Ormai è una corsa contro il tempo. Manca poco più di un mese al vertice di Copenaghen che dovrebbe sancire la revisione del Protocollo di Kyoto, e il mondo cerca affannosamente strumenti validi per affrontare la lotta contro il cambio climatico. A Barcellona, da ieri mattina, 4000 rappresentanti di quasi 180 paesi giocano le ultime carte nella speranza di trovare un accordo. Impresa difficile, come ha ammesso la ministra danese dell’Energia, Connie Hedegaar, ricordando che “siamo ancora molto lontani da ciò che indica la scienza come un livello accettabile di emissione di gas contaminanti. Il mondo non può più aspettare. Dobbiamo essere più ambiziosi”. In realtà, al momento, gli unici a poter sostenere di avere le carte in regola sono proprio i paesi europei. Alla riunione dei ministri dell’Ambiente dello scorso 21 ottobre, la Ue ha approvato una posizione comune – ratificata dal Consiglio europeo dello scorso fine settimana – che prevede l’impegno a ridurre del 20 per cento entro il 2020 le emissioni di diossido di carbonio (percentuale che potrebbe essere elevata al 30 se anche altri paesi del mondo realizzassero uno sforzo simile), a far sì che le energie pulite rappresentino nei paesi comunitari un quinto del totale e a risparmiare un altro 20 per cento nel consumo energetico. Nonostante l’intesa restano, però, non poche perplessità soprattutto da parte dei paesi dell’Est – che più degli altri hanno subito le gravi conseguenze della crisi economica degli ultimi mesi – sull’entità dell’impegno finanziario che dovrebbe mettere i paesi in via di sviluppo in condizione di ridurre le contaminazioni.
L’Unione europea si è finora limitata a riconoscere che la “fattura” dovrebbe ammontare a cento miliardi di euro l’anno fino al 2020, di cui l’Europa si impegnerebbe a pagare una “quota equa” variabile tra i 2 e i 15 miliardi (una forchetta ancora troppo ampia per capire la reale entità dell’impegno). I dubbi maggiori riguardano però la posizione che assumerà l’amministrazione statunitense di Barack Obama (la cui presenza a Copenaghen non è stata per il momento confermata).
E’ poco probabile che il Senato Usa approvi la legislazione per la riduzione dell’emissione di gas prima del vertice di dicembre. E questa incertezza fa aumentare il timore che anche altri paesi ricchi non siano disposti a fare concessioni significative nel corso delle prossime settimane. In particolare, le resistenze maggiori verrebbero dalle economie emergenti di Cina, India e Brasile che, insieme alla Russia e agli Usa, sono tra i principali responsabili dell’emissione di CO2. “Mosca è pronta ad appoggiare un accordo al prossimo vertice sul clima di Copenaghen a dicembre, a due condizioni: se si terrà conto del potenziale di assorbimento di CO2 delle foreste russe, e se l’accordo verrà firmato da tutti i paesi”, ha fatto sapere ieri il presidente Putin.
“L’orologio è quasi arrivato a zero”, avverte Yvo de Boer, direttore del segretariato dell’Onu per il cambio climatico, invitando i delegati a gettare quantomeno le basi per un accordo quadro. Ma le organizzazioni ecologiste temono che si vada verso un nuovo fallimento. Per questo Greenpeace ha portato fino a Barcellona la sua nave emblematica Rainbow Warrior e ha tappezzato di striscioni di protesta la Sagrada Familia.
1 commento:
SAREBBE BELLO UN CASTIGO DIVINO, UNA MODERNA PIAGA D'EGITTO SELETTIVA, CHE COLPISSE A MORTE TUTTI I FIGLI DI PUTTANA E SOLO QUELLI: NON RESTEREBBERO PIU' DI QUATTRO MILIARDI DI PERSONE VIVE.
NON LO DICO PER ME - CLASSE 1938 - MA PER I PRONIPOTI.
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