
Prc, Pdci e compagni: (ri)aggregazione dei partiti che non sanno rinunciare al simbolo comunistadi Luca Telese
A occhio e croce, quella presentata ieri alla Camera è la dodicesima declinazione della falce e martello nella storia politica italiana. Infatti, in una conferenza stampa a Montecitorio Paolo Ferrero, Cesare Salvi e Oliviero Diliberto hanno battezzato la Federazione della Sinistra che entro un anno dovrebbe portare alla nascita di un nuovo partito, dalle ceneri di quattro promotori: Rifondazione Pdci, Socialismo 2000 (la componente di Salvi) e Lavoro e solidarietà (quella che nella sinistra della Cgil fa capo a Giampaolo Patta). Eppure, ridotto all’osso, il patrimonio simbolico della federazione è soprattutto in quel simbolo: l’ultima eredità iconografica del vecchio Pci, un emblema che sulle schede elettorali vale ancora un milione di voti. Una massa critica che in molte regioni – dato il meccanismo elettorale a turno unico – è in grado di svolgere il ruolo di ago della bilancia nella contesa fra centrodestra e centrosinistra.
Scissioni & biciclette. Le altre due notizie sono queste. Ieri Ferrero ha annunciato: “La nuova Federazione sosterrà in Puglia la candidatura di Nichi Vendola”. Una scelta che politicamente potrebbe sembrare scontata, ma che invece non lo è affatto, dati gli strascichi velenosi dell’ultima drammatica scissione. La seconda notizia è un corollario non indifferente di questo passo. In molte regioni, anche per via dello sbarramento, avverrà quel che non è accaduto alle elezioni europee. Sinistra e libertà (la formazione di Vendola e di Claudio Fava) e la Federazione della Sinistra correranno con un simbolo a bicicletta. Anche in questo caso, a pochi mesi dalla sfida fratricida, che portò entrambe le formazioni a mancare il quorum per Strasburgo, sulle schede elettorali si ricomporrà una frattura che pareva insanabile. Nel No B. Day. Il nuovo simbolo della federazione porta i segni di tutte queste mutazioni. La bandiera rossa trapezoidale viene infatti dal logo di Rifondazione. Il tricolore sovrapposto è figlio del Pdci. La corona rossa con le altre sigle è frutto delle più recenti acquisizioni. La prima prova “su strada” sarà domani, quando la federazione esordirà nella manifestazione del No B. Day di piazza San Giovanni. É lo stesso Ferrero a dirlo, nella sua introduzione: “Lavoriamo per la costruzione di un’opposizione ampia e democratica. Per ora non ci sono grandi segnali di apertura da parte di Bersani. Ma del resto anche per noi – dice Ferrero – è inspiegabile la mancata partecipazione del Pd”.
Guttuso e la Bolognina.
La storia delle tante falci e martello della politica italiana, è anche la traccia grafica di una lunga (e spesso dolorosa) diaspora. Il simbolo primigenio, quello del Pci, secondo la leggenda fu disegnato da Renato Guttuso. In realtà, come ha rivelato Bruno Magno, capo dell’ufficio grafico di Botteghe Oscure, il maestro aggiunse un tocco di eleganza nella versione in bianco e nero, che era stata progettata con qualche tratto di genialità da un grafico napoletano del partito che è rimasto senza nome. Nacquero su queste modello altre falci e martello della sinistra: quella del Psiup (con un planisfero al fianco) quella del Pdup e quella di Democrazia Proletaria (con un pugno chiuso giallo).
Guerra legale. Nel 1989, al momento della Svolta, Occhetto collocò il simbolo del Pci (contro il parere dello stesso Magno) alla base della Quercia. Due mesi dopo si aprì una furibonda battaglia legale contro Sergio Garavini e Cossutta, che fondando Rifondazione avevano registrato il simbolo per il nuovo partito. Il giudice Mario Delli Priscoli diede ragione al Pds. Nel 1995, sulla fiducia al governo Dini, nacquero i Comunisti unitari. Anche loro con falce e martello (e bandiera disegnata in un altro modo). Nel 1996, Cossutta uscì da Rifondazione, ottenendo a sua volta la possibilità di ritoccare di poco il vecchio simbolo del Pci (mancavano solo l’asta, lo sfondo diventava azzurro): il suo Pdci non ha mai preso meno del 2%. Nel 2006, da Rifondazione escono i trotskisti del Partito comunista dei lavoratori (altra falce, stavolta rossa) e nel 2008 quelli di Sinistra critica (altra falce, stavolta con la stella). Anche il Pdci, ha la sua scissione, con la formazione di Marco Rizzo (di nuovo falce e martello stavolta quadrata). Il motivo di questa inverosimile proliferazione è – ovviamente – nella fortissima riconoscibilità sulla scheda. Sia i trotskisti di Sinistra critica che quelli di Ferrando, infatti, hanno rubato dei voti (0.5%) che alle politiche e alle europee hanno fatto mancare il quorum a Rifondazione.
Federazioni. Ora la federazione punta a riaggregare quel che un tempo si è diviso. Ovviamente il cammino non è facile e spesso tortuoso. Basta pensare che, poiché la componente di Patta nel congresso della Cgil non è schierata con la minoranza, si arriva al paradosso che la Federazione è più vicina ai “riformisti” di Epifani che ai “radicali” della Fiom. Sui luoghi di lavoro (Eutelia, Innse, Fiat) grazie all’ex Maurizio Zipponi, i dipietristi contendono i bacini storici di consenso operaio. Nelle ultime due tornate, poi, i tentativi di ricomposizione non sono stati premiati dagli elettori. Quello delle regionali – dove verrà sperimentata anche una “coalizione arcobaleno” con Di Pietro e i Verdi – è l’ultimo treno per capire se quei voti rossi resteranno nel limbo dei mancati quorum, o se torneranno nel grande gioco delle coalizioni di centrosinistra.

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