lunedì 2 novembre 2009

Soldi, bugie e mediatori, tutti i punti oscuri dal blitz alla trattativa


La tenaglia che ha già stritolato Pie­ro Marrazzo si stringe ancora e ora rischia di strozzare qualcun altro. Perché dieci giorni dopo l’arresto dei quattro carabinieri, questa storia che s’è dipanata da luglio a ottobre rimane segnata da troppi punti oscuri. I due momenti cruciali sono l’irruzione nel­l’appartamento del transessuale Natalie e la commercializzazione del video del governato­re. La lettura degli atti sin qui acquisiti (quan­tomeno quelli che i giudici hanno messo a di­sposizione delle parti) mostra le contraddizio­ni — anche su dettagli all’apparenza banali— e le versioni divergenti fornite dai protagoni­sti. Ma soprattutto evidenzia quanto appro­fondite debbano essere le verifiche investigati­ve per comprendere se l’iniziale ricatto econo­mico possa essersi trasformato anche in una trappola politica. Nella seconda fase si agita­no infatti sulla scena attori che mostrano inte­resse per il video, ma poi dichiarano di non aver mai avuto l’intenzione di renderlo noto «perché si trattava di immagini impubblicabi­li ». E allora ci si può domandare come mai ab­biano continuato a trattarlo, invece di denun­ciare che cosa stava accadendo. Si tratta infat­ti di personaggi di primo piano dell’informa­zione, della politica e dell’imprenditoria italia­na. Dunque è proprio dall’inizio che bisogna ripartire per cercare di individuare i misteri da svelare.

Quattro nella casa
Almeno la data appare ormai fissata: 3 lu­glio 2009. Marrazzo, Natalie e i due carabinie­ri che effettuano l’irruzione (Carlo Simeone e Luciano Tagliente) negano che nell’apparta­mento ci fossero altre persone. Ma su quanto accade forniscono ricostruzioni molto diver­se. I militari raccontano di essere entrati per­ché avvisati dalla loro «fonte» Gianguarino Cafasso che c’era un festino a base di cocaina. E sostengono che fu il presidente, sorpreso in quella situazione imbarazzante, a offrire loro denaro e favori. Marrazzo racconta di essere stato minacciato dai due che volevano soldi in contanti e di aver invece offerto tre assegni «perché avevo paura sia di essere arrestato, sia per la mia incolumità». Ma perché conse­gnarsi ai ricattatori fornendo loro un elemen­to così compromettente, tanto più se — come ha verbalizzato — il governatore non si era ac­corto che qualcuno stava girando un filmino, dunque non sapeva di essere incastrato? È pro­babile che la trattativa sia stata più comples­sa, che ci siano state consegne immediate o comunque successive di soldi. Uno dei carabi­nieri ha detto che il video originale dura 13 minuti confermando il sospetto che mostri molto più di quanto emerso. O, addirittura, che sia stato girato in due fasi diverse: quella dell’irruzione e quella dell’avvenuto pagamen­to. Due persone che l’hanno visionato sosten­gono che sul tavolino c’erano molto più dei 5.000 euro di cui ha parlato Marrazzo. «Alme­no 15.000 in banconote da 500 euro», concor­dano il fotografo Max Scarfone e il giornalista Giangavino Sulas.

Nell’ombra della trattativa
L’indagine dovrà stabilire chi abbia girato il video, ma altrettanto e forse più interessante è comprendere quale fosse il fine reale della sua messa in vendita. È accertato che già il 15 luglio, appena dieci giorni dopo l’irruzione, Cafasso contatta due giornaliste di Libero. Il quotidiano all’epoca è diretto da Vittorio Fel­tri che però dice di non aver mai visto le im­magini. Negli stessi giorni i carabinieri (si è aggiunto Nicola Testini) chiedono al collega Antonio Tamburrino di trovare qualcuno che lo compri. Se l’unico obiettivo è fare soldi, non basta tenere in scacco Marrazzo? Lui stes­so ha ammesso che «quelli si sono rifatti sotto in seguito, volevano favori». Con il trascor­rere del tempo la voce dell’esistenza del filma­to si è ormai sparsa, gli stessi militari hanno contattato alcuni imprenditori, «un certo Ric­cardo con tale Massimo». Ed ecco il primo det­taglio che inquieta. Racconta Tagliente: «Sime­one mi disse che quei due agivano per conto di altri». Chi sono questi altri? Ma soprattutto, quale uso può fare un imprenditore di un vi­deo tanto imbarazzante, se non utilizzarlo per un ricatto? E chi è davvero quel «Piero Cola­bianchi che ha case in Sardegna», al quale lo stesso Simeone racconta di essersi rivolto?

Il secondo livello
Mentre i tre carabinieri si muovono, il foto­grafo Max Scarfone fa salire il livello degli in­terlocutori affidando il negoziato all’agenzia Photo Masi. Le regole per veicolare materiale delicato le conosce bene, visto che due anni fa fu proprio lui a immortalare Silvio Sircana, il portavoce del governo Prodi, mentre si acco­stava con la macchina a un transessuale in un viale alberato di Roma. Tentano con il settima­nale della Rcs Oggi, ma dopo aver mandato il giornalista Sulas a visionare il video, il diretto­re Andrea Monti dichiara di non essere inte­ressato. Ben diversa è la procedura con Mon­dadori, visto che il 5 ottobre Alfonso Signori­ni ne ottiene una copia. «Non avevo alcuna in­tenzione di pubblicarlo», dichiara quando la storia diventa nota. Ma, nonostante questo, non ha ritenuto di doverlo restituire a chi lo gestiva in esclusiva. Anzi.

Le visioni private
Ne parla subito con Marina Berlusconi e con lo stesso presidente del Consiglio, al qua­le lo porta in visione. Poi lo veicola all’interno del gruppo editoriale, ma non solo. Per il 12 ottobre procura un appuntamento al nuovo direttore di Libero Maurizio Belpietro che lo visionerà negli uffici della Photo Masi. Lo stes­so accade due giorni dopo — 14 ottobre — con Gianpaolo Angelucci, l’imprenditore del­la sanità ed editore di Libero e del Riformista. Il diretto interessato smentisce di aver guarda­to il filmato, ma è Carmen Pizzuti, la titolare dell’agenzia, a rivelare i dettagli di quell’incon­tro specificando che «Angelucci si mostrò in­teressato e disse che mi avrebbe dato una ri­sposta entro le 19». Chi mente e perché? Rac­conta Pizzuti: «Quello stesso 14 ottobre Signo­rini mi chiamò e mi disse di fermare tutte le trattative perché Panorama era molto interes­sato e dovevano decidere chi doveva pubblica­re tutto». Adesso bisogna capire che cosa ac­cadde nei cinque giorni successivi. Perché il 19 ottobre è lo stesso Berlusconi ad avvisare Marrazzo dell’esistenza del video. Sono tra­scorse due settimane da quando il suo gruppo editoriale lo ha avuto in consegna. Perché ha aspettato tutto questo tempo? Il presidente del Consiglio ha detto pubblicamente di aver fornito a Marrazzo i contatti per trovare un ac­cordo con l’agenzia. Il governatore racconta un’altra storia: «Silvio Berlusconi mi ha telefo­nato per comunicarmi di aver saputo che ne­gli ambienti editoriali milanesi girava voce che ci fossero foto compromettenti che mi ri­guardavano. Io ho subito ripensato all’episo­dio accaduto nei primi di luglio e ho cercato tramite i miei collaboratori dell’ufficio stam­pa di saperne di più. È così che mi è stato dato il numero di telefono dell’agenzia che sembra­va interessata alla commercializzazione delle presunte foto che mi riguardavano». Pizzuti lo smentisce: «Il 19 ottobre Signorini mi ha te­lefonato dicendomi che mi avrebbe chiamato Marrazzo perché la cosa, per ovvi motivi, inte­ressava direttamente lui. Infatti il 19 ottobre, tra le 15.00 e le 15.30, mi contattava sul mio cellulare una voce maschile che si presentava come Piero Marrazzo». Se anche fosse riuscito ad acquistare quel materiale, come poteva spe­rare il Governatore che il segreto fosse mante­nuto per sempre? Sono tutte queste domande, tutti i misteri ancora aperti, a dimostrare come siano i ri­svolti politici ad intrecciarsi con un’inchiesta giudiziaria che potrà accertare la verità soltan­to chiarendo le diverse versioni fornite dai protagonisti.

Fiorenza Sarzanini
01 novembre 2009

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