Con la battuta «Berlusconi confonde il consenso con l ’ i m m u n i t à», Gianfranco Fini, un politico di troppa esperienza per non avere soppesato le parole, ha aperto una «crisi al buio» all’interno del centrodestra. I ricucitori cercheranno di rinviare la definitiva resa dei conti ma sarà, appunto, un rinvio. È la logica conclusione di un crescendo di prese di posizione di Fini che portavano inesorabilmente verso l’ufficializzazione della fine del sodalizio fra lui e Berlusconi. Probabilmente, in questo distacco, ha svolto un ruolo anche un errore di valutazione di Berlusconi. Quando diede vita al Popolo della libertà, Berlusconi non volle capire che fondere Forza Italia e Alleanza Nazionale imponeva anche di accettare una vera dialettica interna. Il Popolo della libertà non poteva essere trattato come Forza Italia (di cui Berlusconi era fondatore e capo carismatico). Nel Popolo della libertà confluiva un personale che aveva una sua storia, un suo retroterra e, soprattutto, entrava (obtorto collo, come si ricorderà) un leader di peso come Fini.
Come può succedere ai capi carismatici, Berlusconi non capì che, a differenza di Forza Italia, il Popolo della libertà non poteva essere solo uno strumento al suo servizio. Ma non c’è dubbio che la fine del sodalizio si deve soprattutto al cambiamento di posizioni politiche di Fini su un amplissimo spettro di questioni. Un cambiamento così radicale che oggi sembrano non esserci più punti di contatto fra ciò che vuole Fini e ciò che vuole il grosso dello schieramento di cui egli fa ancora ufficialmente parte. Fini aveva di fronte a sé, all’indomani delle ultime elezioni, anche una diversa opzione. Poteva impegnarsi (all’ombra del capo) in una sotterranea competizione con Tremonti e altri al fine di assumere il ruolo del delfino, del successore designato. Sia stato un calcolo che gli ha fatto ritenere improbabile quell’esito oppure una maturazione personale che lo ha spinto verso altri orizzonti, resta che Fini ha scelto una diversa strada: la contrapposizione sistematica a Berlusconi e all’alleanza fra Berlusconi e la Lega. Ciò apre due interrogativi, il primo sul futuro personale di Fini, il secondo sul futuro del bipolarismo. Per quanto riguarda il futuro di Fini, sembra difficile pensare che esso possa essere nel centrodestra così come è. Fini oggi si trova nella paradossale condizione di essere un leader della destra che riscuote i maggiori consensi a sinistra.
Si immagini cosa accadrebbe se, sotto un governo di sinistra, un importante leader della sinistra prendesse le distanze dal governo così sistematicamente da diventare «l’eroe» della destra. Che spazio avrebbe, in seguito, quel leader nel proprio schieramento? A parti rovesciate, è quanto è accaduto a Fini. È evidente che Fini immagina il suo prossimo ambito d’azione fuori dall’attuale centrodestra. L’unica strada che gli si apre, mi sembra, non può che incrociare il progetto (di Casini e di altri) di quella formazione neocentrista che potrebbe nascere dalla disgregazione del centrodestra dopo l’uscita di scena di Berlusconi. Una scelta e un progetto più che legittimi. Speriamo che non travolgano del tutto il bipolarismo e, con esso, quella periodica alternanza al governo fra forze contrapposte che è stata, pur con tante ombre, la migliore innovazione politica sperimentata dall’Italia nell’ultimo ventennio.
di Angelo Panebianco
03 dicembre 2009
Come può succedere ai capi carismatici, Berlusconi non capì che, a differenza di Forza Italia, il Popolo della libertà non poteva essere solo uno strumento al suo servizio. Ma non c’è dubbio che la fine del sodalizio si deve soprattutto al cambiamento di posizioni politiche di Fini su un amplissimo spettro di questioni. Un cambiamento così radicale che oggi sembrano non esserci più punti di contatto fra ciò che vuole Fini e ciò che vuole il grosso dello schieramento di cui egli fa ancora ufficialmente parte. Fini aveva di fronte a sé, all’indomani delle ultime elezioni, anche una diversa opzione. Poteva impegnarsi (all’ombra del capo) in una sotterranea competizione con Tremonti e altri al fine di assumere il ruolo del delfino, del successore designato. Sia stato un calcolo che gli ha fatto ritenere improbabile quell’esito oppure una maturazione personale che lo ha spinto verso altri orizzonti, resta che Fini ha scelto una diversa strada: la contrapposizione sistematica a Berlusconi e all’alleanza fra Berlusconi e la Lega. Ciò apre due interrogativi, il primo sul futuro personale di Fini, il secondo sul futuro del bipolarismo. Per quanto riguarda il futuro di Fini, sembra difficile pensare che esso possa essere nel centrodestra così come è. Fini oggi si trova nella paradossale condizione di essere un leader della destra che riscuote i maggiori consensi a sinistra.
Si immagini cosa accadrebbe se, sotto un governo di sinistra, un importante leader della sinistra prendesse le distanze dal governo così sistematicamente da diventare «l’eroe» della destra. Che spazio avrebbe, in seguito, quel leader nel proprio schieramento? A parti rovesciate, è quanto è accaduto a Fini. È evidente che Fini immagina il suo prossimo ambito d’azione fuori dall’attuale centrodestra. L’unica strada che gli si apre, mi sembra, non può che incrociare il progetto (di Casini e di altri) di quella formazione neocentrista che potrebbe nascere dalla disgregazione del centrodestra dopo l’uscita di scena di Berlusconi. Una scelta e un progetto più che legittimi. Speriamo che non travolgano del tutto il bipolarismo e, con esso, quella periodica alternanza al governo fra forze contrapposte che è stata, pur con tante ombre, la migliore innovazione politica sperimentata dall’Italia nell’ultimo ventennio.
di Angelo Panebianco
03 dicembre 2009
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