sabato 28 novembre 2009

CSM sordo – Le minacce di Spataro.

Lettera aperta alla dott. Lucia Annunziata conduttrice del programma televisivo“In mezz’ora” su Rai 3.


Gentile Dott. Annunziata,
prima di tutto lasci che le dica la ragione che mi spinge a scriverle. Domenica scorsa ero andato a letto per il riposino pomeridiano. Come ogni domenica ho aperto a casaccio la televisione perchè mi conciliasse il sonno. Di solito funziona. Questa volta no. Purtroppo, il caso ha voluto che la prima immagine apparsa sullo schermo fosse quella di Lei che intervistava il procuratore aggiunto di Milano, Dott. Armando Spataro. Poiché di giustizia un po’ ne capisco ho ascoltato tutto il programma. Dopo non sono più riuscito a dormire. Spero comprenda la mia irritazione. Di qui la mia decisione di scriverle.
Non posso certamente commentare tutte le cose ingannevoli e fuorvianti che Spataro ha detto e che Lei ha ascoltato senza obiettare. Accennerò solo ad alcune delle cose da Lui dette ed avanzerò qualche dubbio su altre.
Spataro ha affermato (lo dico in estrema sintesi) che il pubblico ministero italiano, proprio perché è indipendente come un giudice ed è vincolato dal principio di obbligatorietà dell’azione penale, di fatto garantisce l’eguaglianza del cittadino di fronte alla legge. Niente di meno vero. Contrariamente a quello che riteneva il nostro Costituente non è materialmente possibile perseguire tutti i reati e quindi le nostre procure ed i nostri singoli pubblici ministeri (PM) si trovano a dover scegliere loro stessi come e con che approfondimento condurre le indagini nonchè i criteri da seguire nell’esercizio dell’azione penale. Le mie ricerche evidenziano questi fenomeni da oltre 40 anni. Seppur con notevole ritardo, ormai lo ammettono in molti. Implicitamente ma molto chiaramente, persino le circolari e le sentenze disciplinari del CSM. Cosa vuol dire questo? Vuol dire che il principio di obbligatorietà dell’azione penale, lungi dal garantire l’eguaglianza del cittadino di fronte alla legge impedisce invece di introdurre quella regolamentazione e responsabilizzazione delle attività del PM con cui in tutti gli altri paesi democratici si cerca, tra l’altro ma non solo, di dare attuazione concreta al valore dell’eguaglianza del cittadino di fronte alla legge. Sì perché sul piano operativo l’accoppiata tra obbligatorietà dell’azione penale e piena indipendenza del PM, tanto cara a Spataro, non crea solo sofferenza per il valore dell’eguaglianza del cittadino di fronte alla legge. Crea grave sofferenza anche ad altri valori di grande rilievo in democrazia come quello della protezione dei diritti civili nell’ambito processuale, e della attuazione di una coerente, responsabile formulazione delle politiche criminali del Paese nelle forme che sono proprie alle democrazie.
Vengo molto sommariamente al primo aspetto. Sul piano operativo l’accoppiata obbligatorietà dell’azione penale ed indipendenza del PM consente di fatto ai nostri PM di iniziare indagini su ciascuno di noi per reati che più o meno giustificatamene ritiene siano stati commessi, di utilizzare quindi, senza limiti di spesa, tutti i mezzi di indagine che ritiene necessari per provare le sue ipotesi accusatorie. Se dopo anni di indagine e di un eventuale processo si accerta che non vi erano ragioni che giustificassero l’azione del PM, questi non sarà responsabile di alcunché né sotto il profilo patrimoniale né sul piano della valutazione della sua professionalità: come di regola avviene, può legittimamente affermare, con immancabile successo, che non poteva non fare quanto aveva fatto perché vi era stato costretto dal dovere di dare piena attuazione al principio costituzionale dell’obbligatorietà dell’azione penale.. Un principio che quindi trasforma qualsiasi iniziativa del PM, per infondata e discrezionale che sia, in un “atto giuridicamente dovuto”. Che la sua iniziativa abbia causato danni irrimediabili sotto il profilo economico sociale, politico familiare, della salute al cittadino innocente non comporta per lui responsabilità alcuna, così come è assolutamente irresponsabile anche per le spreco di pubblico danaro da lui causato. Sono entrambi cose di cui in altri paesi democratici ci si preoccupa. Ricordo che nel progettare ruolo e funzioni del pubblico ministero inglese il riformatore di quel paese ritenne che regolare e responsabilizzare l’attività del PM fosse necessario perché altrimenti si ha un assetto giudiziario che non solo “è ingiusto per l’accusato ma genera anche inutili sprechi nelle limitate risorse del sistema penale”. Proprio per rafforzare questa esigenza di protezione dei cittadini da processi ingiustificati, nella riforma del PM inglese del 1985 si decise che egli non dovesse fare il poliziotto (come è da noi) ma che dovesse assumere un ruolo “quasi giudiziario” col compito di vagliare le prove fornite nei singoli casi dalla polizia per accertare che esse fossero solide e tali da giustificare un processo. Questo nella convinzione che chi è emotivamente impegnato nelle indagini non sia il più adatto a distinguere indizi da prove.
Non meno rilevante è poi ricordare come il binomio indipendenza del PM e obbligatorietà dell’azione penale (di fatto inattuabile) sottragga un parte molto rilevante delle decisioni in materia di politica ad una regolamentazione e responsabilizzazione nell’ambito del processo democratico. Nel 1977 una commissione di riforma della giustizia penale francese (istituita dal presidente della Repubblica e presieduta dal presidente della Corte di Cassazione) considerò l’ipotesi di adottare il principio di obbligatorietà dell’azione penale e di rendere anche il PM francese indipendente. Questa ipotesi fu scartata partendo dalla constatazione che in nessun paese si possono perseguire tutti i reati. Da questa constatazione venne tratta la necessaria conseguenza che nell’esercizio dell’azione penale il PM compie di necessità, e non può non compiere, scelte discrezionali sia a livello delle indagini che nell’esercizio dell’azione penale, e che tali scelte sono per loro natura scelte di politica criminale. Ritenne quindi che in un sistema democratico e parlamentare quale è quello francese le scelte di politica criminale non potessero essere delegate ad un corpo burocratico privo di legittimazione democratica, ma dovessero invece essere compiute dal governo che ne risponde in parlamento (è un orientamento che accomuna tutti i paesi democratici ad eccezione dell’Italia - anche se non in tutti i paesi democratici il vertice della struttura unitaria e gerarchica del PM è, come in Francia, il Ministro della giustizia).
Su tutte queste cose Lei, dottoressa Annunziata, non ha fatto una sola domanda. Per farlo le sarebbe bastato ricordare quanto detto da un magistrato con cui ho a lungo collaborato, Giovanni Falcone, certamente non meno autorevole di Sapataro. Un magistrato che aveva una solida cultura liberale, una ampia esperienza dei sistemi giudiziari di altri paesi democratici, e l’attitudine a non lasciarsi condizionare nelle sue analisi dei fenomeni empirici da convenienze personali ed ideologie corporative. Ciò gli consentiva di riconoscere quanto anomalo fosse l’assetto del nostro PM e le sofferenze di sistema che ne derivano. Tra le molte citazioni possibili ricordo solo come Falcone si domandasse “come fosse possibile che in un regime liberal democratico quale quello italiano non vi sia ancora una politica giudiziaria, e tutto sia riservato alle decisioni, assolutamente irresponsabili, dei vari uffici di procura e spesso dei singoli sostituti…mi sembra quindi giunto il momento di razionalizzare e coordinare l’attività del pm, finora reso praticamente irresponsabile da una visione feticistica dell’azione penale e dalla mancanza di efficaci controlli della sua attività” (il corsivo è di Falcone).
Per aver detto queste cose, per aver detto che la scarsa professionalità di molti magistrati era causa di inefficienza della nostra giustizia, per aver scritto -quando era direttore generale del Ministero della Giustizia- il testo un decreto legge in cui si faceva un tentativo di dare un più efficiente e responsabile assetto al PM nel settore della criminalità organizzata, Giovanni Falcone pagò un alto prezzo. Dovette subire la diffusa ostilità della magistratura organizzata e dei suoi rappresentanti nel CSM, che per ben due volte bocciarono le sue richieste a dispetto dei suoi evidenti meriti professionali, prima negandogli la funzione di capo dell’ufficio istruzione di Palermo e poi quella di direttore nazionale antimafia (la commissione incarichi direttivi propose un altro magistrato, proposta che non venne mai deliberata dal CSM perché nel frattempo Falcone fu assassinato dalla mafia). Lei, Dottoressa Annunziata, si starà certo domandando: ma che c’entra questo con la mia intervista a Spataro? Purtroppo c’entra. Forse Lei non l’avrà notato, ma quasi alla fine della sua intervista Spataro ha sollevato il dubbio che vi siano magistrati che contribuiscono a scrivere le riforme volute dalla maggioranza. Alla luce di quanto capitato a Falcone e anche ad altri magistrati che non sono stati ligi alle aspettative della corporazione, quella frase di Spataro mi è apparsa come un chiaro avvertimento di stampo…, diciamo intimidatorio. A Lei no?
Molte altre sono le obiezioni che un attento intervistatore avrebbe potuto fare. A Spataro. Questi ha più volte detto, nel corso dell’intervista, che la nostra polizia è la migliore al mondo e che di questo vi è ampio riconoscimento a livello internazionale. Ha però anche detto che è inaccettabile l’iniziativa governativa che attribuisce più autonomia e più poteri investigativi alla polizia. Forse che la nostra polizia è la più brava al mondo solo perché agisce sotto lo stretto controllo e direzione del PM? Perché, poi, dovremmo fidarci di meno delle indagini di una polizia che è la migliore al mondo e fidarci di più di quelle svolte dal poliziotto-PM che delle sue decisioni, per ingiustificate che siano, non risponde a nessuno né sotto il profilo disciplinare ne sotto quello della valutazione di professionalità?
Ascoltando la sua intervista a Spataro mi sembrava di assistere ad una rappresentazione dei fratelli De Rege, anche se non riuscivo a ridere. Lei si è limitata a fare da “spalla” ad uno show personale del procuratore Spataro senza mai sfoderare quella grinta critica che altre volte hanno caratterizzato le sue interviste. Era impreparata? Stava poco bene? Lo ha fatto volutamente per scopi politici?
Questa lettera è gia troppo lunga ma voglio tuttavia aggiungere due cose. La prima, non vorrei che Lei pensasse che io nutra sentimenti aggressivi e astiosi nei confronti di Spataro. Lui ha difeso poteri ed interessi della sua corporazione e, con la Sua attiva collaborazione, lo ha fatto in maniera molto efficace. Chapeau. La seconda è che condivido con Spataro la sfiducia nelle capacità di coloro che si stanno occupando di riforme ordinamentali. Ovviamente io vorrei un assetto giudiziario molto diverso da quello che piace a Spataro. Purtroppo la sfiducia che ho riguardo alle capacità, conoscenze e coraggio di coloro che si stanno occupando di riforme ordinamentali è tale che se mai vi saranno riforme in materia esse saranno di gran lunga più vicine ai desiderata di Spataro che ai miei.
Voglia gradire i miei migliori saluti

Giuseppe Di Federico
www.difederico-giustizia.it

1 commento:

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

Il commento di Roberto Ormanni: "Sono d'accordo su tutto ciò che dice Di Federico e, nel mio piccolo, è quanto ho sempre sostenuto per aver verificato con i miei occhi che è tutto vero.
Ho una sola osservazione da fare: se gli organismi di controllo (consigli giudiziari, consiglio superiore, procuratori, procuratori generali) fossero seriamente riformati così da garantirne il funzionamento non subordinato alle logiche di corrente o, peggio, di corridoio, molte delle irresponsabilità dei pm -e dei giudici - potrebbero essere sanzionate tanto da trasformare la minaccia della sanzione (miracolo!) in un deterrente.
Tuttavia riconosco che non so se sia più facile questa riforma, o quella del pubblico ministero. Ciò che so, però, è che riformando il pubblico ministero risolveremmo solo una parte del problema (se le irresposanbilità continuano ad essere tollerate dagli organi disciplinari in nome del corridoio) e, per giunta, rischiamo di non risolverlo per nulla attenendo, il problema, soprattutto ad una questione "culturale" oltre che di regole. Riformando invece seriamente gli organi di controllo, a lungo termine potremmo sperare di incidere sulla cultura."