sabato 14 novembre 2009

Il capitano Ultimo senza scorta dai Carabinieri 120 volontari


di FRANCESCO VIVIANO


Sono 120. Centoventi carabinieri del nucleo scorte di Palermo che, fuori dal servizio, con auto proprie e in borghese, si sono messi a disposizione per proteggere il loro "capitano", quel capitano Ultimo che il 15 gennaio del 1993 arrestò il capo dei capi di Cosa nostra, Totò Riina, dopo oltre trent'anni di latitanza. Quell'uomo, all'anagrafe Sergio De Caprio, pochi mesi dopo quel clamoroso arresto, fu condannato a morte da Bernardo Provenzano, Leoluca Bagarella, Totò Cancemi e Raffaele Ganci, tutti boss componenti della cupola mafiosa e allora latitanti. Per alcuni mesi l'ufficiale fu scortato, poi fu abbandonato e trasferito al Nucleo operativo ecologico di Roma. E quando, nei giorni scorsi, si è appreso che Ultimo è rimasto senza protezione, centoventi carabinieri del Nucleo scorte di Palermo hanno preso la loro decisione: a turno accompagneranno l'ufficiale quando dovrà intervenire nei processi contro la mafia.

La "tutela" al capitano Ultimo verrà esercitata in forma volontaria e con auto private, quando i carabinieri saranno liberi dal servizio. Lo ha annunciato il Cocer, il sindacato dei carabinieri. "Questi - ha sottolineato - sono gesti che uniscono, in un momento particolare per l'Arma". I rapporti tra Ultimo e i carabinieri, negli ultimi anni, non sono stati dei migliori. Nel maggio del 2000 Sergio De Caprio aveva denunciato alla Procura di Caltanissetta alcuni vertici dell'Arma.
Rimasto solo, abbandonato, "usato" e poi scaricato da tutti e trasferito al Noe, l'ufficiale aveva denunciato "condotte omissive e arbitrarie di uno o più appartenenti alla Benemerita" accusandoli "di avere agito, direttamente o indirettamente, nell'interesse dell'associazione mafiosa e in particolare dell'area riconducibile al latitante Provenzano Bernardo". Ai procuratori di Caltanissetta aveva anche indicato il nome del colonnello Marcello Mazzuca, capo dell'Ufficio operazioni del Comando generale: aveva preso alcune decisioni che avevano messo in pericolo l'incolumità del capitano Ultimo.

L'ufficiale temeva (e teme ancora) per la sua vita e per quella dei suoi familiari. Il "cacciatore di mafiosi" si lamentava perché aveva chiesto all'allora generale Sabato Palazzo di avere a disposizione due auto veloci ma non blindate e quattro militari del suo ex nucleo, così come era abituato fin dal 1993. Fin da quando il capo dei capi dei Corleonesi Bernardo Provenzano aveva dato un ordine a tutti gli uomini d'onore: "sequestrare e uccidere il carabiniere che aveva osato mettere le mani addosso a Totò Riina". E dopo quell'arresto i capi di Cosa nostra si riunirono proprio per "punire" il capitano Ultimo che aveva avuto l'ardire di sbattere la faccia a terra a Totò Riina al momento dell'arresto. La punizione doveva essere esemplare. "Ultimo - hanno raccontato i pentiti e tra questi Cancemi, che aveva deciso di ucciderlo - doveva essere sequestrato, portato in una prigione della mafia, torturato e poi assassinato, comunicando la sua esecuzione a tutta l'Italia".

Al capitano allora venne rafforzata la scorta, ma dopo alcuni anni il Crimor, il reparto speciale dei Ros comandato da De Caprio, fu di fatto smantellato. L'ufficiale se ne era lamentato con i vertici dell'Arma chiedendo che il suo gruppo, tutti uomini che per anni avevano vissuto senza volto e senza nome, dando la caccia ai latitanti, rischiando la vita e passando mesi e mesi in mezzo alle montagne o mimetizzati nelle città e nei paesi, non fosse smembrato. Invece, i suoi compagni uno dopo l'altro venivano sostituiti. Ultimo, alla fine, chiese e ottenne subito di abbandonare il comando di quel reparto che all'Arma aveva regalato il trofeo principale, Riina. Un arresto che poi provocò polemiche e sfociò in processi perché il covo dove il boss si nascondeva non fu perquisito subito, ma soltanto dopo una ventina di giorni, quando ormai il nascondiglio del capo dei capi era stato "ripulito" e i familiari del superboss erano ritornati indisturbati in taxi a Corleone.

(14 novembre 2009)

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