mercoledì 9 dicembre 2009

Parola di Patrizia


di Luigi Galella


Lussuria, lussuria, sempre guerra e lussuria, non c’è nient’altro che rimanga di moda. Patrizia D’Addario è un personaggio tragico. Somiglia alla Cressida di Shakespeare, se non altro per l’ambivalenza dei sentimenti che suscita, oscillanti fra il desiderio e il disprezzo. L’abbiamo vista all’ “Infedele” di Lerner (lunedì, La 7, 21.10) commuoversi alla vista delle immagini di suo padre, nel bel servizio di Paola Mordiglia, aperto dalle immagini felliniane della “Gradisca” di “Amarcord”. Con la voce chiara, ma come incurvata a tratti e resa sottile da una vena dolente; sospesa e lacerata fra l’ambizione da eroina che la sostiene, col bisogno di riscatto per la morte del padre suicida, e il malcelato biasimo di chi, alla voce inglese “escort” – letteralmente guida, scorta - preferisce la nostrana “prostituta”. Come ad esempio il ministro La Russa – rivisto in un filmato di un “Porta a Porta” – che dichiara, professorale: “Escort in italiano si dice prostituta”, non certo per scrupolo linguistico, peraltro impreciso, ma forse perché la parola è già di per sé un’offesa, e mentre finge di denotare con spirito neutrale, connota col sorrisetto allusivo e le intenzioni che da dietro fanno capolino: chiare, sempre più chiare. Prostituta? Ma no, diciamolo: troia, zoccola, grandissima bottana! Perché le parole non sembrano bastare mai, in quanto ad esattezza, quando si tratta di mescolare la libido e l’insulto, la volontà di possesso e la riprovazione morale.
Neanche lo stesso Lerner rinuncia alla tentazione della profanazione semantica, chiarendo appunto che di questo si tratta, che è questo il mestiere appunto, perché siamo in tv e tutti devono capire. E mentre pindarico Pietrangelo Buttafuoco vola leggero e “dionisiaco”, con inconscia volontà assolutoria, azzardando che “nemmeno a pagamento il sesso diventa mai merce”, e la professoressa Lucetta Scaraffia ripete la sua teoria dell’origine prima di ogni male, ovvero la rivoluzione sessuale del ’68, che oggi contagia i potenti, è Ida Dominijanni del Manifesto che riconduce l’analisi ai suoi termini concreti e razionali: è la parola di una prostituta che non vale quanto quella di un uomo, anzi, la parola di una donna vale poco, nemmeno della stessa Veronica Lario, che in quanto moglie è agli “antipodi della prostituta”. Il dionisiaco non c’entra niente, e nemmeno la rivoluzione sessuale del ’68, “perché ai tempi della rivoluzione sessuale il sesso non si comprava”.
Il problema di Patrizia D’Addario è la parola, quella che ne definisce funzione e ruolo. E quella che le viene confutata, perché “se la parola di una prostituta vale quanto quella di un premier…” (Bruno Vespa, “Porta a Porta”); “portando come bocca della verità una ragazza che di professione fa la prostituta…” (Ignazio La Russa, “Porta a Porta”). Non concessa a priori. Taccia, quindi, e stia al suo posto. E soprattutto, si presenti per ciò che è. A lei, negato ogni camuffamento verbale. Ad altri, invece, “utilizzatori finali”, consentito ogni grottesco eufemismo.

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