martedì 24 novembre 2009

NAPOLITANO RISPONDE A CIAMPI: USERÒ I MIEI POTERI


Il Presidente emerito aveva chiesto di non firmare la legge sul processo breve
di Vincenzo Vasile


Userò rigorosamente le prerogative presidenziali. Lo dice Napolitano ricevendo ieri sera Schifani. Ufficialmente il Quirinale non ne parla in giro. E Palazzo Madama dice che s’è fatto solamente un rapido cenno al processo breve e che l’incontro è stato positivo. Ma la frase attribuita al capo dello Stato vale sia per la suocera, sia per la nuora. Cioè serve per rivendicare i poteri bistrattati del Quirinale sulla giustizia, e anche per rispondere agli strattonamenti dei giorni scorsi sul voto anticipato. E pure per rispondere alle critiche di un predecessore del calibro di Ciampi.
Corsi e ricorsi tormentano Giorgio Napolitano. Pronunciate da un ex presidente – come Carlo Azeglio Ciampi - che fu attaccato tra il 2003 e il 2004 proprio per aver firmato il lodo Schifani poi annullato dalla Consulta (come la firma in calce al lodo Alfano tante analoghe amarezze ha provocato all’attuale inquilino del Colle), le battute dell’ex capo dello Stato, riportate ieri da Repubblica, fanno ancora più male. Ciampi ha detto, infatti, a proposito dell’ultimo provvedimento ad personam: “Non si promulghi quella legge”. Perché “se una legge non va non si firma” e “non si deve usare come argomento che giustifica sempre e comunque la promulgazione che tanto se il Parlamento riapprova la legge respinta la prima volta il presidente è costretto poi a firmarla (…). La Costituzione prevede espressamente questa prerogativa presidenziale. La si usi”.
Pari pari è il contrappunto alla battuta scambiata qualche settimana addietro con un manifestante a Matera da Napolitano, in uno sfogo. Così al Colle si sono apprestate le contromisure. E si è cercato di far sapere che questa versione accomodante e rassegnata del Napolitano-pensiero non risponde a verità. Al termine dell’incontro con Schifani (richiesto dal presidente del Senato) è proprio il Colle a far filtrare che userà con rigore quelle prerogative, e questa sembra una notizia rilevante. Mentre i chiarimenti di Schifani sulla sortita di tre giorni fa riguardo al voto anticipato, già rimangiata in seguito alla retromarcia di Berlusconi, fanno parte del solito balletto della maggioranza sull’orlo della crisi di nervi. E Napolitano, irritato per essersi trovato tra due o più fuochi, nel merito batte e ribatte ieri mattina in un intervento ufficiale sul tasto del suo ricorrente auspicio di riforme condivise. Stavolta propone anzi un nuovo clima di unità tra politica e istituzioni. Devono “fare sistema”. E bisogna mostrare maggiore coesione e unità sulle “questioni vitali''. Ma molto, anzi moltissimo ne corre fino alla possibilità di una concreta risposta del Parlamento. Questo è un altro discorso, dicono le fonti del Quirinale, che fanno filtrare un amaro scetticismo. Proprio oggi approda, del resto, in commissione il ddl sul processo breve.
Dal Colle si fa osservare – a mezza bocca, perché mai neanche in occasioni precedenti (leggi: punzecchiature di Cossiga) si è commentato le dichiarazioni dei precedenti inquilini - che:
1) Il processo breve è un ddl parlamentare, e quindi non è sottoposto alla controfirma preventiva del capo dello Stato, a differenza delle proposte varate dal Consiglio dei ministri. Figuriamoci se a Napolitano hanno sottoposto in visione, poi, stavolta una sola riga in questa fase di rottura dei telefoni con palazzo Chigi. Perciò nessun giudizio a priori è possibile, ma gli uffici del Quirinale esamineranno via via ciò che eventualmente potrà emergere dal dibattito parlamentare.
2) Che questa discussione è imprevedibile e incasinata, non solo per la dialettica maggioranza – opposizione, ma per effetto delle terribili divisioni interne dall’una e dall’altra parte.
3) Che gli orientamenti che guidano il presidente, seppur nelle generali, sono stati anticipati da Napolitano nel suo messaggio all’associazione magistrati e nell’altro successivo ricolto agli avvocati. C’era scritto che si auspicano sulla giustizia riforme condivise. Ma anche si condannavano eventuali soluzioni frettolose. È possibile leggere in quelle parole un monito contro ennesimi pasticci ad personam?
Sembra essersene convinto in qualche modo anche Antonio Di Pietro, che aveva dato del vigliacco al Presidente, a proposito della firma sul lodo Alfano. Ieri ha annunciato: "Fumerei volentieri un calumet della pace con Napolitano (…). Sul lodo avevo ragione. Ma non bisogna fischiare l’arbitro, piuttosto i giocatori".
L’arbitro non ritiene tuttavia che sia il caso, per ora, di scendere in campo con un “messaggio alle Camere”, più probabilmente userà una delle prossime occasioni pubbliche per dire la sua. Se ne parlerà, però, a metà dicembre, forse con l’incontro al Quirinale con le Alte cariche dello Stato. Cioè quando la vicenda del processo breve e dell’ennesimo tentativo di aggiustamento e violazione delle regole con criteri ad personam avrà avuto il suo approdo parlamentare. E chissà quante novità avranno sperimentato per quella data sia i giocatori, sia l’arbitro della difficile e velenosa partita che si sta giocando tra politica e istituzioni.

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