La madre di tutte le bugie giornalistiche di guerra è quella del massacro di Timisoara, durante la rivoluzione romena del 1989.
Quattromilaseicentotrentaduevittime, scandì qualcuno, facendo intendere con quel numero così dettagliato che quei poveri corpi erano stati contati a uno a uno.
“La più atroce carneficina della metà del ventesimo secolo”, titolò qualcuno. “Il più grande inganno mondiale dopo l’invenzione della televisione”, commentò successivamente Ignatio Ramonet, di Le Monde Diplomatique. Questi 4632 cadaveri, semplicemente, non erano mai esistiti.
Lo sviluppo della clamorosa bugia è da manuale di scuola di non-giornalismo. La caduta del feroce regime di Ceausescu è l’apertura di prima pagina su tutti i giornali del mondo. C’è una risoluzione in corso, raccontano testimoni lontani, e una repressione selvaggia. La stampa internazionale, bloccata ai confini tra Jugoslavia e Romania, impedita ad usare le gambe, lavora di fantasia.
Un “si dice” raccolto da un giornale rilancia sul giornale concorrente una certezza e un nuovo “si dice”, un particolare dell’orrore, su cui il collega successivo, prendendo per buono quanto scritto dagli altri, aggiungerà di suo.
Una perversa catena di sant’Antonio della bugia verosimile. Nella gara verso l’orrido si cimentano tutte le principali testate mondiali e le migliori “firme”. Lo sputtanamento successivo fu pietosamente sepolto assieme alle 4.632 vittime. La perversione del potere della macchina dell’informazione ti cattura e ti tiene prigioniero. A Timisoara, “carnaio del mondo”, arrivano finalmente i Grandi Inviati, ma di fronte ai loro occhi si erge, filtro insuperabile, l’ostacolo “televisione”, l’immagine di quei tredici corpi dissepolti, mostrati settimane prima da un filmato amatoriale, con i segni di orrende ferite malamente suturate, piccola porzione di un massacro che “doveva esserci stato”.
Il becchino del cimitero di Timisoara provò a spiegare: non ci sono fosse comuni, quei tredici corpi dissepolti e anneriti appartenevano a poveri barboni, sottoposti per legge ad autopsia.
È la verità, ma il potere condizionante della televisione travolge tutto. La confessione più trasparente e sincera di quella Waterloo giornalistica appare quella di Colette Breckman, inviata del francese Le Soir. “A Timisoara non ho trovato nessun carnaio, ma nessuno poteva dimenticare quei corpi orribilmente torturati [...] La televisione aveva fatto vedere tutto ciò e se la tv l’ha mostrato, vuol dire che è vero. Anzi, diventa vero. Allora io, che a Timisoara non avevo visto niente, ho preferito tacere ” ... .
La guerra, nei tempi televisivi, è ormai una semplice categoria di notizia a cui dare o negare spazio. Da qualche parte c’è sempre, ma le notizie dal fronte sono rare. In genere riguardano la guerra più vicina per geografia o interesse politico e polemica interna. In pratica il seguito del pastone politico che sembra sia essenziale.
Guerra parlata di solito, quando episodi particolarmente crudeli obbligano all’esecrazione morale di circostanza, senza troppo insistere sui fatti. Di guerra combattuta se ne vede poca, forse per non turbare le nostre sensibili coscienze, o più probabile, per non disturbare il manovratore. Chiunque esso sia.
Le immagini a volte sono in grado di smentire i racconti di comodo. La guerra come seguito della politica, diceva Clausewitz, e la politica a interferire sull’informazione anche di guerra. C’è la guerra da enfatizzare e quella da nascondere, la guerra di maggioranza e quella di opposizione. La guerra legata agli interessi nazionali, che fa ascolto, e quella dei poveri cristi, riservata ai giornaletti missionari. La dose di guerra consentita noi adulti la consumiamo a colazione sfogliando il quotidiano e, a pranzo e cena, col telegiornale.
I giovani, più inappetenti di stampa e Tg, le guerre spesso le ignorano. E se le conoscono per fortuna le contestano.
Fosse vero che le bugie hanno le gambe corte, guerra e politica del terzo millennio troppe volte striscerebbero a terra, aggrovigliandosi come in un verminaio. Il potere, nelle diverse forme della Storia, ama decidere come raccontarsi: cambiano solo l’aggressività del controllo e la dignità dei narratori.
* giornalista Rai - il testo è un estratto del libro “Niente di vero sul fronte occidentale. Da Omero a Bush la verità sulle bugie di guerra”. Editore Rubbettino
“La più atroce carneficina della metà del ventesimo secolo”, titolò qualcuno. “Il più grande inganno mondiale dopo l’invenzione della televisione”, commentò successivamente Ignatio Ramonet, di Le Monde Diplomatique. Questi 4632 cadaveri, semplicemente, non erano mai esistiti.
Lo sviluppo della clamorosa bugia è da manuale di scuola di non-giornalismo. La caduta del feroce regime di Ceausescu è l’apertura di prima pagina su tutti i giornali del mondo. C’è una risoluzione in corso, raccontano testimoni lontani, e una repressione selvaggia. La stampa internazionale, bloccata ai confini tra Jugoslavia e Romania, impedita ad usare le gambe, lavora di fantasia.
Un “si dice” raccolto da un giornale rilancia sul giornale concorrente una certezza e un nuovo “si dice”, un particolare dell’orrore, su cui il collega successivo, prendendo per buono quanto scritto dagli altri, aggiungerà di suo.
Una perversa catena di sant’Antonio della bugia verosimile. Nella gara verso l’orrido si cimentano tutte le principali testate mondiali e le migliori “firme”. Lo sputtanamento successivo fu pietosamente sepolto assieme alle 4.632 vittime. La perversione del potere della macchina dell’informazione ti cattura e ti tiene prigioniero. A Timisoara, “carnaio del mondo”, arrivano finalmente i Grandi Inviati, ma di fronte ai loro occhi si erge, filtro insuperabile, l’ostacolo “televisione”, l’immagine di quei tredici corpi dissepolti, mostrati settimane prima da un filmato amatoriale, con i segni di orrende ferite malamente suturate, piccola porzione di un massacro che “doveva esserci stato”.
Il becchino del cimitero di Timisoara provò a spiegare: non ci sono fosse comuni, quei tredici corpi dissepolti e anneriti appartenevano a poveri barboni, sottoposti per legge ad autopsia.
È la verità, ma il potere condizionante della televisione travolge tutto. La confessione più trasparente e sincera di quella Waterloo giornalistica appare quella di Colette Breckman, inviata del francese Le Soir. “A Timisoara non ho trovato nessun carnaio, ma nessuno poteva dimenticare quei corpi orribilmente torturati [...] La televisione aveva fatto vedere tutto ciò e se la tv l’ha mostrato, vuol dire che è vero. Anzi, diventa vero. Allora io, che a Timisoara non avevo visto niente, ho preferito tacere ” ... .
La guerra, nei tempi televisivi, è ormai una semplice categoria di notizia a cui dare o negare spazio. Da qualche parte c’è sempre, ma le notizie dal fronte sono rare. In genere riguardano la guerra più vicina per geografia o interesse politico e polemica interna. In pratica il seguito del pastone politico che sembra sia essenziale.
Guerra parlata di solito, quando episodi particolarmente crudeli obbligano all’esecrazione morale di circostanza, senza troppo insistere sui fatti. Di guerra combattuta se ne vede poca, forse per non turbare le nostre sensibili coscienze, o più probabile, per non disturbare il manovratore. Chiunque esso sia.
Le immagini a volte sono in grado di smentire i racconti di comodo. La guerra come seguito della politica, diceva Clausewitz, e la politica a interferire sull’informazione anche di guerra. C’è la guerra da enfatizzare e quella da nascondere, la guerra di maggioranza e quella di opposizione. La guerra legata agli interessi nazionali, che fa ascolto, e quella dei poveri cristi, riservata ai giornaletti missionari. La dose di guerra consentita noi adulti la consumiamo a colazione sfogliando il quotidiano e, a pranzo e cena, col telegiornale.
I giovani, più inappetenti di stampa e Tg, le guerre spesso le ignorano. E se le conoscono per fortuna le contestano.
Fosse vero che le bugie hanno le gambe corte, guerra e politica del terzo millennio troppe volte striscerebbero a terra, aggrovigliandosi come in un verminaio. Il potere, nelle diverse forme della Storia, ama decidere come raccontarsi: cambiano solo l’aggressività del controllo e la dignità dei narratori.
* giornalista Rai - il testo è un estratto del libro “Niente di vero sul fronte occidentale. Da Omero a Bush la verità sulle bugie di guerra”. Editore Rubbettino
2 commenti:
Ciao Luigi,
auguro a te e a tutta la tua famiglia di trascorrere un Natale di serenità e un 2010 ricco d'affetto da vivere con i tuoi bellissimi nipotini
un grande abbraccio
Manu
Grazie! Anche a Te e ai tuoi cari.
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