sabato 14 novembre 2009

FINI, GUERRIGLIA A PALAZZO


La battaglia sul “processo breve” non è ancora finita
E se ne prepara un’altra sul testamento biologico
di Luca Telese


L’ultima notizia è questa. I finiani, alla Camera preparano un emendamento alla legge sul testamento biologico. Un emendamento che sarà firmato dai deputati più vicini al presidente della Camera, come Flavia Perina o Fabio Granata, ma anche da qualcuno che viene da un’altra storia, come Benedetto Della Vedova, e si è avvicinato all’area di influenza dell’ex leader Di An.
Le conseguenze saranno almeno due. La prima, la più immediata, è che se il colpo riesce, la legge votata al Senato dovrà tornare a Palazzo Madama, certificando un atto di formale sfiducia nei confronti di chi – ad esempio Maurizio Gasparri e Gaetano Quagliariello – ha fatto di quella battaglia una bandiera personale e un punto d’onore. La seconda: dopo il conflitto deflagrante tra i due leader antagonisti sul processo breve, una nuova, clamorosa frattura si produrrà dentro il Popolo della libertà e la maggioranza di governo. Una nuova indiretta sfida fra Fini e Silvio Berlusconi.
Vietcong finiani. E dire che solo pochi mesi fa, all’atto di nascita del Pdl, nei giorni del doppio congresso alla Fiera di Roma, molti davano per spacciato Fini. Non ha più un partito, dicevano, non ha più le truppe: fa bei discorsi, ma il Cavaliere se lo è cucinato. Nessuno poteva immaginare che Fini si sarebbe costruito una doppia strategia di combattimento, un po’ vietcong, un po’ leader ieratico, ancorato al suo incarico istituzionale.
Il più importante banco di prova era stato proprio il tema dei diritti civili, quando sul caso Englaro Fini aveva scagliato il suo primo dardo contro il Cavaliere, solidarizzando con Napolitano.
Già fra la primavera e l’estate erano arrivati altri segnali di guerriglia. La Lega prova a far passare la norma dei “medici spia”? Alessandra Mussolini organizza “la carica dei 101” parlamentari per sopprimere la norma.
Lo stesso schema si riproduce sulla scuola. La Lega propone vincoli di iscrizione per i figli dei clandestini, i finiani organizzano le barricate e fanno saltare il provvedimento.
E che dire dello scudo fiscale? Il giorno del voto finale, il testo passa per soli venti voti. Molti degli assenti (e dei deputati in missione), guarda caso, sono vicini al presidente della Camera. Il ministro La Russa, in pieno Transatlantico, mangia la foglia: “Qui bisognerà verificare le assenze!”.
Neomovimentismo. Il caso Englaro segna uno strappo quasi definitivo tra i ministri che vengono da An (tutti schierati con Berlusconi) e il loro ex leader. Ma Fini, con abilità rara è riuscito a cambiare le ruote in corsa, a costruire una nuova classe dirigente.
L’intellettuale di riferimento è un professore universalmente apprezzato come Alessandro Campi. I guerriglieri più spericolati sono la banda di FareFuturo capitanata da Filippo Rossi. Il vascello corsaro da cui partoto i colpi di colubrina è Il Secolo di Flavia Perina e Luciano Lanna. Gli ingegneri in parlamento Italo Bocchino (più istituzionale) e Fabio Granata (totalmente smarcato). E poi, quando, serve, è Fini a dettare le accelerazioni e a scandire il metronomo. Pubblica un libretto azzurro sorprendente (Il futuro delle libertà), incontra le associazioni dei gay nel pieno dell’offensiva omofoba, elogia Il Secolo inaugurando il sito internet, e rivendicando una destra laica e ghibellina. Sta di fatto che domani il giornale di via della Scrofa sparerà un’altra bordata, presentando un intrigante supplemento sui diritti. Titolo, che è tutto un programma: “Il nostro garantismo”. Già. Perchè mentre il Giornale di Feltri lo cannoneggia un giorno sì e l’altro pure, Fini si impegna nel duello con Berlusconi sul testo breve. Mentre i vietcong finiani lavorano ai fianchi il corpaccione pidiellino con la guerriglia, infatti, il leader istituzionale ottiene due risultati importanti: inchiodare il premier ad un accordo, e rendere plateale il dissenso. Chi ci guadagna? Lui ovviamente. Maramaldeggia uno dei parlamentari più arguti del pacchetto di mischia: “Mica veniamo da Publitalia, noi.... Siamo gente che trent’anni fa organizzava un campo hobbit con una penna, una matita e 50 lire. Figurati se ci spaventiamo: il movimentismo è la nostra autobiografia”.
Destra Ghibellina. Già, perchè questo è l’ultimo paradosso del Fini che dà filo da torcere a Berlusconi, l’ultima stupefacente metamorfosi. Nella sua terza vita politica Fini riscopre e raccoglie intorno a se quelli che un tempo erano suoi avversari politici. La Perina e Umberto Croppi (“il Nicolini di An”) erano rautiani. Filippo Rossi e Luciano Lanna (autori del libro cult della post-identità, Fascisti immaginari) hanno ascendenze dirette e indirette con Beppe Niccolai, l’eretico che beffò il comitato centrale missino facendo approvare (con uno strategemma) un documento del comitato centrale del Pci sul lavoro. Campi invece ha una provenienza del tutto laica. Insomma, Fini sta riscoprendo anche la destra ghibellina che per una vita aveva combattuto, da custode del’ortodossia almirantiana. “E condivisibile ma non è credibile”, ha scritto di lui con severità Pietrangelo Buttafuoco. Il che può essere vero. Ma passa in secondo piano, se, come adesso, questo Fini inedito, guerrigliero istituzionale e ghibellino, continua a vincere.

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