La tenaglia che ha già stritolato Piero Marrazzo si stringe ancora e ora rischia di strozzare qualcun altro. Perché dieci giorni dopo l’arresto dei quattro carabinieri, questa storia che s’è dipanata da luglio a ottobre rimane segnata da troppi punti oscuri. I due momenti cruciali sono l’irruzione nell’appartamento del transessuale Natalie e la commercializzazione del video del governatore. La lettura degli atti sin qui acquisiti (quantomeno quelli che i giudici hanno messo a disposizione delle parti) mostra le contraddizioni — anche su dettagli all’apparenza banali— e le versioni divergenti fornite dai protagonisti. Ma soprattutto evidenzia quanto approfondite debbano essere le verifiche investigative per comprendere se l’iniziale ricatto economico possa essersi trasformato anche in una trappola politica. Nella seconda fase si agitano infatti sulla scena attori che mostrano interesse per il video, ma poi dichiarano di non aver mai avuto l’intenzione di renderlo noto «perché si trattava di immagini impubblicabili ». E allora ci si può domandare come mai abbiano continuato a trattarlo, invece di denunciare che cosa stava accadendo. Si tratta infatti di personaggi di primo piano dell’informazione, della politica e dell’imprenditoria italiana. Dunque è proprio dall’inizio che bisogna ripartire per cercare di individuare i misteri da svelare.
Quattro nella casa
Almeno la data appare ormai fissata: 3 luglio 2009. Marrazzo, Natalie e i due carabinieri che effettuano l’irruzione (Carlo Simeone e Luciano Tagliente) negano che nell’appartamento ci fossero altre persone. Ma su quanto accade forniscono ricostruzioni molto diverse. I militari raccontano di essere entrati perché avvisati dalla loro «fonte» Gianguarino Cafasso che c’era un festino a base di cocaina. E sostengono che fu il presidente, sorpreso in quella situazione imbarazzante, a offrire loro denaro e favori. Marrazzo racconta di essere stato minacciato dai due che volevano soldi in contanti e di aver invece offerto tre assegni «perché avevo paura sia di essere arrestato, sia per la mia incolumità». Ma perché consegnarsi ai ricattatori fornendo loro un elemento così compromettente, tanto più se — come ha verbalizzato — il governatore non si era accorto che qualcuno stava girando un filmino, dunque non sapeva di essere incastrato? È probabile che la trattativa sia stata più complessa, che ci siano state consegne immediate o comunque successive di soldi. Uno dei carabinieri ha detto che il video originale dura 13 minuti confermando il sospetto che mostri molto più di quanto emerso. O, addirittura, che sia stato girato in due fasi diverse: quella dell’irruzione e quella dell’avvenuto pagamento. Due persone che l’hanno visionato sostengono che sul tavolino c’erano molto più dei 5.000 euro di cui ha parlato Marrazzo. «Almeno 15.000 in banconote da 500 euro», concordano il fotografo Max Scarfone e il giornalista Giangavino Sulas.
Nell’ombra della trattativa
L’indagine dovrà stabilire chi abbia girato il video, ma altrettanto e forse più interessante è comprendere quale fosse il fine reale della sua messa in vendita. È accertato che già il 15 luglio, appena dieci giorni dopo l’irruzione, Cafasso contatta due giornaliste di Libero. Il quotidiano all’epoca è diretto da Vittorio Feltri che però dice di non aver mai visto le immagini. Negli stessi giorni i carabinieri (si è aggiunto Nicola Testini) chiedono al collega Antonio Tamburrino di trovare qualcuno che lo compri. Se l’unico obiettivo è fare soldi, non basta tenere in scacco Marrazzo? Lui stesso ha ammesso che «quelli si sono rifatti sotto in seguito, volevano favori». Con il trascorrere del tempo la voce dell’esistenza del filmato si è ormai sparsa, gli stessi militari hanno contattato alcuni imprenditori, «un certo Riccardo con tale Massimo». Ed ecco il primo dettaglio che inquieta. Racconta Tagliente: «Simeone mi disse che quei due agivano per conto di altri». Chi sono questi altri? Ma soprattutto, quale uso può fare un imprenditore di un video tanto imbarazzante, se non utilizzarlo per un ricatto? E chi è davvero quel «Piero Colabianchi che ha case in Sardegna», al quale lo stesso Simeone racconta di essersi rivolto?
Il secondo livello
Mentre i tre carabinieri si muovono, il fotografo Max Scarfone fa salire il livello degli interlocutori affidando il negoziato all’agenzia Photo Masi. Le regole per veicolare materiale delicato le conosce bene, visto che due anni fa fu proprio lui a immortalare Silvio Sircana, il portavoce del governo Prodi, mentre si accostava con la macchina a un transessuale in un viale alberato di Roma. Tentano con il settimanale della Rcs Oggi, ma dopo aver mandato il giornalista Sulas a visionare il video, il direttore Andrea Monti dichiara di non essere interessato. Ben diversa è la procedura con Mondadori, visto che il 5 ottobre Alfonso Signorini ne ottiene una copia. «Non avevo alcuna intenzione di pubblicarlo», dichiara quando la storia diventa nota. Ma, nonostante questo, non ha ritenuto di doverlo restituire a chi lo gestiva in esclusiva. Anzi.
Le visioni private
Ne parla subito con Marina Berlusconi e con lo stesso presidente del Consiglio, al quale lo porta in visione. Poi lo veicola all’interno del gruppo editoriale, ma non solo. Per il 12 ottobre procura un appuntamento al nuovo direttore di Libero Maurizio Belpietro che lo visionerà negli uffici della Photo Masi. Lo stesso accade due giorni dopo — 14 ottobre — con Gianpaolo Angelucci, l’imprenditore della sanità ed editore di Libero e del Riformista. Il diretto interessato smentisce di aver guardato il filmato, ma è Carmen Pizzuti, la titolare dell’agenzia, a rivelare i dettagli di quell’incontro specificando che «Angelucci si mostrò interessato e disse che mi avrebbe dato una risposta entro le 19». Chi mente e perché? Racconta Pizzuti: «Quello stesso 14 ottobre Signorini mi chiamò e mi disse di fermare tutte le trattative perché Panorama era molto interessato e dovevano decidere chi doveva pubblicare tutto». Adesso bisogna capire che cosa accadde nei cinque giorni successivi. Perché il 19 ottobre è lo stesso Berlusconi ad avvisare Marrazzo dell’esistenza del video. Sono trascorse due settimane da quando il suo gruppo editoriale lo ha avuto in consegna. Perché ha aspettato tutto questo tempo? Il presidente del Consiglio ha detto pubblicamente di aver fornito a Marrazzo i contatti per trovare un accordo con l’agenzia. Il governatore racconta un’altra storia: «Silvio Berlusconi mi ha telefonato per comunicarmi di aver saputo che negli ambienti editoriali milanesi girava voce che ci fossero foto compromettenti che mi riguardavano. Io ho subito ripensato all’episodio accaduto nei primi di luglio e ho cercato tramite i miei collaboratori dell’ufficio stampa di saperne di più. È così che mi è stato dato il numero di telefono dell’agenzia che sembrava interessata alla commercializzazione delle presunte foto che mi riguardavano». Pizzuti lo smentisce: «Il 19 ottobre Signorini mi ha telefonato dicendomi che mi avrebbe chiamato Marrazzo perché la cosa, per ovvi motivi, interessava direttamente lui. Infatti il 19 ottobre, tra le 15.00 e le 15.30, mi contattava sul mio cellulare una voce maschile che si presentava come Piero Marrazzo». Se anche fosse riuscito ad acquistare quel materiale, come poteva sperare il Governatore che il segreto fosse mantenuto per sempre? Sono tutte queste domande, tutti i misteri ancora aperti, a dimostrare come siano i risvolti politici ad intrecciarsi con un’inchiesta giudiziaria che potrà accertare la verità soltanto chiarendo le diverse versioni fornite dai protagonisti.
Fiorenza Sarzanini
01 novembre 2009
Quattro nella casa
Almeno la data appare ormai fissata: 3 luglio 2009. Marrazzo, Natalie e i due carabinieri che effettuano l’irruzione (Carlo Simeone e Luciano Tagliente) negano che nell’appartamento ci fossero altre persone. Ma su quanto accade forniscono ricostruzioni molto diverse. I militari raccontano di essere entrati perché avvisati dalla loro «fonte» Gianguarino Cafasso che c’era un festino a base di cocaina. E sostengono che fu il presidente, sorpreso in quella situazione imbarazzante, a offrire loro denaro e favori. Marrazzo racconta di essere stato minacciato dai due che volevano soldi in contanti e di aver invece offerto tre assegni «perché avevo paura sia di essere arrestato, sia per la mia incolumità». Ma perché consegnarsi ai ricattatori fornendo loro un elemento così compromettente, tanto più se — come ha verbalizzato — il governatore non si era accorto che qualcuno stava girando un filmino, dunque non sapeva di essere incastrato? È probabile che la trattativa sia stata più complessa, che ci siano state consegne immediate o comunque successive di soldi. Uno dei carabinieri ha detto che il video originale dura 13 minuti confermando il sospetto che mostri molto più di quanto emerso. O, addirittura, che sia stato girato in due fasi diverse: quella dell’irruzione e quella dell’avvenuto pagamento. Due persone che l’hanno visionato sostengono che sul tavolino c’erano molto più dei 5.000 euro di cui ha parlato Marrazzo. «Almeno 15.000 in banconote da 500 euro», concordano il fotografo Max Scarfone e il giornalista Giangavino Sulas.
Nell’ombra della trattativa
L’indagine dovrà stabilire chi abbia girato il video, ma altrettanto e forse più interessante è comprendere quale fosse il fine reale della sua messa in vendita. È accertato che già il 15 luglio, appena dieci giorni dopo l’irruzione, Cafasso contatta due giornaliste di Libero. Il quotidiano all’epoca è diretto da Vittorio Feltri che però dice di non aver mai visto le immagini. Negli stessi giorni i carabinieri (si è aggiunto Nicola Testini) chiedono al collega Antonio Tamburrino di trovare qualcuno che lo compri. Se l’unico obiettivo è fare soldi, non basta tenere in scacco Marrazzo? Lui stesso ha ammesso che «quelli si sono rifatti sotto in seguito, volevano favori». Con il trascorrere del tempo la voce dell’esistenza del filmato si è ormai sparsa, gli stessi militari hanno contattato alcuni imprenditori, «un certo Riccardo con tale Massimo». Ed ecco il primo dettaglio che inquieta. Racconta Tagliente: «Simeone mi disse che quei due agivano per conto di altri». Chi sono questi altri? Ma soprattutto, quale uso può fare un imprenditore di un video tanto imbarazzante, se non utilizzarlo per un ricatto? E chi è davvero quel «Piero Colabianchi che ha case in Sardegna», al quale lo stesso Simeone racconta di essersi rivolto?
Il secondo livello
Mentre i tre carabinieri si muovono, il fotografo Max Scarfone fa salire il livello degli interlocutori affidando il negoziato all’agenzia Photo Masi. Le regole per veicolare materiale delicato le conosce bene, visto che due anni fa fu proprio lui a immortalare Silvio Sircana, il portavoce del governo Prodi, mentre si accostava con la macchina a un transessuale in un viale alberato di Roma. Tentano con il settimanale della Rcs Oggi, ma dopo aver mandato il giornalista Sulas a visionare il video, il direttore Andrea Monti dichiara di non essere interessato. Ben diversa è la procedura con Mondadori, visto che il 5 ottobre Alfonso Signorini ne ottiene una copia. «Non avevo alcuna intenzione di pubblicarlo», dichiara quando la storia diventa nota. Ma, nonostante questo, non ha ritenuto di doverlo restituire a chi lo gestiva in esclusiva. Anzi.
Le visioni private
Ne parla subito con Marina Berlusconi e con lo stesso presidente del Consiglio, al quale lo porta in visione. Poi lo veicola all’interno del gruppo editoriale, ma non solo. Per il 12 ottobre procura un appuntamento al nuovo direttore di Libero Maurizio Belpietro che lo visionerà negli uffici della Photo Masi. Lo stesso accade due giorni dopo — 14 ottobre — con Gianpaolo Angelucci, l’imprenditore della sanità ed editore di Libero e del Riformista. Il diretto interessato smentisce di aver guardato il filmato, ma è Carmen Pizzuti, la titolare dell’agenzia, a rivelare i dettagli di quell’incontro specificando che «Angelucci si mostrò interessato e disse che mi avrebbe dato una risposta entro le 19». Chi mente e perché? Racconta Pizzuti: «Quello stesso 14 ottobre Signorini mi chiamò e mi disse di fermare tutte le trattative perché Panorama era molto interessato e dovevano decidere chi doveva pubblicare tutto». Adesso bisogna capire che cosa accadde nei cinque giorni successivi. Perché il 19 ottobre è lo stesso Berlusconi ad avvisare Marrazzo dell’esistenza del video. Sono trascorse due settimane da quando il suo gruppo editoriale lo ha avuto in consegna. Perché ha aspettato tutto questo tempo? Il presidente del Consiglio ha detto pubblicamente di aver fornito a Marrazzo i contatti per trovare un accordo con l’agenzia. Il governatore racconta un’altra storia: «Silvio Berlusconi mi ha telefonato per comunicarmi di aver saputo che negli ambienti editoriali milanesi girava voce che ci fossero foto compromettenti che mi riguardavano. Io ho subito ripensato all’episodio accaduto nei primi di luglio e ho cercato tramite i miei collaboratori dell’ufficio stampa di saperne di più. È così che mi è stato dato il numero di telefono dell’agenzia che sembrava interessata alla commercializzazione delle presunte foto che mi riguardavano». Pizzuti lo smentisce: «Il 19 ottobre Signorini mi ha telefonato dicendomi che mi avrebbe chiamato Marrazzo perché la cosa, per ovvi motivi, interessava direttamente lui. Infatti il 19 ottobre, tra le 15.00 e le 15.30, mi contattava sul mio cellulare una voce maschile che si presentava come Piero Marrazzo». Se anche fosse riuscito ad acquistare quel materiale, come poteva sperare il Governatore che il segreto fosse mantenuto per sempre? Sono tutte queste domande, tutti i misteri ancora aperti, a dimostrare come siano i risvolti politici ad intrecciarsi con un’inchiesta giudiziaria che potrà accertare la verità soltanto chiarendo le diverse versioni fornite dai protagonisti.
Fiorenza Sarzanini
01 novembre 2009
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