domenica 29 novembre 2009

L’intoccabilità del pubblico ministero in Italia

28 aprile 2009


L’ex procuratore aggiunto di Torino, Bruno Tinti, ha scritto su LA STAMPA un articolo, “Il PM italiano lo fa meglio”. Un articolo che in termini calcistici si potrebbe definire un autogol per la tesi da lui sostenuta, e cioè quella della superiorità dell’assetto del nostro pubblico ministero rispetto a quello di paesi ove viene eletto o nominato. Per convalidare la sua tesi, Tinti ricorda il caso di un Senatore repubblicano degli Stati Uniti, Ted Stevens, condannato per corruzione e non rieletto a causa di tale condanna. Ricorda anche che dopo la condanna si è scoperto che il pubblico ministero aveva tenuto nascoste prove che avrebbero scagionato il senatore. Tinti trae spunto da questo episodio per decantare il nostro sistema dove, a suo dire, tali episodi non possono accadere per una molteplicità di garanzie istituzionali che caratterizzano il nostro pm: perché in Italia il pm “è un giudice” (voleva dire che appartiene alla stessa carriera del giudice), perché non è un avvocato della polizia “come vorrebbe Berlusconi”, perché non è “politicizzato” in quanto non è nominato, come negli USA, da un’autorità elettiva o direttamente eletto. A differenza degli Stati Uniti il nostro pm, “non ha il compito di far condannare l’imputato”. Tinti ci dice che proprio perché il pm americano ha il compito di far condannare l’imputato è “abbastanza normale” che egli nasconda prove che non “vanno d’accordo con la sua tesi, nasconda qualche documento, cerchi di imbrogliare la difesa” per “vincere”. Un pm italiano, secondo lui, non lo potrebbe fare. E’ quindi incomprensibile, a suo avviso, che si voglia modificare l’assetto del nostro pm dividendo la sua carriera da quella dei giudici, sottraendo a lui la decisione di iniziare le indagini autonomamente, modificando il principio di obbligatorietà dell’azione penale. A suo dire dovremo invece essere tutti ben felici di avere un pm come quelli italiano. Dice infatti testualmente: “non si capisce perché non ci si rallegri di vivere in un Paese in cui esiste una Costituzione che impedisce…..che possa avvenire” quanto si verifica negli USA. Tutto bene se quanto asserito da Tinti fosse vero. Purtroppo non lo è. Faccio solo uno dei molti esempi possibili, scegliendolo tra i più semplici da esporre e documentare.

Tempo fa un nostro pm nascose al giudice del tribunale delle libertà prove decisive per la scarcerazione di un detenuto, che poi venne scarcerato solo 8 mesi dopo. Per aver nascosto al giudice prove a favore di un cittadino innocente che si trovava ingiustamente in carcere subì un processo disciplinare ma non fu condannato (sentenza disciplinare del 1998). Processo penale a suo carico? Neppure a parlarne. Seguita tranquillamente a fare il pm come nulla fosse capitato.

Vediamo cosa è successo invece al pm americano citato da Tinti. Lui ed i suoi cinque colleghi che avevano avuto parte attiva nel caso del senatore americano sono stati licenziati in tronco con provvedimento dell’Attorney General Eric Holder. Non solo, il 7 aprile scorso il giudice cui non erano state presentate le prove a discarico, Emmet Sullivan, ha ritenuto che il comportamento omissivo dei 5 pm avesse recato “offesa alla corte” (contempt of court) e quindi dovessero essere perseguiti anche penalmente. Non ci risulta che il processo sia stato già celebrato (come abbiamo visto si tratta di eventi recentissimi), ma sappiamo per certo che per quel reato si finisce immancabilmente in galera.

Neppure l’accusa di politicizzazione che Tinti muove ai pm federali americani (sono nominati dal Presidente con consenso del Senato) ha nulla a che fare col caso in questione. L’Attorney General che ha licenziato in tronco i pm è stato nominato da un presidente democratico Obama (e confermato all’unanimità dal Senato), mentre il senatore Stevens, ingiustamente accusato, è invece repubblicano.

Tinti non poteva scegliere un caso peggiore per dimostrare che il nostro pm offre maggiori garanzie ai cittadini di quelle dei pm di paesi in cui i giudici vengono nominati o eletti. Mentre lì i PM che pregiudicano gravemente le libertà dei cittadini commettendo gravi scorrettezze nell’esercizio delle loro funzioni lo pagano spesso a carissimo prezzo, da noi questo non avviene neppure nei rari casi in cui le scorrettezze vengono accertate, come è certamente accaduto nell’esempio che abbiamo citato. Di regola da noi non è neppure possibile accertare se vi siano state delle scorrettezze da parte dei pm quando le loro scelte discrezionali nell’iniziare le indagini e nel promuovere l’azione penale risultano, dopo anni, prive di fondamento a livello processuale. Nulla importa se hanno determinato ingiustificate carcerazioni preventive o irreparabili danni alla vita sociale, politica, economica e familiare di cittadini innocenti. I nostri pm non ne portano comunque responsabilità alcuna. Il principio costituzionale dell’obbligatorietà dell’azione trasforma formalmente ogni loro atto discrezionale in un atto dovuto. Verifiche sostanziali sulla opportunità o diligenza delle loro decisioni verrebbe considerata una indebita interferenza nell’attività giudiziaria.
Aggiungo tre postille.

La prima. Prima ancora di condurre le mie indagini sul caso dei pm americani segnalato da Tinti io ero assolutamente sicuro che l’Attorney General (ministro della giustizia e responsabile della pubblica accusa) aveva già provveduto a rimuovere i pm che avevano nascosto le prove. Proprio perché nominato dal Presidente e confermato dal Senato, se non lo avesse fatto si sarebbe dovuto assumere lui, anche di fronte a loro, la responsabilità politica di quanto accaduto. Da noi, come abbiamo visto, responsabilità (e garanzie) di questo tipo non esistono.

La seconda. E’ veramente singolare che tra i difetti del pm americano Tinti annoveri anche quello di essere l’avvocato della polizia. Concordo con Tinti sui pericoli che possono derivare alle libertà del cittadino dal fatto che il pm sposi acriticamente le tesi incriminatorie di chi ha condotto le indagini. Chi conduce le indagini seguendo una tesi accusatoria può infatti essere indotto, anche in buona fede, a scambiare semplici indizi per prove (i riformatori del pm inglese l’hanno definita “la sindrome del cacciatore”). Purtroppo questo pericolo è più presente in Italia che in altri paesi, perché da noi il è il pm che dirige le indagini e può anche iniziarle di sua iniziativa, senza l’intervento della polizia. Sostanzialmente, nella fase delle indagini è lui stesso un poliziotto, ed il fatto di chiamarsi pm non lo rende meno poliziotto. Per giunta a differenza della polizia non risponde ad alcuno delle scelte che compie e dei convincimenti che matura in sede di indagine.

Terza postilla. Conoscendo Tinti da anni. Ha condotto seminari presso il mio istituto ed ha anche collaborato a nostre attività di ricerca con grande competenza. Non dubito che lui abbia esercitato le funzioni di pm uniformandosi al modello ideale da lui coltivato. Concentrato sul suo lavoro non deve avere prestato molta attenzione al il comportamento di altri pm. Neppure nei casi in cui la loro discrezionalità ha avuto effetti che personalmente ritengo positivi per la protezione dei diritti dei cittadini. Ricordo che negli anni di tangentopoli un suo collega mi disse che se la Procura di Torino avesse adottato gli stessi criteri utilizzati dalla Procura di Milano in materia di carcerazione preventiva molti dei dirigenti della Fiat sarebbero ingiustamente finiti in galera (non dico il nome del pm perché sarebbe professionalmente scorretto identificare i miei intervistati).


Giuseppe Di Federico

www.difederico-giustizia.it

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Il curriculum di Di Federico può essere anche lunghissimo. Ma sono totalmente d'accordo con Tinti.

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

Io Pino il tuo brevissimo commento te l'ho pubblicato, ma vorrei sapere da te perchè tu, ed altri, impedite di far vedere chi siete. Il tuo profilo manca totalmente, è inaccessibile.
Avete paura di che?
Se tu vai alla cartella del mio blog intestata nominativamente BRUNO TINTI vedrai quanti articoli io ho pubblicato di questo intelligentissimo, onesto magistrato, che ha lasciato la magistratura per poter esprimere liberamente la propria opinione, senza le pastoie che in qualche modo frenano un magistrato nell'esercizio delle sue funzioni.
Però, non posso accettare acriticamente tutto quello che viene detto e scritto e si deve dar voce ad una opinione dissenziente, perchè questo è il bello della democrazia: la libera informazione.
Anche se io la faccio di rimessa.
In questo caso occorre rileggere attentamente il post che tu hai commentato, per renderti conto che, se fai un uso sereno delle capacità logiche che tu indubbiamente possiedi, non puoi non convenire che la tesi avversa al pensiero di Bruno Tinti è altrettanto valida, rispetto a quanto Bruno Tinti sostiene.
Mi sono determinato a pubblicare un articolo di qualche mese fa, proprio perchè critico, non per pregiudizio, preconcetto, partito preso, ma in base ad argomentazioni logiche che a me sono sembrate inoppugnabili.
Mi sono ripromesso di inviare questo post Bruno Tinti, se riesco a trovare la sua mail, per vedere se intende controdedurre alla controdeduzione di Giuseppe di Federico.
Il curriculum vitae che ho pubblicato serve solo a far capire che è uno studioso di tutto rispetto, che di per sè non serve ad avvalorare le sue argomentazioni.
Queste vanno argomentate nel merito e sempre ne merito confutate, se ne si è capaci.
Altrimenti, una posizione come la tua la si può definire di tipo fideistico, come i misteri della chiesa cattolica, indimostrabili secondo la ragione e da credere per fede.
No, a me così non sta bene.