È uscito da Regina Coeli e, sotto protezione, ora vive in un luogo segreto, affidato a una comunità per tossicodipendenti. La procura ha deciso di tutelare l'immigrato africano che prima ha udito le urla e poi, dallo spioncino della sua cella, avrebbe assistito al pestaggio di Stefano Cucchi negli interrati del tribunale, mentre il giovane aspettava l'udienza del processo, subito dopo l'arresto e sei giorni prima di morire denutrito, disidratato e con la schiena rotta.
"Anche la magistratura non si fida degli ambienti del carcere", commenta il senatore Stefano Pedica (Idv) che insiste: "Cucchi è stato picchiato a più riprese". Lo dice riferendo il racconto di uno dei due detenuti che hanno passato la notte del 16 ottobre nella cella numero 6 della medicheria di Regina Coeli con Cucchi, che era stato da loro aiutato a scendere da una sedia a rotelle, quando rientrò dalla visita al Fatebenefratelli, e a coricarsi su un fianco, prima che cominciasse a lamentarsi nella notte. "Cucchi", riferisce Pedica, "aveva detto a quel detenuto di essere "stato picchiato dentro e fuori"".
Cosa voleva dire? Quel "dentro" - lo spiegano gli avvisi di garanzia per omicidio preterintenzionale agli agenti penitenziari - sta a indicare il "bunker" del tribunale, luogo dell'aggressione a Cucchi per la quale sono ora accusati Nicola Minichini, Corrado Santantonio e Antonio Domenici. Quel "fuori", invece, resta un giallo: l'altro possibile pestaggio sarebbe avvenuto prima o dopo la permanenza negli interrati del tribunale? "Sta di fatto", commenta Pedica, "che la verità non è ancora completa".
Con l'allontanamento dell'immigrato da Regina Coeli, i pm Francesca Loi e Vincenzo Barba, hanno voluto metterlo al riparo da possibili "pressioni psicologiche che potrebbero fargli ritrattare o cambiare le sue dichiarazioni". Che assumeranno valore di prova in sede di incidente probatorio. "Ma quali botte, quale pestaggio?", si difende Nicola Minichini, con il suo legale Diego Perugini.
"A quel ragazzo abbiamo offerto un caffè e due sigarette. Stava male, abbiamo chiamato il medico. Dopo l'udienza era agitato, ce l'aveva con i carabinieri che l'avevano arrestato. Noi lo abbiamo preso in consegna da loro, poi lo abbiamo affidato alla scorta". "Restano zone d'ombra", per l'avvocato Perugini, "dalle cause della morte di Cucchi al suo ricovero, al credito dato a un presunto supertestimone". Anche i tre medici del reparto carcerario del Pertini, indagati per omicidio colposo, respingono le accuse adombrando l'ipotesi che le fratture non fossero recenti e sostenendo che "una scarsa alimentazione per pochi giorni non causa la morte".
Intanto il capo del dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria, Franco Ionta, ha disposto un'inchiesta amministrativa: "I risultati guideranno i provvedimenti interni. Opereremo nel rispetto della legge e per la tutela del personale impegnato, nella stragrande maggioranza, per la gestione dei carceri con carenze gravi ed emergenze incessanti per l'afflusso crescente di detenuti".
(15 novembre 2009)
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