mercoledì 28 aprile 2010

IL PASTICCIACCIO DELLE DIMISSIONI DI BOCCHINO


Lo strappo per candidarsi alla guida del gruppo Pdl al posto di Cicchitto

di Marco Palombi

Dimissioni? Le ho scritte. Anzi no, ho scritto al gruppo che le formalizzerò quando verrà convocata l’assemblea per rinnovare tutte le cariche. Il papocchio dell’addio di Italo Bocchino alla vicepresidenza vicaria dei 270 deputati del PdL è tutto qui. Il finiano si richiama all’articolo 8 del regolamento interno sostenendo che se decade lui va a casa anche il capogruppo Fabrizio Cicchitto e, se è così, lui si candida a prenderne il posto “per contare le forze della minoranza”. I berlusconiani però non sono d’accordo: l’articolo 8 non lega affatto il capogruppo al vice, Bocchino si dimetta e lo sostituiremo. Vista l’impasse, s’è deciso di fare una pausa di un paio di settimane “anche per interpellare i vertici del partito – è sempre Bocchino a parlare - e comprendere come si può uscire da questa situazione evitando scontri all’interno del gruppo parlamentare”.

Lo stesso presidente della Camera, intervistato a “Ballarò” (e oggi sarà a Porta a Porta) è intervenuto sull’argomento, difendendo Bocchino: “Deciderà l'onorevole Cicchitto, il direttivo del gruppo, mi auguro il vertice del partito. L'onorevole Bocchino, molto correttamente a mio modo di vedere ha dato la sua piena disponibilità presentando le dimissioni, ora attendiamo le decisioni che il vertice del gruppo e del partito prenderanno”. Per Silvio Berlusconi, invece, si tratta di “vecchia politica”, di “una farsa”: più che irritato è “annoiato”, lascia trapelare il suo staff, e a risolvere la faccenda in prima persona non ci pensa nemmeno, se ne occupino “democraticamente” gli organi del partito.

In questa furia pacificatoria, però, la guerriglia rischia di scoppiare tra i finiani. Roberto Menia, ad esempio, Bocchino non lo può vedere da un pezzo e in queste settimane la situazione è peggiorata. Già all’indomani del famigerato scontro in tv con Maurizio Lupi, lo affrontò nel cortile di Montecitorio a brutto muso: “La devi smettere, hai già fatto abbastanza danni”. Ieri, saputo che Bocchino annunciava la sua candidatura a capogruppo, è sbottato: “Alla riunione nella sala Tatarella (lunedì, ndr) Fini ci ha detto che Italo si sarebbe dimesso per rasserenare gli animi. Oggi fa finta di dimettersi per poi candidarsi un attimo dopo... Siamo alla sceneggiata napoletana. Io non ci sto a farmi prendere per i fondelli in questa maniera: se si va veramente alla resa dei conti, vuol dire che mi candido pure io”. Alla fine Menia, esuberante sottosegretario triestino, è andato a protestare pure con Fini, reo di non scaricare Bocchino: quello lo ha blandamente rimproverato per la piazzata, ma alla fine ha allargato le braccia (“sei ingovernabile”). Ostenta tranquillità un uomo assai vicino al presidente della Camera come Enzo Raisi: “Un conto sono i personalismi e un conto sono le divisioni. Noi non siamo una corrente, siamo un arcipelago: abbiamo il vantaggio di poterci espandere molto e lo svantaggio di creare delle aspettative d’altro genere. L’unica sintesi, comunque, è quella di Fini”. E Fini in questo momento sostiene Bocchino, perché sua è l’unica poltrona di qualche peso nel partito occupata da un uomo della minoranza. E’ proprio questo il punto. Il presidente della Camera sa che l’unico modo per uscire vivo dalla lite col Cavaliere è avere il tempo di organizzare la sua corrente dentro al PdL, organizzarla in vista del congresso e in vista della fase finale della legislatura, in cui gli scontenti aumentano sempre esponenzialmente. Non si parla solo dei parlamentari. “L’arcipelago” si sta strutturando anche in regioni, province e comuni: sono già quattrocento, ad esempio, gli amministratori locali che hanno firmato il documento “Io sto con Fini” sul sito di Generazione Italia. La poltrona di Bocchino rientra in questa strategia di sopravvivenza. Il presidente della Camera lavora quindi affinché tutto resti com’è: Cicchitto e il suo vice sono stati entrambi “nominati” grazie ad un accordo Forza Italia-An, se cade uno se ne va anche l’altro e si va ai voti. Solo che Cicchitto a farsi rieleggere non ci pensa nemmeno: sa che nell’urna rischia di trovare le decine di schede bianche di chi non lo stima e ne uscirebbe comunque dimezzato. L’esito più naturale, dunque, è il classico “tarallucci e vino”. Sempre nell’ambito della lotta per la sopravvivenza va catalogato l’incontro avuto ieri da Fini coi leghisti Cota e Calderoli: non voglio affossare il federalismo fiscale, gli ha spiegato, chiedo che se ne discuta in Parlamento tenendo conto anche delle nostre posizioni.

Umberto Bossi ha capito e ha già abbassato i toni: “Non faccio la guerra al presidente della Camera”.

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