lunedì 30 novembre 2009

Guerra civile nel Pdl Feltri non fa prigionieri


BOSSI ATTACCA IL PRESIDENTE DELLA CAMERA SULL’IMMIGRAZIONE
di Luca Telese


Il Giornale scrive su di lui, e gli attribuisce parole di fuoco: “Berlusconi è morto. Morto. Lo capite? A maggio sarà questo, l’assetto politico”. Gianfranco Fini smentisce in maniera lapidaria: “Quelle frasi sul presidente del Consiglio non le ho mai dette e non corrispondono ai miei pensieri”. Certo, per ora è una guerra di carta, a mezzo stampa. Però è definitivamente guerra, tra Silvio Berlusconi e il presidente della Camera. Un conflitto che ogni giorno produce un vero e proprio bollettino di guerra, morti e feriti. Una guerra di posizione dove le trincee contrapposte si scambiano continue incursioni.
Ormai inizia ad essere storia: dapprima fu la fronda, alla maniera francese, fatta di distinguo e staccate. Poi è venuto il tempo della guerriglia, che ha forgiato i vietcong finiani, e ha collaudato le contraeree, i killeraggi e le rappresaglie dei pasdaràn del premier. Adesso è arrivato il tempo della battaglia in campo aperto. Fini è il nuovo nemico dichiarato del leader del Popolo, le buone maniere e le apparenze sono state archiviate, e dunque Fini è diventato l’oggetto primario delle attenzioni del Giornale di Vittorio Feltri che, anche quando da le notizie, lo fa in modo da mettere nell’angolo il presidente della Camera, entrando nel vivo del contenzioso. Da giorni il quotidiano di Feltri e di Alessandro Sallusti aveva cannoneggiato duro: prima un ritratto al vetriolo di Italo Bocchino, proconsole di Fini nel gruppo parlamentare. Poi una raffica di stoccate contro Fabio Granata, il centravanti della squadra presidenziale. Quindi un ritratto di carta vetrata per Flavia Perina, la direttrice del Secolo, punta di diamante del team. In mezzo, un vero e proprio avvertissment per via editoriale: attento Fini, perché potrebbe uscire fuori qualcosa che riguarda te o un dirigente a te vicino. Ieri un altro affondo, con un lungo ed informato retroscena del corsivista Roberto Scafuri che aveva un doppio effetto pratico: costringere Fini a smentire, o (nel caso contrario) uscire allo scoperto come antagonista dichiarato del premier. Basta un piccolo florilegio delle frasi riportate per capire il tenore dell’articolo. Secondo quanto riferisce Scafuri, Fini non avrebbe più nessuna cautela quando parla del suo (ex) alleato con i dirigenti che gli sono più vicini: “I rapporti tra noi sono inesistenti. In un momento del genere qualsiasi ostacolo è in grado di abbatterlo”. E poi, delineando una scenario di rottura: “Se si arriva al voto – sostiene Fini secondo il Giornale - vedrete quanti ci seguiranno. Quando Schifani ha minacciato le urne Berlusconi ha fatto una conta veloce. La retromarcia nasce dal fatto che non aveva i numeri”. Stoccata finale: “Io non mi metto a fare il servo, non sono mica uno Schifani o un Gasparri”.
Dato che il presidente della Camera ha già querelato Il Giornale per gli articoli precedenti, un retroscena così dirompente non poteva essere trascurato. Ed ecco che nel pomeriggio arriva la nota del portavoce. Come se non mancasse, sempre il quotidiano di via Negri dava amplificazione a qualche dissidente di An rispetto alla linea dell’ex leader della Destra italiana. Amedeo Laboccetta attacca dalle colonne del Giornale Italo Bocchino e Fabio Granata: “I veri amici di Fini - sono quelli che non cercano visibilità, quelli che quotidianamente si impegnano affinché l’accoppiata tra Berlusconi e il suo naturale successore non si sfasci”. Granata ribatte persino via sms, facendo arrivare la sua replica sul telefonino dei cronisti prima ancora che sulle agenzie: “Ho l’impressione che Laboccetta sia nervoso per lo stop a Cosentino. E comunque se parlare di legalità, trasparenza e buona politica per qualcuno significa ‘ricercare visibilità’ stiamo in una deriva pericolosa e allo stesso tempo significativa”. Sullo sfondo restano i nodi cruciali: il processo breve con il tira e molla tra i due leader. I dissensi sempre più radicali sulle questioni civili con le dichiarazioni di Fini sul caso Englaro (“Avrei fatto come lui”) che contraddicono in tutto e per tutto la linea seguita dal governo, e la linea di rottura sull’immigrazione. Proprio sulla cittadinanza, ieri Fini ha ribadito le sue posizioni: “La grande sfida dell’integrazione deve essere vinta attraverso un programma di estensione della cittadinanza sociale e di quella politica”. Scelta evidentemente non casuale, mentre dall’altra parte si affrettava a smentire il Giornale. E anche Umberto Bossi, da Vicenza è tornato ad attaccare il presidente della Camera: “Fini dice le sue idee ma che sono bocciate dal suo partito... ha detto che non darà mai il voto agli immigrati. E penso che in nessun paese si darà il voto agli immigrati: chi non e' cittadino non può votare, punto”.
È difficile capire per quanto tempo la trincea dei finiani potrà resiste a questa impressionante successione di attacchi concentrici.

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