lunedì 2 novembre 2009

Maroni e il video-choc «Un errore mostrarlo» . «Travisa la realtà. Bastava un fotogramma»


Nel fine settimana in cui si conclude la cattura dell’intero vertice del clan Russo, al ministro dell’Interno arriva­no i messaggi inviati da colleghi della mag­gioranza ma anche quelli degli esponenti dell’opposizione: «Sulla lotta alla mafia non ci devono essere divisioni e io stesso cito sempre le iniziative positive del gover­no precedente sul contrasto alla criminali­tà», risponde Roberto Maroni che gira subi­to i complimenti «alle forze dell’ordine an­che per l’eccezionale coordinamento con la magistratura inquirente».

«I complimenti sono dovuti a questi ser­vitori dello Stato», si schermisce il mini­stro che spiega anche come lo Stato stia puntando a prosciugare le risorse finanzia­rie della mafia: «Beni per oltre 5 miliardi se­questrati in poco più di un anno perché con meno soldi a disposizione anche la lati­tanza dei boss diventa più difficile».

Però in questo fine settimana — insie­me all’arresto dei fratelli Pasquale e Salvato­re Russo — Maroni ha dovuto digerire an­che il video agghiacciante girato a Napoli: immagini terribili trasmesse in tv e pubbli­cate sui giornali in cui si vede un killer in azione circondato dall’indifferenza dei pas­santi che scavalcano il cadavere: «Io, quel video non lo avrei trasmesso...».

Perché non trasmettere quel video che poi ha aiutato ad individuare l’identità dei responsabili di un omicidio?
«Io il video l’ho visto in tv. Devo dire che ho un ottimo rapporto personale con il pro­curatore Lepore, che considero un grandis­simo magistrato, ma io non condivido quel­la sua decisione. Sul piano squisitamente tecnico-investigativo, infatti, la diffusione del video non era necessaria: bastava pub­blicare il fotogramma che inquadrava quel soggetto perché, alla fine, la diffusione ha aiutato ma solo nel fermo immagine che viene dopo la parte truculenta. Io, dunque, avrei utilizzato il fotogramma... Comunque avrei sfruttato la foto che era nitida: e forse il soggetto si sarebbe potuto catturare men­tre adesso c’è un latitante in più. Sappiamo chi è ma è latitante».

Le immagini del killer in azione a Napo­li hanno fatto il giro del mondo.
«Prendo atto della decisione della procu­ra ma spero che non sia necessario ripetere l’esperimento. Sono immagini scioccanti: hanno dato l’idea di una città, Napoli, ben diversa dalla realtà. Purtroppo c’è anche il crimine ma la città è certamente diversa».

E l’indifferenza dei passanti?
«Il coraggio non è un obbligo. Ma è an­che inaccettabile che uno scavalchi un cada­vere come se non fosse successo niente. L’indifferenza è una fatto altamente negati­vo perché noi possiamo catturare pure tan­ti latitanti, e lo stiamo facendo, ma la guer­ra contro la mafia si vince anche sul piano culturale. Purtroppo, la reazione civile è molto tiepida ma questa è questione che non può risolvere il ministro dell’Interno».

Il «modello Campania» di contrasto al­la criminalità verrà esportato?
«Lo schema sperimentato in Campania sta diventando un modello di efficienza nel­la lotta alla criminalità organizzata. Funzio­na molto bene a Napoli e a Caserta: più uo­mini, più militari sul territorio senza però intralciare le indagini perché il rischio era proprio quello di inutili sovrapposizioni. Quindi, tutto questo sarà esportato: in setti­mana sarò a Bari per concordare anche lì l’applicazione del modello Campania».

Spesso, nella gara per la cattura dei la­titanti, non funziona il gioco di squadra tra polizia e carabinieri.
«Forse, in passato, sì. Ma adesso non è più così. C’è un’ottima collaborazione che è stata rafforzata con l’insediamento del nuovo comandante dei carabinieri, il gene­rale Leonardo Gallitelli: è come se le forze dell’ordine fossero sotto un’unica guida pur essendo subordinate a diversi ministe­ri, come è noto. E non parlo solo di polizia e carabinieri. Adesso con il prefetto Manga­nelli (direttore del dipartimento della pub­blica sicurezza, ndr ) e con il generale Galli­telli c’è una cooperazione di fatto che non ha precedenti. È questione di uomini, non di leggi».

Dopo la morte del detenuto Stefano Cucchi e il suicidio in cella della brigati­sta Diana Blefari Melazzi, ora si apre un caso carceri nell’agenda del governo?
«Io non credo che ci sia una questione carceri sotto questo profilo. Questo è il sui­cidio di una persona complessa che aveva appena ricevuto la conferma della sua con­danna definitiva e che aveva problemi per­sonali ben noti. Non credo che, in questa sua decisione di suicidarsi, la brigatista sia stata influenzata dal sistema carcerario. Su Cucchi, poi, c’è un’inchiesta in corso ma an­che lì penso che il carcere c’entri poco...».

Diana Blefari Melazzi stava collaboran­do?
«Su questo non posso dire nulla».


Dino Martirano
02 novembre 2009

1 commento:

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

BRUCIA IL CULETTO, VERO?
NAPOLI UNA CITTA' DIVERSA? MAVALA'!