Caro direttore,
Barbara Spinelli nell’articolo pubblicato ieri su La Stampa critica la mia distinzione, avanzata in una trasmissione televisiva, tra principio democratico e principio di legalità accusandola di «leninismo». Avrei riportato in auge una distinzione tra democrazia sostanziale e democrazia legale.
Nella mia distinzione non c’è nulla di così sgradevole e mi spiace non essere stato sufficientemente chiaro.
Nella vicenda attuale si confondono due diverse questioni: una è relativa al processo in corso nei confronti del presidente del Consiglio e l’altra riguarda i conflitti tra magistratura penale e potere politico.
Sulla prima c’è poco da dire. In regime democratico non può essere approvata una proposta che abbia come fine precipuo quello di paralizzare uno specifico processo penale in corso, fosse anche nei confronti del presidente del Consiglio. E se quella proposta fosse approvata, sarebbe probabilmente incostituzionale, come i cosiddetti lodi Alfano e Schifani.
La seconda questione è più complessa. Nelle democrazie occidentali chi è investito della sovranità popolare (principio democratico) ha uno statuto particolare. Mentre tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge (principio di legalità), gli eletti alle massime cariche dello Stato possono essere esentati dalla responsabilità penale o, in modo assoluto, per determinati reati o, a tempo, sino a quando rivestono una specifica carica politica. E’ la prevalenza del principio democratico sul principio di legalità. La nostra Costituzione, ad esempio, prescrive la non punibilità dei parlamentari per le opinioni espresse, anche diffamatorie, nell’esercizio delle loro funzioni; prescrive, inoltre, la necessità dell’autorizzazione a procedere per arrestare un parlamentare o per processare un ministro accusato di aver commesso reati nell’esercizio delle sue funzioni. In caso di conflitto tra il voto del Parlamento (principio democratico) e la necessità di esercitare l’azione penale (principio di legalità), interviene la Corte Costituzionale.
La magistratura penale occupa una posizione centrale nel sistema politico. Anche per i discutibili criteri di selezione dei parlamentari, sono prevedibili altre occasioni di scontro con i poteri politici nel futuro. Non c’è niente di peggio di un conflitto tra magistratura e politica che non abbia una soluzione istituzionale. Perciò propongo che, in caso di conflitto tra magistratura da un lato e Parlamento o governo dall’altro, la Corte Costituzionale possa essere chiamata a decidere, attraverso una apposita procedura, se debba prevalere il principio di legalità o il principio democratico. Nessun fatalismo del Pd, quindi (è questa la seconda accusa della signora Spinelli). Ma solo il rifiuto di soluzioni ad personam, una responsabile preoccupazione per il deterioramento in corso e una soluzione coerente con i principi costituzionali per i futuri possibili conflitti tra magistratura e politica.
Quel che ho criticato, nel mio articolo del 29-11, è la presunta antinomia tra principio democratico e principio di legalità. L’antinomia non esiste, per il semplice fatto che la democrazia la Costituzione lo prescrive chiaramente nell’articolo 3, si fonda sulla legalità e sull’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. Separare i due principi distrugge sia la democrazia sia la legalità. Il fatto che esistano eccezioni previste dalla Costituzione non invalida la norma, che ai cittadini, soprattutto in un'emissione televisiva dove il tempo di parola è brevissimo, deve esser chiarita in modo più netto di quanto abbia fatto l’on. Violante. Né si può sorvolare sul fatto che l’attuale presidente del Consiglio, volutamente ignorando la Costituzione, abbia separato il principio democratico e il principio di legalità fino al punto di annunciare: anche se fossi condannato, resterei al mio posto perché sono un eletto del popolo.
Quanto al fatalismo: perché dar per scontato che l’unica via sia quella di trovare uno scudo che garantisca l’attuale presidente del Consiglio, e non augurarsi che la classe politica (in particolare la coalizione di centro-destra) prenda finalmente le distanze da un leader sotto processo per corruzione di magistrati, sospettato di altri reati gravi, reso fragile per un conflitto d’interessi che la sinistra quando ha governato non si è mai curata di risolvere? Se Berlusconi venisse sfiduciato, la Costituzione prevede che il Presidente della Repubblica accerti in concreto, facendo votare la fiducia su un altro nome, se in Parlamento esista una maggioranza sulla candidatura da lui designata. Questo per la nostra Costituzione (come del resto per le altre Costituzioni dei regimi parlamentari) non solo è perfettamente legale, ma non lede affatto la democrazia. E’ accaduto e accade in Germania, in Francia, in Inghilterra. Se non c’è la fiducia, il Presidente scioglie le Camere e si va a votare. Chi ritiene altrimenti, dando per scontato che solo un nome sia legittimo per la presidenza del Consiglio, viola con il suo modo di fare la Costituzione. Io ho dato a questo comportamento il nome di fatalismo, o politica della fiaccona, o appeasement ovvero accomodamento. Che nome gli dà l’onorevole Violante?
BARBARA SPINELLI
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