di Rita Di Giovacchino
La prima testa a cadere è quella di Achille Toro. Il potente e inossidabile procuratore aggiunto di Roma, responsabile di tutte le inchieste sulla Pubblica amministrazione, uscito indenne da altre tempeste, si è dimesso ieri dalla magistratura con una lettera recapitata nel primo pomeriggio al Csm, alla Corte di Cassazione – che aveva aperto nei suoi confronti un procedimento disciplinare – e al procuratore capo di Roma. Dimissioni irrevocabili, scrive Toro, frutto di una decisione presa “con serenità” per consentirgli di difendere in tutte le sedi la sua onorabilità e quella del figlio Camillo, semplice messaggero nella triste vicenda di soffiate e ricatti che sul registro degli indagati viene laconicamente definita “rivelazione di segreti di ufficio”. Per i magistrati romani un bel sollievo, soprattutto dopo che martedì a Perugia due pm, Sergio Colaiocco e Assunta Cocomello, si sono trovati nell’imbarazzante condizione di essere interrogati dai colleghi di Perugia sulle mosse del procuratore aggiunto negli ultimi mesi. A partire dalla scorsa estate quando gli articoli dell’Espresso avevano rivelato che i magistrati di Firenze stavano indagando sugli sprechi alla Maddalena. Forse sono state proprio le indiscrezioni trapelate da quel vertice di magistrati, che si è subito trasformato in un atto istruttorio sul suo operato, a far capitolare Toro.
La partita per lui era chiusa, non bastava essersi dimesso dall’incarico, in definitiva i 40 anni di anzianità professionale gli consentivano di uscire dalla magistratura in modo indolore. A Perugia i pm Sergio Sottani e Alessia Tavernesi avevano rivolto ai colleghi romani gli stessi quesiti che poche ore dopo
A che punto erano le indagini sul presunto giro di tangenti legato alla realizzazione delle tre inchieste sulle Grandi Opere pendenti a Roma? Quali erano state le iniziative investigative della procura di Roma, quale accesso agli atti aveva Toro? Si era informato su quanto stava facendo Firenze?
Domande imbarazzanti considerato che, come scrive il gip Rosario Lupo nella sua ordinanza, alcune persone sottoposte a indagine apparivano “in grado di muoversi all’interno degli uffici giudiziari romani al fine avere informazioni sui processi”. Ad accrescere i sospetti anche le perquisizioni disposte nelle ultime ore dalla procura di Roma quasi a coprire l’inefficienza dei mesi precedenti.
Toro, non solo Toro. La cricca della Ferratella disponeva di altri canali e importanti contatti. Spuntano un paio di giudici della Corte dei Conti e perfino un giudice Costituzionale, Giuseppe Tesauro in società con Antonio Di Nardo, il funzionario della Ferratella legato al clan dei Casalesi. Il personaggio chiave alla Corte dei conti è invece Mario Sancetta, presidente di sezione ma soprattutto ex capo dell’Ufficio Legislativo del ministro Pietro Lunardi. Sancetta si dà da fare, anche lui vuole guadagnarsi un posto al sole nel nuovo governo, così cerca di diventare il tramite tra Di Nardo e altri imprenditori, aspira a mettere il becco negli affari del G8, si lamenta del comportamento di Balducci, al tempo stesso cerca di entrare nelle sue grazie. Come quando spiega a Di Nardo che Pietro (Lunardi) ha convinto Altero (Matteoli) a nominare Angelo (Balducci) alla presidenza del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici. E in cambio gli chiede di attivare Denis Verdini per fargli avere qualche incarico istituzionale. Che però non arriva.
Tutto ruota attorno a Di Nardo, il personaggio più inquietante della cricca anche perché come responsabile del Provveditorato Opere pubbliche di Lazio e Abruzzo nel post-terremoto assume un ruolo strategico. Non a caso l’impresa “Stabile novus”, di cui è consocio con Piscicelli e cognato (quelli delle risate nella notte del terremoto), ottiene un bel pacchetto di opere. Ah, come si lamenta Sancetta con Di Nardo: “Ma questi ...che stanno facendo Angelo e quell’altro Denis ..? domani devo vedere Pietro (Lunardi) vorrei cogliere lo spunto di domandar che è ‘sto imbroglio ...chi è che tiene le fila?”. Sancetta è interessato alla società “Il Sole immobiliare”, in un’altra telefonata Di Nardo lo rassicura: “Sono in attesa Presidente, proprio ieri sono stato a tempo di Pausania”. Ma Sancetta ha un legame diretto con Rocco Lamino (quel Rocco del prestito da 100 mila a Piscicelli), al quale si rivolge in questi termini: “Senti ma quel buffone là di Angelo dico che cosa fa? Per
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