«È vero. Mi stanno martellando…». Romano Prodi ha un sorriso triste. L’altro giorno ha perso Giovanni, il matematico della Normale, il più anziano tra i suoi fratelli. Il telefono in via Gerusalemme squilla di continuo: vecchi amici, notabili cittadini, sacerdoti. Tutti gli fanno le condoglianze. Tutti o quasi aggiungono una frase: «Sei l’ultima speranza di Bologna… Pensaci».
Prodi non risponde né sì, né no. Fino a qualche giorno fa, fare il sindaco era l’ultimo dei suoi pensieri. Ora qualcosa è cambiato. Il quarantenne a lui più vicino, Filippo Andreatta, con cui Prodi ha un rapporto quasi paterno, spiega che la suggestione non è più improponibile; e il motivo sono i bolognesi. «È impressionante quanta gente stia facendo pressione su Romano, dai colleghi ai sacerdoti, dai conoscenti ai passanti. Gli elettori del Pd, e non solo loro, percepiscono l’anomalia di un politico che ha mollato tutto davvero, che in Africa è andato sul serio. E ora che la sbornia per i professionisti della politica che hanno preso in mano il Pd è finita in pochi mesi, l’idea del ritorno di Prodi appare alla gente opportuna se non inevitabile. Anche perché, per come sono messe le cose dopo l’addio di Delbono, Prodi è l’unico sicuro di vincere».
«Prodi sindaco? Magari — dice Fabio Roversi Monaco, storico rettore dell’università, presidente della Fondazione Carisbo, uno degli uomini più influenti in città —. La sua candidatura sarebbe un evento significativo per Bologna. Non voglio mancare di rispetto a nessuno, ma è evidente che con lui navighiamo a un livello superiore rispetto a qualsiasi altro nome. Prodi è uomo di caratura internazionale, ha intuito tra i primi le potenzialità della Cina dove oggi è noto quasi come in Italia, conosce l’Europa e gli Stati Uniti. Sarebbe una grande chance per la città».
L’alternativa a sinistra sono uomini popolari sotto i portici ma quasi sconosciuti fuoriporta: Luciano Sita, uomo delle Coop, ex manager di Granarolo; Duccio Campagnoli, già segretario della Camera del lavoro, da 15 anni assessore in Regione; Maurizio Cevenini, detto Cev Guevara, molto popolare per aver celebrato 5 mila matrimoni e per la costanza con cui ogni anno invia le felicitazioni alle coppie che hanno resistito. Casini esclude di dare una mano al Pd e, più che al ritorno di Guazzaloca, pensa a lanciare in pista Galletti. Il Pdl ha dirottato su Bologna Giancarlo Mazzuca, già candidato alla Regione, l’ex direttore del Carlino. Ma ieri i giornali locali erano pieni di giudizi sull’ipotesi Prodi. Alessandro Haber, attore: «Firmerei subito un appello per Romano sindaco». Alberto Vacchi, imprenditore: «Sarebbe un valore aggiunto, cercherei di convincerlo». Franco Colomba, allenatore del Bologna: «Serve una persona di grande valore ed esperienza, e Prodi ha queste qualità». Renato Villalta, ex azzurro di basket: «È l’uomo giusto». Carlo Lucarelli, scrittore: «Per Bologna Romano è come un padre». E Stefano Bonaga, filosofo: «Io l’ho detto per primo due anni fa, quando cadde il suo governo, che Prodi deve fare il sindaco di Bologna».
Un coro quasi imbarazzante. Per questo il professore spiega di essere colpito e commosso dalle attestazioni di stima e dalle telefonate, tra cui ieri è arrivata quella di Lucio Dalla, che sul Corriere aveva proposto la sua candidatura: «Romano, io piuttosto di andare a Palazzo d’Accursio in un momento come questo mi farei tagliare una mano, ma tu sei migliore di me…». «Lucio, mi hai messo nei guai, però ti ringrazio lo stesso» è stata la risposta. Un «martellamento», appunto; che però è l’unico modo per stanarlo. «È evidente che l’unico a poter togliere le castagne dal fuoco al centrosinistra è lui – spiega Massimo Bergami, il direttore di Almaweb scuola master dell’università, altro quarantenne molto vicino a Prodi —.
Sia per le chance di vittoria, sia per dare alla città un profilo non strettamente municipale. Romano sindaco vuol dire agganciare Bologna all’Europa. Ma per lui sarebbe un sacrificio personale non indifferente. Serve una supplica corale per convincerlo a questo passo».
Nel silenzio di via Gerusalemme, nell’ora del lutto in cui la famiglia si riunisce e si ritrovano le radici, Prodi sta maturando la decisione. Il colpo di scena resta improbabile, ma non è più impossibile. In via santa Caterina, Giuliano Mongiorgi, 84 anni, ha affisso i suoi manifestini: «Romano Prodi sindaco». Tra i suoi amici ieri sera girava un sms: «Continuiamo a spingere, perché il prof comincia a sperare di essere convinto».
Aldo Cazzullo
31 gennaio 2010
Prodi non risponde né sì, né no. Fino a qualche giorno fa, fare il sindaco era l’ultimo dei suoi pensieri. Ora qualcosa è cambiato. Il quarantenne a lui più vicino, Filippo Andreatta, con cui Prodi ha un rapporto quasi paterno, spiega che la suggestione non è più improponibile; e il motivo sono i bolognesi. «È impressionante quanta gente stia facendo pressione su Romano, dai colleghi ai sacerdoti, dai conoscenti ai passanti. Gli elettori del Pd, e non solo loro, percepiscono l’anomalia di un politico che ha mollato tutto davvero, che in Africa è andato sul serio. E ora che la sbornia per i professionisti della politica che hanno preso in mano il Pd è finita in pochi mesi, l’idea del ritorno di Prodi appare alla gente opportuna se non inevitabile. Anche perché, per come sono messe le cose dopo l’addio di Delbono, Prodi è l’unico sicuro di vincere».
«Prodi sindaco? Magari — dice Fabio Roversi Monaco, storico rettore dell’università, presidente della Fondazione Carisbo, uno degli uomini più influenti in città —. La sua candidatura sarebbe un evento significativo per Bologna. Non voglio mancare di rispetto a nessuno, ma è evidente che con lui navighiamo a un livello superiore rispetto a qualsiasi altro nome. Prodi è uomo di caratura internazionale, ha intuito tra i primi le potenzialità della Cina dove oggi è noto quasi come in Italia, conosce l’Europa e gli Stati Uniti. Sarebbe una grande chance per la città».
L’alternativa a sinistra sono uomini popolari sotto i portici ma quasi sconosciuti fuoriporta: Luciano Sita, uomo delle Coop, ex manager di Granarolo; Duccio Campagnoli, già segretario della Camera del lavoro, da 15 anni assessore in Regione; Maurizio Cevenini, detto Cev Guevara, molto popolare per aver celebrato 5 mila matrimoni e per la costanza con cui ogni anno invia le felicitazioni alle coppie che hanno resistito. Casini esclude di dare una mano al Pd e, più che al ritorno di Guazzaloca, pensa a lanciare in pista Galletti. Il Pdl ha dirottato su Bologna Giancarlo Mazzuca, già candidato alla Regione, l’ex direttore del Carlino. Ma ieri i giornali locali erano pieni di giudizi sull’ipotesi Prodi. Alessandro Haber, attore: «Firmerei subito un appello per Romano sindaco». Alberto Vacchi, imprenditore: «Sarebbe un valore aggiunto, cercherei di convincerlo». Franco Colomba, allenatore del Bologna: «Serve una persona di grande valore ed esperienza, e Prodi ha queste qualità». Renato Villalta, ex azzurro di basket: «È l’uomo giusto». Carlo Lucarelli, scrittore: «Per Bologna Romano è come un padre». E Stefano Bonaga, filosofo: «Io l’ho detto per primo due anni fa, quando cadde il suo governo, che Prodi deve fare il sindaco di Bologna».
Un coro quasi imbarazzante. Per questo il professore spiega di essere colpito e commosso dalle attestazioni di stima e dalle telefonate, tra cui ieri è arrivata quella di Lucio Dalla, che sul Corriere aveva proposto la sua candidatura: «Romano, io piuttosto di andare a Palazzo d’Accursio in un momento come questo mi farei tagliare una mano, ma tu sei migliore di me…». «Lucio, mi hai messo nei guai, però ti ringrazio lo stesso» è stata la risposta. Un «martellamento», appunto; che però è l’unico modo per stanarlo. «È evidente che l’unico a poter togliere le castagne dal fuoco al centrosinistra è lui – spiega Massimo Bergami, il direttore di Almaweb scuola master dell’università, altro quarantenne molto vicino a Prodi —.
Sia per le chance di vittoria, sia per dare alla città un profilo non strettamente municipale. Romano sindaco vuol dire agganciare Bologna all’Europa. Ma per lui sarebbe un sacrificio personale non indifferente. Serve una supplica corale per convincerlo a questo passo».
Nel silenzio di via Gerusalemme, nell’ora del lutto in cui la famiglia si riunisce e si ritrovano le radici, Prodi sta maturando la decisione. Il colpo di scena resta improbabile, ma non è più impossibile. In via santa Caterina, Giuliano Mongiorgi, 84 anni, ha affisso i suoi manifestini: «Romano Prodi sindaco». Tra i suoi amici ieri sera girava un sms: «Continuiamo a spingere, perché il prof comincia a sperare di essere convinto».
Aldo Cazzullo
31 gennaio 2010
1 commento:
COMMOVENTE! CHE OCCASIONE SPRECATA PER L'ITALIA!
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