Nel fine settimana in cui si conclude la cattura dell’intero vertice del clan Russo, al ministro dell’Interno arrivano i messaggi inviati da colleghi della maggioranza ma anche quelli degli esponenti dell’opposizione: «Sulla lotta alla mafia non ci devono essere divisioni e io stesso cito sempre le iniziative positive del governo precedente sul contrasto alla criminalità», risponde Roberto Maroni che gira subito i complimenti «alle forze dell’ordine anche per l’eccezionale coordinamento con la magistratura inquirente».
«I complimenti sono dovuti a questi servitori dello Stato», si schermisce il ministro che spiega anche come lo Stato stia puntando a prosciugare le risorse finanziarie della mafia: «Beni per oltre 5 miliardi sequestrati in poco più di un anno perché con meno soldi a disposizione anche la latitanza dei boss diventa più difficile».
Però in questo fine settimana — insieme all’arresto dei fratelli Pasquale e Salvatore Russo — Maroni ha dovuto digerire anche il video agghiacciante girato a Napoli: immagini terribili trasmesse in tv e pubblicate sui giornali in cui si vede un killer in azione circondato dall’indifferenza dei passanti che scavalcano il cadavere: «Io, quel video non lo avrei trasmesso...».
Perché non trasmettere quel video che poi ha aiutato ad individuare l’identità dei responsabili di un omicidio?
«Io il video l’ho visto in tv. Devo dire che ho un ottimo rapporto personale con il procuratore Lepore, che considero un grandissimo magistrato, ma io non condivido quella sua decisione. Sul piano squisitamente tecnico-investigativo, infatti, la diffusione del video non era necessaria: bastava pubblicare il fotogramma che inquadrava quel soggetto perché, alla fine, la diffusione ha aiutato ma solo nel fermo immagine che viene dopo la parte truculenta. Io, dunque, avrei utilizzato il fotogramma... Comunque avrei sfruttato la foto che era nitida: e forse il soggetto si sarebbe potuto catturare mentre adesso c’è un latitante in più. Sappiamo chi è ma è latitante».
Le immagini del killer in azione a Napoli hanno fatto il giro del mondo.
«Prendo atto della decisione della procura ma spero che non sia necessario ripetere l’esperimento. Sono immagini scioccanti: hanno dato l’idea di una città, Napoli, ben diversa dalla realtà. Purtroppo c’è anche il crimine ma la città è certamente diversa».
E l’indifferenza dei passanti?
«Il coraggio non è un obbligo. Ma è anche inaccettabile che uno scavalchi un cadavere come se non fosse successo niente. L’indifferenza è una fatto altamente negativo perché noi possiamo catturare pure tanti latitanti, e lo stiamo facendo, ma la guerra contro la mafia si vince anche sul piano culturale. Purtroppo, la reazione civile è molto tiepida ma questa è questione che non può risolvere il ministro dell’Interno».
Il «modello Campania» di contrasto alla criminalità verrà esportato?
«Lo schema sperimentato in Campania sta diventando un modello di efficienza nella lotta alla criminalità organizzata. Funziona molto bene a Napoli e a Caserta: più uomini, più militari sul territorio senza però intralciare le indagini perché il rischio era proprio quello di inutili sovrapposizioni. Quindi, tutto questo sarà esportato: in settimana sarò a Bari per concordare anche lì l’applicazione del modello Campania».
Spesso, nella gara per la cattura dei latitanti, non funziona il gioco di squadra tra polizia e carabinieri.
«Forse, in passato, sì. Ma adesso non è più così. C’è un’ottima collaborazione che è stata rafforzata con l’insediamento del nuovo comandante dei carabinieri, il generale Leonardo Gallitelli: è come se le forze dell’ordine fossero sotto un’unica guida pur essendo subordinate a diversi ministeri, come è noto. E non parlo solo di polizia e carabinieri. Adesso con il prefetto Manganelli (direttore del dipartimento della pubblica sicurezza, ndr ) e con il generale Gallitelli c’è una cooperazione di fatto che non ha precedenti. È questione di uomini, non di leggi».
Dopo la morte del detenuto Stefano Cucchi e il suicidio in cella della brigatista Diana Blefari Melazzi, ora si apre un caso carceri nell’agenda del governo?
«Io non credo che ci sia una questione carceri sotto questo profilo. Questo è il suicidio di una persona complessa che aveva appena ricevuto la conferma della sua condanna definitiva e che aveva problemi personali ben noti. Non credo che, in questa sua decisione di suicidarsi, la brigatista sia stata influenzata dal sistema carcerario. Su Cucchi, poi, c’è un’inchiesta in corso ma anche lì penso che il carcere c’entri poco...».
Diana Blefari Melazzi stava collaborando?
«Su questo non posso dire nulla».
Dino Martirano
02 novembre 2009
«I complimenti sono dovuti a questi servitori dello Stato», si schermisce il ministro che spiega anche come lo Stato stia puntando a prosciugare le risorse finanziarie della mafia: «Beni per oltre 5 miliardi sequestrati in poco più di un anno perché con meno soldi a disposizione anche la latitanza dei boss diventa più difficile».
Però in questo fine settimana — insieme all’arresto dei fratelli Pasquale e Salvatore Russo — Maroni ha dovuto digerire anche il video agghiacciante girato a Napoli: immagini terribili trasmesse in tv e pubblicate sui giornali in cui si vede un killer in azione circondato dall’indifferenza dei passanti che scavalcano il cadavere: «Io, quel video non lo avrei trasmesso...».
Perché non trasmettere quel video che poi ha aiutato ad individuare l’identità dei responsabili di un omicidio?
«Io il video l’ho visto in tv. Devo dire che ho un ottimo rapporto personale con il procuratore Lepore, che considero un grandissimo magistrato, ma io non condivido quella sua decisione. Sul piano squisitamente tecnico-investigativo, infatti, la diffusione del video non era necessaria: bastava pubblicare il fotogramma che inquadrava quel soggetto perché, alla fine, la diffusione ha aiutato ma solo nel fermo immagine che viene dopo la parte truculenta. Io, dunque, avrei utilizzato il fotogramma... Comunque avrei sfruttato la foto che era nitida: e forse il soggetto si sarebbe potuto catturare mentre adesso c’è un latitante in più. Sappiamo chi è ma è latitante».
Le immagini del killer in azione a Napoli hanno fatto il giro del mondo.
«Prendo atto della decisione della procura ma spero che non sia necessario ripetere l’esperimento. Sono immagini scioccanti: hanno dato l’idea di una città, Napoli, ben diversa dalla realtà. Purtroppo c’è anche il crimine ma la città è certamente diversa».
E l’indifferenza dei passanti?
«Il coraggio non è un obbligo. Ma è anche inaccettabile che uno scavalchi un cadavere come se non fosse successo niente. L’indifferenza è una fatto altamente negativo perché noi possiamo catturare pure tanti latitanti, e lo stiamo facendo, ma la guerra contro la mafia si vince anche sul piano culturale. Purtroppo, la reazione civile è molto tiepida ma questa è questione che non può risolvere il ministro dell’Interno».
Il «modello Campania» di contrasto alla criminalità verrà esportato?
«Lo schema sperimentato in Campania sta diventando un modello di efficienza nella lotta alla criminalità organizzata. Funziona molto bene a Napoli e a Caserta: più uomini, più militari sul territorio senza però intralciare le indagini perché il rischio era proprio quello di inutili sovrapposizioni. Quindi, tutto questo sarà esportato: in settimana sarò a Bari per concordare anche lì l’applicazione del modello Campania».
Spesso, nella gara per la cattura dei latitanti, non funziona il gioco di squadra tra polizia e carabinieri.
«Forse, in passato, sì. Ma adesso non è più così. C’è un’ottima collaborazione che è stata rafforzata con l’insediamento del nuovo comandante dei carabinieri, il generale Leonardo Gallitelli: è come se le forze dell’ordine fossero sotto un’unica guida pur essendo subordinate a diversi ministeri, come è noto. E non parlo solo di polizia e carabinieri. Adesso con il prefetto Manganelli (direttore del dipartimento della pubblica sicurezza, ndr ) e con il generale Gallitelli c’è una cooperazione di fatto che non ha precedenti. È questione di uomini, non di leggi».
Dopo la morte del detenuto Stefano Cucchi e il suicidio in cella della brigatista Diana Blefari Melazzi, ora si apre un caso carceri nell’agenda del governo?
«Io non credo che ci sia una questione carceri sotto questo profilo. Questo è il suicidio di una persona complessa che aveva appena ricevuto la conferma della sua condanna definitiva e che aveva problemi personali ben noti. Non credo che, in questa sua decisione di suicidarsi, la brigatista sia stata influenzata dal sistema carcerario. Su Cucchi, poi, c’è un’inchiesta in corso ma anche lì penso che il carcere c’entri poco...».
Diana Blefari Melazzi stava collaborando?
«Su questo non posso dire nulla».
Dino Martirano
02 novembre 2009
1 commento:
BRUCIA IL CULETTO, VERO?
NAPOLI UNA CITTA' DIVERSA? MAVALA'!
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