Anca, ginocchio, spalla: sono oltre un milione gli italiani con un'articolazione sostituita, 180mila i nuovi impianti effettuati ogni anno. L'Italia è ai primi posti in Europa per il numero di protesi d'anca impiantate, circa 100.000 all'anno. Il numero di interventi sull'anca cresce al ritmo del 5 per cento annuo, con una spesa di un miliardo e trecento milioni di euro per operazioni e ricoveri e costi che superano i 500 milioni di euro per la riabilitazione. Grazie ai nuovi materiali, capaci di resistere efficacemente all'usura, aumenta il numero degli interventi in persone giovani: ogni anno 20.000 protesi vengono impiantate in under 65 e 5000 in pazienti con meno di 50 anni. Sono ormai diffuse, soprattutto in Italia, tecniche chirurgiche "dolci", che risparmiano al massimo i tessuti e un paziente su tre riceve mini-protesi, con cui si riduce al minimo la rimozione di materiale osseo. Oltre la metà eseguiti in Lombardia e in Emilia Romagna anche a causa della mobilità sanitaria tra le Regioni. Nel 60 per cento dei casi si tratta di protesi d'anca, ma crescono a ritmo vertiginoso anche le sostituzioni di ginocchio. Questi alcuni dei dati forniti dai massimi esperti riuniti oggi a Milano per il 94° Congresso Nazionale della Società Italiana di Ortopedia e Traumatologia, sul tema revisione delle protesi e mininvasività in ortopedia e traumatologia.
Nel mondo si impiantano un milione e mezzo di protesi d'anca ogni anno, di cui 300.000 negli Stati Uniti; l'Italia è fra i Paesi europei dove si effettua il maggior numero di sostituzioni d'anca. Su circa 700.000 interventi eseguiti ogni anno in Europa, infatti, oltre centomila riguardano il nostro Paese, che è superato soltanto da Germania (250.000) e Francia (130.000) e precede Regno Unito (90.000) e Spagna (70.000). La sostituzione dell'articolazione dell'anca con "pezzi di ricambio" cresce a ritmo costante: il numero di impianti aumenta come detto del 5 per cento ogni anno e quella spesa di un miliardo e trecento milioni di euro corrisponde all'1 per cento del Fondo Sanitario Nazionale. A questa cifra vanno aggiunti quegli oltre 500 milioni di euro spesi per la riabilitazione successiva all'intervento. Nel 65 per cento dei casi la sostituzione dell'anca riguarda le donne, e la percentuale sale al 75 per cento se l'impianto è successivo a una frattura da osteoporosi.
Il "successo" della chirurgia dell'anca dipende soprattutto dall'avvento di nuovi materiali, caratterizzati da un'usura estremamente inferiore rispetto al passato e con prestazioni ottimali che si mantengono a lungo nel tempo. "Le protesi del passato avevano una vita media di circa 15 anni per i pazienti anziani, 8 per i più giovani e attivi - spiega Marco d'Imporzano, Presidente del Congresso Nazionale SIOT e Direttore del Dipartimento di Ortotraumatologia dell'Istituto Ortopedico Gaetano Pini di Milano - I materiali che abbiamo a disposizione oggi possono in teoria arrivare facilmente a 30 anni o perfino oltre. Non esiste ancora la protesi "eterna", ma con i nuovi materiali e gli accoppiamenti più adatti è possibile allungarne la vita in modo impensabile fino a qualche anno fa".
La ceramica, ad esempio, è ormai una certezza nel campo delle protesi d'anca: durissima, oggi è anche molto resistente alla rottura, l'unico difetto temuto dai medici nell'uso di questo materiale. Un recente studio italiano presentato al congresso milanese, condotto in Emilia Romagna su circa 6000 pazienti con protesi d'anca di ceramica impiantate dal 1994 a oggi, ha dimostrato che la rottura è un evento che riguarda ormai 3 casi ogni mille. Ottimi risultati si ottengono anche con il polietilene, materiale d'interfaccia utilizzato da decenni, recentemente migliorato grazie alla tecnologia della reticolazione e al miglioramento dei processi di sterilizzazione.
Le nuove protesi stanno segnando anche una nuova tendenza: garantendo una durata maggiore vengono infatti impiegate sempre più spesso in soggetti giovani. "Non aspettiamo più che la persona sia anziana per intervenire: se la qualità di vita è già notevolmente compromessa - spiega d'Imporzano. Ormai non è raro intervenire su 30 o 40enni e ogni anno sono 20.000 le protesi che vengono impiantate in under 65, 5000 quelle inserite in persone con meno di 50 anni. In questi casi si scelgono soprattutto le protesi in ceramica: i nuovi materiali hanno una bassissima usura e hanno ridotto moltissimo il rischio di rottura, temuto in passato a causa della rigidità della ceramica. Le nuove ceramiche possono perciò garantire una durata e una resistenza superiori, a un costo solo relativamente più alto: si parla di qualche centinaio di euro in più su impianti che di norma costano fra i 3000 e i 4000 euro".
Le protesi del futuro, inoltre, saranno sempre più piccole: la tendenza attuale, infatti, è ridurre al minimo l'asportazione di osso, così da facilitare eventuali futuri reinterventi. Una sperimentazione clinica internazionale, che coinvolge anche l'Italia oltre a Spagna, Germania e Regno Unito e prevede di seguire circa 200 pazienti per 15 anni, è da poco stata avviata per valutare negli anni i risultati ottenibili con le mini-protesi, per il momento utilizzabili solo in un paziente su tre: "Quando ci sono grosse alterazioni anatomiche (malformazioni, displasia congenita, esiti di fratture), infatti, questo approccio è naturalmente impossibile - chiarisce d'Imporzano - Quando è consentito, però, scegliamo sempre di impiantare protesi più piccole eliminando una minima quota di osso. E laddove non sia fattibile, tentiamo comunque la strada della chirurgia conservativa, che risparmia i tessuti molli. L'Italia è in prima linea in questo campo e oggi ovunque si interviene cercando di traumatizzare al minimo muscoli e legamenti. Non si tratta di una chirurgia mininvasiva dal punto di vista estetico che miri a ridurre l'ampiezza della cicatrice, sebbene ormai bastino incisioni di 7-8 centimetri: l'obiettivo è rispettare i tessuti molli attorno all'articolazione così da minimizzare i tempi di recupero".
(8 novembre 2009)
Nel mondo si impiantano un milione e mezzo di protesi d'anca ogni anno, di cui 300.000 negli Stati Uniti; l'Italia è fra i Paesi europei dove si effettua il maggior numero di sostituzioni d'anca. Su circa 700.000 interventi eseguiti ogni anno in Europa, infatti, oltre centomila riguardano il nostro Paese, che è superato soltanto da Germania (250.000) e Francia (130.000) e precede Regno Unito (90.000) e Spagna (70.000). La sostituzione dell'articolazione dell'anca con "pezzi di ricambio" cresce a ritmo costante: il numero di impianti aumenta come detto del 5 per cento ogni anno e quella spesa di un miliardo e trecento milioni di euro corrisponde all'1 per cento del Fondo Sanitario Nazionale. A questa cifra vanno aggiunti quegli oltre 500 milioni di euro spesi per la riabilitazione successiva all'intervento. Nel 65 per cento dei casi la sostituzione dell'anca riguarda le donne, e la percentuale sale al 75 per cento se l'impianto è successivo a una frattura da osteoporosi.
Il "successo" della chirurgia dell'anca dipende soprattutto dall'avvento di nuovi materiali, caratterizzati da un'usura estremamente inferiore rispetto al passato e con prestazioni ottimali che si mantengono a lungo nel tempo. "Le protesi del passato avevano una vita media di circa 15 anni per i pazienti anziani, 8 per i più giovani e attivi - spiega Marco d'Imporzano, Presidente del Congresso Nazionale SIOT e Direttore del Dipartimento di Ortotraumatologia dell'Istituto Ortopedico Gaetano Pini di Milano - I materiali che abbiamo a disposizione oggi possono in teoria arrivare facilmente a 30 anni o perfino oltre. Non esiste ancora la protesi "eterna", ma con i nuovi materiali e gli accoppiamenti più adatti è possibile allungarne la vita in modo impensabile fino a qualche anno fa".
La ceramica, ad esempio, è ormai una certezza nel campo delle protesi d'anca: durissima, oggi è anche molto resistente alla rottura, l'unico difetto temuto dai medici nell'uso di questo materiale. Un recente studio italiano presentato al congresso milanese, condotto in Emilia Romagna su circa 6000 pazienti con protesi d'anca di ceramica impiantate dal 1994 a oggi, ha dimostrato che la rottura è un evento che riguarda ormai 3 casi ogni mille. Ottimi risultati si ottengono anche con il polietilene, materiale d'interfaccia utilizzato da decenni, recentemente migliorato grazie alla tecnologia della reticolazione e al miglioramento dei processi di sterilizzazione.
Le nuove protesi stanno segnando anche una nuova tendenza: garantendo una durata maggiore vengono infatti impiegate sempre più spesso in soggetti giovani. "Non aspettiamo più che la persona sia anziana per intervenire: se la qualità di vita è già notevolmente compromessa - spiega d'Imporzano. Ormai non è raro intervenire su 30 o 40enni e ogni anno sono 20.000 le protesi che vengono impiantate in under 65, 5000 quelle inserite in persone con meno di 50 anni. In questi casi si scelgono soprattutto le protesi in ceramica: i nuovi materiali hanno una bassissima usura e hanno ridotto moltissimo il rischio di rottura, temuto in passato a causa della rigidità della ceramica. Le nuove ceramiche possono perciò garantire una durata e una resistenza superiori, a un costo solo relativamente più alto: si parla di qualche centinaio di euro in più su impianti che di norma costano fra i 3000 e i 4000 euro".
Le protesi del futuro, inoltre, saranno sempre più piccole: la tendenza attuale, infatti, è ridurre al minimo l'asportazione di osso, così da facilitare eventuali futuri reinterventi. Una sperimentazione clinica internazionale, che coinvolge anche l'Italia oltre a Spagna, Germania e Regno Unito e prevede di seguire circa 200 pazienti per 15 anni, è da poco stata avviata per valutare negli anni i risultati ottenibili con le mini-protesi, per il momento utilizzabili solo in un paziente su tre: "Quando ci sono grosse alterazioni anatomiche (malformazioni, displasia congenita, esiti di fratture), infatti, questo approccio è naturalmente impossibile - chiarisce d'Imporzano - Quando è consentito, però, scegliamo sempre di impiantare protesi più piccole eliminando una minima quota di osso. E laddove non sia fattibile, tentiamo comunque la strada della chirurgia conservativa, che risparmia i tessuti molli. L'Italia è in prima linea in questo campo e oggi ovunque si interviene cercando di traumatizzare al minimo muscoli e legamenti. Non si tratta di una chirurgia mininvasiva dal punto di vista estetico che miri a ridurre l'ampiezza della cicatrice, sebbene ormai bastino incisioni di 7-8 centimetri: l'obiettivo è rispettare i tessuti molli attorno all'articolazione così da minimizzare i tempi di recupero".
(8 novembre 2009)
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