venerdì 26 marzo 2010

Dio, preghiera e la grande tradizione cattolica


di Camillo Ruini

LA PRIMA E LA MAGGIORE PRIORITÀ di questo pontificato è Dio stesso, quel Dio che troppo facilmente viene messo al margine della nostra vita, protesa al “fare”, soprattutto mediante la “tecno-scienza”, e al godere-consumare. Quel Dio che è espressamente negato da una “metafisica” evoluzionistica, che riduce tutto alla natura, cioè alla materia-energia, al caso (le mutazioni casuali) e alla necessità (la selezione naturale), o più frequentemente è dichiarato non conoscibile in base al principio che ogni verità è nascosta, in conseguenza della restrizione degli orizzonti della nostra ragione a ciò che è sperimentabile e calcolabile. Quel Dio, infine, di cui è stata proclamata la “morte” con l’affermarsi del nichilismo e con la conseguente caduta di tutte le certezze. Il primo impegno del pontificato è dunque riaprire la strada a Dio: non però facendosi dettare l’agenda da coloro che in Dio non credono e contano soltanto su se stessi. Al contrario, l’iniziativa appartiene a Dio e questa iniziativa ha un nome: Gesù Cristo [...]

La seconda priorità del pontificato (è) la preghiera. Non soltanto quella personale ma anche e soprattutto la preghiera liturgica della Chiesa. (Ha scritto) Benedetto XVI : “La liturgia della Chiesa è stata per me, fin dalla mia infanzia, l’attività centrale della mia vita ed è diventata anche il centro del mio lavoro teologico”. Possiamo aggiungere che oggi è il centro del suo pontificato.

Arriviamo così a un punto controverso, specialmente dopo il Motu proprio che consente l’uso della liturgia preconciliare e ancor più dopo la remissione della scomunica ai quattro vescovi lefebvriani. Già in precedenza però Joseph Ratzinger aveva chiarito questo punto molto bene. Egli è stato uno dei grandi sostenitori del Movimento liturgico che ha preparato il Concilio e uno dei protagonisti del Vaticano II, e tale è sempre rimasto. Fin dall’attuazione della riforma liturgica nei primi anni del dopo-Concilio, egli aveva contestato però la proibizione dell’uso del Messale di san Pio V, vedendovi una causa di sofferenza non necessaria per tante persone amanti di quella liturgia, oltre che una rottura rispetto alla prassi precedente della Chiesa che, in occasione delle riforme della liturgia succedutesi nella storia, non aveva proibito l’uso delle liturgie fino allora in uso. Da Pontefice ha pertanto ritenuto di dover rimediare a questo inconveniente, consentendo più facilmente l’uso del rito romano nella sua forma preconciliare. Lo spingeva a questo anche il suo dovere fondamentale di promotore dell’unità della Chiesa. [...]

Benedetto XVI ha precisato l’interpretazione del Vaticano II, prendendo le distanze da una “ermeneutica della rottura”, che ha due forme: una prevalente, in base alla quale il Concilio costituirebbe una novità radicale e sarebbe importante “lo spirito del Concilio” ben più della lettera dei suoi testi; l’altra, contrapposta, per la quale conterebbe soltanto la tradizione precedente al Concilio, rispetto a cui il Concilio stesso avrebbe rappresentato una rottura densa di conseguenze funeste, come sostengono appunto i lefebvriani. Benedetto XVI propone invece l’“ermeneutica della riforma” ossia della novità nella continuità, sostenuta già da Paolo VI e da Giovanni Paolo II. Il Concilio costituisce, cioè, una grande novità ma nella continuità dell’unica tradizione cattolica. [...]

A questo punto possiamo ritornare alla prima priorità, Dio, per prendere in considerazione l’impegno anche razionale e culturale di Benedetto XVI al fine di allargare a Dio la ragione contemporanea e di fare spazio a Dio nei comportamenti e nella vita personale e sociale, pubblica e privata…… Quanto alla ragione contemporanea, Benedetto XVI sviluppa una “critica dall’interno” della razionalità scientifico-tecnologica, che oggi esercita una leadership culturale. La critica non riguarda questa razionalità in se stessa, che ha anzi grande valore e grandi meriti, dato che ci fa conoscere la natura e noi stessi come mai era stato possibile prima e ci permette di migliorare enormemente le condizioni pratiche della nostra vita. Riguarda invece la sua assolutizzazione, come se questa razionalità costituisse l’unica conoscenza valida della realtà. [...]

Allo stesso modo non può essere presentata come “scientifica” la riduzione dell’uomo a un prodotto della natura, in ultima analisi omogeneo agli altri, negando quella differenza qualitativa che caratterizza la nostra intelligenza e la nostra libertà. Una simile riduzione costituisce in realtà il capovolgimento totale del punto di partenza della cultura moderna, che consisteva nella rivendicazione del soggetto umano, della sua ragione e della sua libertà. Perciò (ha detto Benedetto XVI) la fede cristiana proprio oggi si pone come il “grande sì” all’uomo, alla sua ragione e alla sua libertà, in un contesto socio-culturale nel quale la libertà individuale viene enfatizzata sul piano sociale facendone il criterio supremo di ogni scelta etica e giuridica, in particolare nell’ “etica pubblica”, salvo però negare la libertà stessa come realtà a noi intrinseca, cioè come nostra capacità personale di scegliere e di decidere, al di là dei condizionamenti ed automatismi biologici, psicologici, ambientali, esistenziali. [...]

Parlando a Subiaco il giorno prima della morte di Giovanni Paolo II, il cardinale Ratzinger invitava tutti, anche quegli uomini di buona volontà che non riescono a credere, a vivere veluti si Deus daretur, come se Dio esistesse, ma al tempo stesso affermava la necessità di uomini che tengono lo sguardo fisso verso Dio e in base a questo sguardo si comportino nella vita: soltanto così infatti Dio potrà tornare nel mondo. E’ questo il senso e lo scopo dell’attuale pontificato.

da “Il caso serio di Dio”, ed.Cantagalli

3 commenti:

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

NON C'HO CAPITO UN CAZZO.

Mela Rossa ha detto...

e che vuoi ci sia da capire a uno che scrive queste demenzialità:

"Quel Dio che è espressamente negato da una “metafisica” evoluzionistica, che riduce tutto alla natura, cioè alla materia-energia, al caso (le mutazioni casuali) e alla necessità (la selezione naturale), o più frequentemente è dichiarato non conoscibile in base al principio che ogni verità è nascosta, in conseguenza della restrizione degli orizzonti della nostra ragione a ciò che è sperimentabile e calcolabile"

peccato non avere le faccine per esprimere perplessità!!! ahahahah

Ciao Luigi, come va?
Sei ancora molto preso ed indaffarato con il libro e la sua presentazione?

Ti mando un caloroso ed affettuoso saluto!
ciao!

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

Va bene grazie, siamo rientrati a Lodi, stiamo organizzando una presentazione a Busto Arsizio per il 21 aprile. Qui a Lodi c'è uno stronzo di Assessore alla Cultura, che si chiama Andrea Ferrari, un deficiente ingrato, che ha avuto il cattivo gusto di programmare per il 14 aprile una schifezza di libro "Delitti e Castighi" di Lucia Castellano e Donatella Stasio.
Lucia Castellano, dopo aver operato nelle carceri di Eboli, Marassi e Secondigliano, dirige dal 2002 il penitenziario di Bollate.
Donatella Stasio, giornalista, si occupa di giustizia e politica sulle pagine del Sole 24 Ore.
La presentazione: "Carcere di Poggioreale, di Eboli, di Agrigento e di Genova. Carcere di San Vittore a Milano. Sono alcune tappe di un’esplorazione terribile ma rivelatrice della realtà carceraria italiana: sovraffollamento insostenibile, condizioni igienico-sanitarie disumane, violenza e abbrutimento, sprechi di risorse economiche e sociali. Carceri che violano i principi costituzionali della dignità e del recupero dei detenuti. Un sistema carcerario così profondamente ingiusto e così distante dai suoi veri scopi accresce la sicurezza dei cittadini? Scoraggia davvero i criminali dal continuare a delinquere? Diritti e castighi attraverso le voci dell’ «umanità cancellata» che vive dentro il carcere nega ogni falsa illusione. Prigionieri, poliziotti, dirigenti, familiari, educatori raccontano con sofferta autenticità le loro esperienze al di là e al di qua del «muro», l’angoscia di una condizione spezzata, marchiata indelebilmente dalla colpa e dalla pena. Se il carcere è il sintomo patologico più grave di una società, può anche diventare un simbolo di speranza e responsabilità. Come testimoniano alcuni tentativi di trovare una via per restituire al detenuto i diritti di cittadinanza."Casa Editrice Il Saggiatore.
Lo fa nello stesso mese in cui avrebbe dovuto organizzare, su sua iniziativa, la presentazione del mio libro.
Capisci, c'è sovrapposizione.
Ho deciso di declinare l'invito.
Naturalmente, sono incazzato nero.
Se e quando avrò il piacere di incontrarci ti spiegherò perchè è un ingrato.