mercoledì 23 dicembre 2009

È STATA UNA TORTURA


La Bernardini rende pubblica l’inchiesta sulla morte di Cucchi: come Guantanamo
di Giampiero Calapà


Mentre la Procura di Roma apre una nuova indagine, i Radicali – rompendo il silenzio della politica – consegnano al Web, attraverso i loro siti, la relazione dell’inchiesta della Direzione generale dei detenuti sulla morte di Stefano Cucchi; raccapricciante la descrizione dei sotterranei del Tribunale di Roma, dove Cucchi è stato trattenuto la mattina del 16: “Una specie di Guantanamo”, denunciano i Radicali, attraverso la Bernardini.
Continuano a susseguirsi i sinistri colpi di scena. La Procura di Roma ha aperto un fascicolo per accertare se Rolando Degli Angioli, il medico di Regina Coeli che visitò Stefano il 16 settembre all’arrivo in carcere, si sia autosospeso in seguito a pressioni e se queste siano collegate con il caso Cucchi. Intanto, due giorni fa i parlamentari della commissione Giustizia della Camera hanno avuto a disposizione il testo integrale dell’inchiesta amministrativa sulla morte del trentunenne, avvenuta a sei giorni dall’arresto. Documento che da ieri si può scaricare integralmente dai siti della galassia radicale, come spiega Rita Bernardini: “Assumendomene completamente la responsabilità ho deciso di pubblicarlo perché ne emerge un quadro raccapricciante: è importante che possa esser letto da tutti i cittadini, che tutti possano capire e farsi un’idea su come funzionano le carceri in Italia”.
Ieri i pm Vincenzo Barba e Maria Francesca Loy hanno raccolto le dichiarazioni di Degli Angioli, sulle quali è posto il massimo riserbo. Il presidente della commissione d’inchiesta sul servizio sanitario nazionale, Ignazio Marino, ha raccontato ai magistrati che Degli Angioli si arrabbiò moltissimo per il ritardo con cui fu disposto il trasferimento di Cucchi in ospedale, dopo aver constatato la gravità delle condizioni di salute e rilevato un concreto pericolo di vita.
La relazione dell’inchiesta amministrativa sul decesso di Cucchi, realizzata per conto di Sebastiano Ardita, responsabile della Direzione generale dei detenuti e del trattamento, è pubblicata in versione integrale sui siti dei Radicali. Per Rita Bernardini “le dichiarazioni fatte all’epoca della conclusione delle indagini da parte del capo del Dap Franco Ionta devono essere oggi riviste alla luce dell’inchiesta scrupolosa di Ardita”. Dalle 348 pagine del documento emerge come “non siano state rispettate – rileva Bernardini – le stesse circolari sulle quali si basa il protocollo per il trattamento dei nuovi arrivati e soprattutto su come comportarsi con persone tossicodipendenti”. Emerge dall’inchiesta un’agghiacciante descrizione del sotterraneo del Tribunale di Roma, dove lo stesso Ardita ha effettuato un sopralluogo. Le celle, di circa 7 metri quadri, per un’altezza inferiore ai tre metri possono “ospitare” anche cinque persone e sono sprovviste di servizi igienici. Gli arrestati devono chiamare gli agenti per chiedere di essere portati in bagno, nell’altra ala della struttura. Le condizioni igieniche, si legge nella relazione, al momento del sopralluogo di Ardita “presentano evidenze di materiale organico ormai essiccato sui muri interni (vomito?) che risultano in parte ingialliti e sporcati con scritte. Sul pavimento negli angoli si rilevano accumuli di sporcizia”. Le stesse celle, ovviamente, non presentano alcuna apertura interna e non consentono nessuna circolazione d’aria né diretta né indiretta. “Alla chiusura corrisponde la relegazione ermetica in ambiente senza passaggio di aria-luce, e con sostanziale impedimento della cosiddetta sorveglianza “a vista”.
In caso di detenzione multipla non vi è possibilità di evitare la condivisione delle condizioni igieniche degli altri occupanti (cattivi odori, sudore, vomito, malattie trasmissibili nell’etere)”. Niente luce, quindi, e nessun arredo, ad eccezione “di due panche con struttura di ferro contrapposte, con spigoli a vista. Cosicché – sommati i tempi dell’arresto – l’arrestato può trovarsi nella condizione di non aver fruito di riposo anche per 24 ore. Ossia dal momento dell’arresto e fino alla traduzione in carcere o alla scarcerazione”. Non è previsto neppure alcun tipo di somministrazione dei pasti, “l’arrestato può trovarsi nella condizione di non aver preso cibo anche per 24 ore”.
Per Ardita “occorre chiedersi se sia ipotizzabile che un soggetto, anche per un tempo brevissimo, possa essere costretto a condividere con altre persone un piccolo ambiente, nelle condizioni igieniche descritte, senza bagno, né aria, né luce diretta, e senza aver mangiato né dormito anche per 24 ore”.

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