lunedì 23 novembre 2009

CDP LA CASSAFORTE DI TREMONTI


175 miliardi raccolti nel 2008 per i progetti scelti dal ministro
di Rosaria Talarico


Anche il palazzo di via Goito che ospita la Cassa depositi e prestiti è in ristrutturazione. Il restauro della facciata non è però il solo intervento di make up che vede protagonista questa istituzione fondata nel 1850 e che sta per compiere 160 anni. In effetti sarebbe più il caso di parlare di lifting, considerate le modifiche sostanziali alla struttura della Cassa che hanno allargato i settori di sua competenza. Storicamente la sua missione è emettere libretti e buoni fruttiferi (la cosiddetta “gestione separata”) che vengono collocati in esclusiva da Poste Italiane, attraverso una rete di 14 mila sportelli. Agisce inoltre da superbanca per comuni, province e regioni (attraverso la concessione di mutui) grazie proprio alla enorme liquidità garantita dal risparmio postale. E che non siano bruscolini lo dimostrano le cifre: nel 2008 la raccolta tramite risparmio postale è stata di oltre 175 miliardi (+11,4% rispetto a fine 2007). Deve essere partito da questa considerazione anche il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, che ha pensato di utilizzare le cospicue riserve della cassa per finanziare più o meno qualsiasi cosa: dalle grandi infrastrutture alle case popolari. Il nuovo corso impresso alla Cassa – e fortissimamente voluto dal commercialista di Sondrio – prevede un’estensione dell’operatività, attingendo al risparmio postale per finanziare direttamente anche progetti di interesse pubblico. Non solo. Attraverso il sistema bancario potrà anche intervenire a favore delle piccole e medie imprese. Un dinamismo su cui Tremonti punta per rimettere in moto il sistema produttivo e uscire dalla crisi. Una sveglia che squilla dopo un secolo e mezzo per “il gigante addormentato” (come lo stesso Tremonti ha definito la Cassa) e che ha messo in allarme chi paventa un rischio per il risparmio degli italiani. La mira tremontiana sul gruzzolo custodito dalla Cassa ha inoltre instillato in qualcuno il sospetto dell’ennesimo caso di inciucio italico. Come presidente della Cassa è stato infatti chiamato Franco Bassanini, professore di Diritto costituzionale e soprattutto ministro nei governi Prodi, D’Alema e Amato e padre della riforma della Pubblica amministrazione che porta il suo nome. Il suo ruolo in Cdp è in realtà meno operativo di quello dell’amministratore delegato, Massimo Varazzani, incarico che è stato creato appositamente per lui. Varazzani è un fedelissimo di Tremonti (di cui è stato anche consigliere economico): ex funzionario della Banca d’Italia, una lunga permanenza in varie società di Sanpaolo Imi e incarichi di vertice anche in Ferrovie dello Stato ed Enav. Prima della nomina ad amministratore delegato ha fatto parte dell’organismo di vigilanza della Cassa depositi e prestiti mentre in contemporanea sedeva nel consiglio di amministrazione di una società leader nella produzione di mega-yacht. Entrambi da un anno sono in carica al vertice di questo ente che nel 2006 è stato trasformato in una società per azioni: lo Stato possiede il 70% del capitale, mentre il restante 30% è detenuto da 66 fondazioni bancarie (altro delicato ago della bilancia e di equilibri di potere, si tratta in massima parte delle casse di risparmio di tutta Italia, da quella di Mirandola, provincia di Modena a quella di Saluzzo, Cuneo). A dispetto della forma societaria, la contiguità con il pubblico è però anche fisica: basta infatti attraversare la strada per ritrovarsi nel ministero retto da Giulio Tremonti. Il consiglio di amministrazione (composto da sette membri: Francesco Giovannucci, Ettore Gotti Tedeschi, Vittorio Grilli, Nunzio Guglielmino, Fiorenzo Tasso, Luisa Torchia e Gianfranco Viesti) che si riunisce tra gli stucchi del palazzo ottocentesco di via Goito, nei prossimi mesi dovrà trattare diversi dossier, dall’apertura alla finanza internazionale con i fondi di private equity al venture capital da impiegare per sostenere le imprese che si occupano di ricerca, al social housing, un modo più chic per definire la costruzione di case popolari. Certo è che l’allargamento delle funzioni della Cassa pone qualche problema anche agli organismi istituzionalmente chiamati a vigilare sul suo operato. “Una società che ha partecipazioni, che capitalizza le Pmi ha in astratto una componente di rischio” mette in guardia il senatore Giovanni Legnini, membro della Commissione parlamentare di vigilanza sulla Cassa depositi e prestiti “in concreto non ci sono pericoli, dicono i vertici della Cassa. Ora stiamo esaminando le delibere del consiglio di amministrazione e gli atti di indirizzo. Ci sono in ballo otto miliardi di euro che finanzieranno le Pmi attraverso le banche e avendo tutte le garanzie, secondo loro, anche con un accrescimento della redditività. Sull’impostazione non c’è da obiettare, ma ora bisogna vedere quale sarà la gestione. In un incontro che abbiamo avuto qualche giorno fa, il presidente Bassanini ha accolto queste sollecitazioni e l’amministratore delegato dovrà riferire periodicamente”. Un altro capitolo è quello delle partecipazioni detenute dalla Cassa. Il portafoglio azionario di Cdp è composto da società quotate, non quotate e da quote di fondi di private equity. Cdp è proprietaria, tra l’altro, del 10% di Eni, del 17,36% di Enel, del 35% di Poste, del 30% di Terna e del 10,1% di STMicroelectronics N.V. (attraverso la proprietà del 30% della holding). La Corte dei Conti nella relazione appena pubblicata sull’attività di gestione della Cassa nel 2008 afferma che “occorrerà guardarsi da ogni rischio di devianza verso forme di surrettizio ritorno a modelli superati di presenza dello Stato nell’economia dettata da riflessi assistenziali e auspica la soluzione dei problemi e il rispetto dei limiti connessi alla gestione delle partecipazioni trasferite dallo Stato e in particolare della dismissione dell’accresciuta partecipazione in Enel spa entro il prorogato temine del 30 giugno 2010; per le partecipazioni appare, invece, necessaria l’individuazione di una normativa di vigilanza speciale da parte dell’Autorità di vigilanza” per tutelare la Cassa dai rischi di credito. Oriano Giovanelli, altro membro della Commissione di vigilanza, esprime il medesimo concetto: “Bisogna che ci sia un controllo in itinere da parte della commissione di cui faccio parte. Non invadendo i compiti dell’amministratore delegato e del presidente, visto che si tratta di una struttura privatistica, ma minimizzando i rischi che la Cassa si allontani dalla sua funzione di tutela del risparmio postale”. Altra questione spinosa, come mostrano le indagini di alcune procure, è il fatto che la Cassa sia stata la prima istituzione in Italia ad avere il polso della situazione dei derivati negli enti locali, da sud a nord. I comuni si sono avventurati nei meandri della finanza strutturata proprio per estinguere i mutui o rinegoziare i debiti che avevano in essere con la Cassa. Eppure in via Goito nessuno sembra essersi accorto che centinaia di enti locali fossero indaffarati a passare dai tassi fissi e sicuri offerti dalla Cassa a quelli ballerini dei derivati. O perlomeno la comunicazione non è mai arrivata all’esterno, come scrive anche la Corte dei conti: “Sono state frustrate le attese di un massiccio ed efficace impegno di Cdp nella gestione di operazioni finanziarie complesse comportanti per gli stessi enti forti rischi di perdite crescenti nel medio-lungo termine”. La corte tira la giacca direttamente a Giulio Tremonti, mettendo in evidenza “i problemi legati al ruolo di indirizzo vincolante del ministro dell’Economia e delle finanze, che, anzi, per molti versi si accentuano e si moltiplicano paradossalmente proprio nel momento in cui si decide di mobilitare per finalità di ordine imprenditoriale rilevanti risorse finora prevalentemente impiegate per finanziare la gestione di tesoreria dello Stato”. Il risveglio del “gigante addormentato” non potrebbe essere più frenetico.

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