notte vengono ammazzati. Nel sonno. O quasi, perché Falcetta, occhi socchiusi e braccia aperte, lo trovano sanguinante e senza vita a terra, tra il letto e il muro: si è alzato perché ha sentito un rumore, e ha tentato di nascondersi? E’ caduto lì per terra quando è stato colpito? Apuzzo nella stanzetta a fianco è riverso sanguinante su un’altra brandina. Colpi in testa e al petto. Un’esecuzione. Duplice. Efferata. Sono sparite armi e divise d’ordinanza. Ci sono i segni della fiamma ossidrica nella serratura squagliata e divelta: vabbè che pioveva e tuonava, ma come mai i due giovani non si sono svegliati?
Alcune ore dopo il ritrovamento, quando la notizia ha già occupato i telegiornali, un gruppo terroristico sconosciuto - il Nucleo Sicilia armata - diffonde un messaggio: “La giustizia della classe lavoratrice ha fatto sentire la sua presenza con la condanna eseguita alle 1.55 ad Alcamo Marina”, dice una voce priva di inflessioni al centralinista de “la Sicilia”, quotidiano di Catania. Nel registratore rimangono incise queste parole: “Il popolo e i lavoratori faranno ancora giustizia di tutti servi, carabinieri in testa, che difendono lo stato borghese. Il bottone, ripeto il bottone perso da uno dei componenti del nostro commando armato che ha operato ad Alcamo Marina è una traccia inutile perché l’abbiamo preso da una giacca tempo addietro a Orbetello. Carabinieri e polizia fanno meglio a difendersi e a dedicare le loro energie ad altro.
Fanno meglio a difendersi assieme ai loro padroni fascisti e americani. Sentirete ancora molto presto parlare di noi. Possiamo agire ad Alcamo, a Roma, ovunque”. Invece, non se ne sentirà più parlare del Nucleo Sicilia Armata. Ma quel bottone lasciato per terra assieme ad altre decine di bottoni contenuti in una scatoletta dei due militari e sparsi sulla scena del delitto, è il segno che chi ha rivendicato l’agguato c’è stato lì dentro, o vuol far crederlo. Perché tante stranezze? Che continuano. Qualche settimana dopo, a un posto di blocco dei carabinieri viene fermato un giovane che si chiama Giuseppe Vesco che in paese chiamano “Pino u pazzo”. Vesco sta guidando un’auto rubata, senza targhe e fanali, ha una pistola e un’altra gli viene trovata a casa.
Una della pistole ritrovate è “compatibile” con la strage.
L’altra ha i numeri di matricola cancellati con un trapano, potrebbe essere una di quelle sottratte nel blitz alla caserma. Vesco nega dapprima di sapere alcunché. Certuni gli hanno dato qualche soldo per consegnare le armi a qualcuno che l’attendeva sulla spiaggia.
Vesco in verità fu torturato. Lo rivela nella prossima puntata di “Blunotte”, la trasmissione di Carlo Lucarelli in onda su Raitre venerdì prossimo alle 21.10, uno dei carabinieri che partecipò all’interrogatorio, l’ex brigadiere Renato Olino.
Ci racconta: “Vesco venne spogliato nudo e messo sopra due casse in uso ai carabinieri fino a un’altezza di 70, 80 centimetri, con le mani e i piedi legati, con la testa reclinata all’indietro”, e così fu indotto “a confessare. Gli si faceva capire che si poteva andare oltre per convincerlo, lui non riconosceva la sua responsabilità. A quel punto gli venne messo un imbuto di ferro in bocca e furono travasate ingenti quantità di acqua diluita con forte quantità di sale, ai limiti dell’annegamento. In un momento di pausa io feci presente al responsabile che ero in disaccordo con questo metodo che non avrebbe portato a nulla, al massimo avremmo potuto avere nomi di persone innocenti che sarebbero state chiamate in causa da Vesco con il solo obiettivo di sospendere le torture. Mi fu risposto: ‘poi ce lo vedremo girare per strada mentre lui ha ucciso due carabinieri’. Io ebbi l’impressione che tra i torturatori c’era anche un medico che controllava il polso, la pressione e decideva se proseguire o meno… poi usarono la corrente elettrica applicata ai genitali con la batteria di un telefono da campo a manovella, ogni giro una scarica: era un reperto della Seconda guerra mondiale”. Tra un processo e l’altro Vesco, mutilato a una mano, troverà modo misteriosamente di impiccarsi con un lenzuolo alla grata della cella. Gli altri di cui ha fatto i nomi come i suoi complici (seppure poi ha ritrattato), anche loro torturati, subiscono un’odissea di condanne dopo un iter giudiziario complicato. Ergastolo per il bottaio Giovanni Mandalà, che avrebbe aperto la porta della caserma con la fiamma ossidrica e custodito le armi, ergastolo a Giuseppe Gulotta, che avrebbe sparato, 20 anni a Gaetano Santangelo, che avrebbe sparato anche lui ma è minorenne, e 20 anni anche a Vincenzo Ferrantelli, che ha rubato armi e divise anche lui minorenne. Mandalà è deceduto di morte naturale, Santangelo e Ferrantelli, tra un appello e l’altro, si sono rifugiati in un paese del Sudamerica che non ha accordi di estradizione con l’Italia.
Il brigadiere Olino s’è presentato l’anno scorso davanti al magistrato e ha rivelato che furono mandati in galera degli innocenti, dopo sevizie di cui ancora si vergogna e a cui ha rifiutato di partecipare. Gulotta ha chiesto e ottenuto la revisione del processo (che si riapre tra qualche mese a Reggio Calabria, e sarebbe un fatto clamoroso, visto che ha passato ventitré anni all’ergastolo e solo da due anni è in libertà vigilata, ma nessuno stranamente ne parla). Gulotta ci racconta: “A mezzanotte entrano una decina di carabinieri. Subito mi legano alla sedia e iniziano a picchiarmi. Mi contestano che io sarei stato quello che ha ucciso i carabinieri ad Alcamo Marina, io rimango stupito. Dico che non so nulla, che non sono stato io e ancora botte, minacce di farmi chissà che se io non avessi confessato, mi hanno sputato in faccia, puntato la pistola, strizzato i genitali. Tutta la notte, fin quando nella mattinata mi sono sentito male e sono svenuto. Siccome dovevo rispondere sempre sì, ho risposto sì. Svengo, rinvengo, decido di dire tutto quello che vogliono, basta che smettono. Anche al momento della firma un carabiniere sottovoce mi dice che se non firmavo chissà cosa ancora mi avrebbero fatto. All’entrata in carcere mi chiedono perché ho i segni in viso: il carabiniere - pronto - parla prima di me, dice che ero scivolato su una buccia di banana in caserma”. Ora la Procura di Trapani ha scoperto che per rendere vane le denunce delle sevizie da parte dei ragazzi, i carabinieri ritinteggiarono dopo gli interrogatori le pareti della caserma e cambiarono la disposizione dei mobili. Ma sono passati più di trent’anni, e i reati di sequestro di persona e di sevizie sono prescritti. C’è da rifare, però, il processo sul mistero dei due carabinieri uccisi senza un perché.

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