Alzi la mano chi conosce esattamente il costo di un litro d'acqua al rubinetto di casa. Costa talmente tanto poco, in media, che neppure è possibile esprimerlo in centesimi di euro: circa un euro per ogni metro cubo, ossia per mille litri. Quindi di cosa si parla quando si parla di un possibile profitto sull'acqua e della sua trasformazione da bene a merce? Tutto nasce dalle indicazioni scaturite dal Wto che suggerivano di far entrare pesantemente i privati nella gestione delle acque pubbliche e dal fatto che, per assicurare i profitti, si garantivano concessioni trentennali, piuttosto lunghe, in teoria, per regimi di libera concorrenza.
Ma come si fa a fare profitto su una merce che costa così poco e di cui c'è disponibilità illimitata?
Questo è più difficile da comprendere, perché sulla Terra ciascun essere umano avrebbe teoricamente disponibili alcune migliaia di litri d'acqua al giorno, una quantità che trova riscontro in quelle delle grandi città italiane: oltre 500 litri per persona a Roma come a Milano.
Il problema è che, mentre in Occidente l'acqua è abbondante e omogeneamente distribuita, nel Sud del mondo è più scarsa e niente affatto distribuita, tanto che nei prossimi 20 anni la quantità media di acqua pro-capite diminuirà rispetto a oggi, contribuendo, fra l'altro, ad aggravare i problemi della fame nel mondo. Ogni anno muoiono oltre 2 milioni di persone per malattie causate dall’acqua inquinata e oltre 650.000 persone sono rimaste vittime, nell’ultimo decennio, degli effetti catastrofici di eventi naturali provocati dalle inondazioni.
Questi sarebbero i veri problemi, ma le multinazionali alla caccia di ogni profitto possibile pensano di violare anche gli elementari principi secondo cui niente dovrebbe essere dato per l'uso dell’aria o dell’acqua, visto che sono illimitate.
La cosa potrebbe cambiare quando le quantità dovessero diminuire a causa dell'incremento demografico e degli usi che se ne fanno? E, anche in questo caso, come si fa a realizzare un profitto decente, oltre che grazie alla lunga concessione? In un solo, solito modo, aumentando le tariffe, senza peraltro alcuna possibilità di migliorare un servizio che è già ridotto all'osso. A meno che non si voglia risparmiare sulle procedure di sicurezza, che devono essere, per le acque potabili, molto maggiori di quelle, già soddisfacenti, delle acque in bottiglia.
Questi sarebbero i veri problemi, ma le multinazionali alla caccia di ogni profitto possibile pensano di violare anche gli elementari principi secondo cui niente dovrebbe essere dato per l'uso dell’aria o dell’acqua, visto che sono illimitate.
La cosa potrebbe cambiare quando le quantità dovessero diminuire a causa dell'incremento demografico e degli usi che se ne fanno? E, anche in questo caso, come si fa a realizzare un profitto decente, oltre che grazie alla lunga concessione? In un solo, solito modo, aumentando le tariffe, senza peraltro alcuna possibilità di migliorare un servizio che è già ridotto all'osso. A meno che non si voglia risparmiare sulle procedure di sicurezza, che devono essere, per le acque potabili, molto maggiori di quelle, già soddisfacenti, delle acque in bottiglia.
L'esperienza pregressa ci dice che questo è proprio quello che succede: incrementi di tariffe e servizi immutati dove subentrano i privati. L’acqua non dovrebbe diventare una merce, così come non dovrebbe diventarlo l'aria, e la cosa era già chiara agli antichi, che le conferivano un carattere sacro e ne garantivano a tutti un uso pubblico. Ma in un capitalismo di guerra anche i pochi beni non ancora alienati sono oggetto di predazione e allora perché non aspettarci presto in vendita l'aria dell’Everest o quella, che so, di Majorca per climatizzare i nostri appartamenti?
Se è vero che il valore dell’acqua non dovrebbe permetterne l'attribuzione di alcun prezzo, è pure vero che un costo per la gestione dell'acqua c'è e dobbiamo pur pagarlo.
Se è vero che il valore dell’acqua non dovrebbe permetterne l'attribuzione di alcun prezzo, è pure vero che un costo per la gestione dell'acqua c'è e dobbiamo pur pagarlo.
L’acqua viene scoperta, canalizzata, addotta, scaricata e depurata: chi paga per tutto questo?
E' giusto che lo faccia il contribuente, se in misura equa, magari anche maggiore rispetto alle attuali tariffe italiane: un tempo quello era il lavoro delle donne di casa, che portavano l'acqua potabile dalle fonti, la servivano, la usavano e la scaricavano.
Oggi le aziende pubbliche municipalizzate svolgono questo lavoro in maniera che sarebbe ingeneroso non definire decoroso, tranne rari casi. Che sia garantita una quantità minima di acqua per persona al giorno, anche gratuitamente (almeno 50 litri) e che il resto si paghi anche più di quanto non si paga attualmente, così si imparerà anche il valore del risparmio dell'acqua, che spesso viene sprecata proprio perché costa troppo poco, soprattutto in agricoltura (la vera fonte degli sprechi mondiali). Ma che le sorgenti restino pubbliche e l'acqua un bene di tutti garantito dallo Stato, come facevano gli antichi e come sarebbe bene non dimenticare.
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