Il ministero dell’Economia ha presentato come un grande successo l’operazione “scudo fiscale”. In questo articolo vorremmo sommessamente spiegare perché le cose non stanno così.
La prima cosa da osservare è che il ministero pone parecchia enfasi sul fatto che adesso le norme internazionali sui paradisi fiscali sono assai più restrittive. Si afferma testualmente: “L’impegno dei principali Paesi del G20 è infatti nel senso che il tempo dei paradisi fiscali è finito per sempre. Portare o tenere i soldi nei paradisi fiscali non conviene più, né economicamente né fiscalmente. Il rendimento è minimo, il rischio è massimo”. Se questo è vero (non abbiamo il tempo e gli strumenti per controllare) allora il ministro Giulio Tremonti ha veramente fatto un grosso regalo agli evasori.
Quindi delle due l’una: o il governo sta mentendo, e non c’è alcun cambio strutturale nel trattamento dei paradisi fiscali, oppure sta accusando se stesso di malversazione.
Proviamo a fare due conti per avere un’idea migliore di ciò che ha significato lo scudo in termini di perdita del gettito futuro.
L’aliquota del 5 per cento è equivalente alla sanzione minima prevista dalla legge sul monitoraggio dei capitali per la violazione dell’obbligo di dichiarazione (la sanzione massima è il 25 per cento). Lo scudo fiscale in sostanza garantisce l’applicazione della sanzione minima, oltre a perdonare tutte le imposte dovute sui rendimenti antecedenti il primo gennaio 2009, compresi gli interessi legali. Inoltre, lo scudo ha alzato le sanzioni (per il futuro), portandole a un minimo del 10 per cento e a un massimo del 50 per cento.
I capitali investiti all’estero vengono tassati con la stessa aliquota applicata su investimenti simili in Italia. Ipotizziamo dunque un’aliquota del 12,5 per cento (cioè 1/8) per un capitale che abbia fruttato il 5 per cento annuo per 8 anni. Le imposte dovute sarebbero ammontate a 5%*1/8*8 = 5 per cento (ignorando gli effetti di composizione degli interessi, e cioè assumendo che gli interessi vengano prelevati dal conto, altrimenti le imposte sono di più). Se la legge invece di condonare avesse imposto la vecchia sanzione massima, 25 per cento (come abbiamo scritto è stata aumentata al 50 per cento), e avesse preteso il pagamento delle tasse non pagate negli ultimi 8 anni, allora prendendo un evasore su 6 si sarebbe ottenuto lo stesso gettito. Il tutto senza contare le sanzioni sul mancato pagamento delle imposte, che sono condonate del tutto, ma che vanno dal 120 per cento al 240 per cento dell’ammontare. A occhio questo potrebbe rappresentare un altro 10 per cento del capitale. Quindi, in sostanza, la domanda che poniamo al ministero è: veramente siete convinti che, con tutte le nuove norme anti-paradisi fiscali che vantate nel vostro comunicato, avreste acchiappato non più di 1/6 dei capitali che ora sono rientrati? Forse l’operazione ha senso dal punto di vista finanziario (scoprire e condannare un evasore su sei, o anche uno su quindici, con il nostro sistema legale è altamente aleatorio, senza contare che si tratta di migliaia di persone e ci vorrebbe un esercito di controllori), ma se le cose stanno così è inutile fare i gradassi vantando chissà quali successi nella lotta ai paradisi fiscali. Oppure il ministero ha ragione, la lotta ai paradisi fiscali c’è ed è efficace. In tal caso lo scudo fiscale è stato un immenso regalo agli evasori e il gettito effettivo è largamente inferiore a quanto si sarebbe potuto ottenere senza scudo e con controlli e multe.
Osserviamo inoltre che vari esponenti governativi hanno lasciato intendere che il “rientro”' dei capitali favorirà un aumento degli investimenti reali e quindi del Pil. L’enfasi è stata posta sul fatto che i capitali rappresentano “'il 6 per cento del pil”'. Per esempio, il ministro Calderoli, ha definito lo scudo fiscale “la più grande manovra economica di tutti i tempi (…) Non solo e non tanto per i quattro miliardi e 750 milioni di nuove entrate, comunque necessarie, ma soprattutto perché quasi 100 miliardi di euro rientreranno e verranno investiti in Italia, ridando ossigeno, vero e tanto, alla nostra economia”.
I capitali investiti all’estero vengono tassati con la stessa aliquota applicata su investimenti simili in Italia. Ipotizziamo dunque un’aliquota del 12,5 per cento (cioè 1/8) per un capitale che abbia fruttato il 5 per cento annuo per 8 anni. Le imposte dovute sarebbero ammontate a 5%*1/8*8 = 5 per cento (ignorando gli effetti di composizione degli interessi, e cioè assumendo che gli interessi vengano prelevati dal conto, altrimenti le imposte sono di più). Se la legge invece di condonare avesse imposto la vecchia sanzione massima, 25 per cento (come abbiamo scritto è stata aumentata al 50 per cento), e avesse preteso il pagamento delle tasse non pagate negli ultimi 8 anni, allora prendendo un evasore su 6 si sarebbe ottenuto lo stesso gettito. Il tutto senza contare le sanzioni sul mancato pagamento delle imposte, che sono condonate del tutto, ma che vanno dal 120 per cento al 240 per cento dell’ammontare. A occhio questo potrebbe rappresentare un altro 10 per cento del capitale. Quindi, in sostanza, la domanda che poniamo al ministero è: veramente siete convinti che, con tutte le nuove norme anti-paradisi fiscali che vantate nel vostro comunicato, avreste acchiappato non più di 1/6 dei capitali che ora sono rientrati? Forse l’operazione ha senso dal punto di vista finanziario (scoprire e condannare un evasore su sei, o anche uno su quindici, con il nostro sistema legale è altamente aleatorio, senza contare che si tratta di migliaia di persone e ci vorrebbe un esercito di controllori), ma se le cose stanno così è inutile fare i gradassi vantando chissà quali successi nella lotta ai paradisi fiscali. Oppure il ministero ha ragione, la lotta ai paradisi fiscali c’è ed è efficace. In tal caso lo scudo fiscale è stato un immenso regalo agli evasori e il gettito effettivo è largamente inferiore a quanto si sarebbe potuto ottenere senza scudo e con controlli e multe.
Osserviamo inoltre che vari esponenti governativi hanno lasciato intendere che il “rientro”' dei capitali favorirà un aumento degli investimenti reali e quindi del Pil. L’enfasi è stata posta sul fatto che i capitali rappresentano “'il 6 per cento del pil”'. Per esempio, il ministro Calderoli, ha definito lo scudo fiscale “la più grande manovra economica di tutti i tempi (…) Non solo e non tanto per i quattro miliardi e 750 milioni di nuove entrate, comunque necessarie, ma soprattutto perché quasi 100 miliardi di euro rientreranno e verranno investiti in Italia, ridando ossigeno, vero e tanto, alla nostra economia”.
La “teoria”, se così si può chiamare, sembra essere che le opportunità di investimento già esistono (come facciamo a saperlo? Perché ce lo dicono Calderoli e Tremonti), ma gli indigeni italici non hanno soldi e non possono prenderli a prestito altrove. Basta quindi portare fisicamente i soldi nel paese e gli investimenti si materializzeranno. E’ la stessa logica che ha portato alla proposta della Banca del Mezzogiorno. Che era più o meno questa: al sud i soldi non ci sono, da fuori non si portano, e per questo non si investe. Basta mettere i soldi a Caserta, Afragola e Barletta e, voilà, finalmente i redditizi investimenti, che mancavano solo dei capitali necessari, verranno finanziati. Avere ministri che denotano un simile livello di analfabetismo economico è scoraggiante.
*docente di Economia alla State University of New York at Stony Brook
**docente di Economia alla Vanderbilt University.
Entrambi sono redattori di www.noisefromamerika.org
*docente di Economia alla State University of New York at Stony Brook
**docente di Economia alla Vanderbilt University.
Entrambi sono redattori di www.noisefromamerika.org
Nessun commento:
Posta un commento