LA PROCURA DI SIRACUSA CHIEDE IL RINVIO A GIUDIZIO PER DUE ALTI FUNZIONARI CHE RESPINSERO UN BARCONE DI IMMIGRATI
di Giampiero Calapà
Hanno “rispedito” in Libia un gruppo di migranti quasi arrivati sulle sponde della punta sud orientale della Sicilia, dopo una navigazione di fortuna, stretti come sardine su un grande gommone; ora due alti funzionari dello Stato saranno giudicati in tribunale per l’accusa di “violenza privata”. Un gommone traballante e in balia delle acque con 75 migranti a bordo, tra cui molti bambini, intercettato da motovedette della Guardia di finanza al largo di Portopalo di Capo Passero.
É la notte tra il 30 e il 31 agosto 2009, sembra una delle tante operazioni di salvataggio quando i finanzieri fanno salire i naufraghi sulla nave Denaro. Ma non è così, quella data segna un punto di svolta, perché la Denaro farà rotta verso la Libia, dove i migranti, bambini compresi, saranno affidati alla polizia di Gheddafi. Una pagina buia per la storia d’Italia, frutto di un trattato con la Libia voluto dall’asse Berlusconi-D’Alema e votato pochi mesi prima da quasi tutti in Parlamento: 413 sì, 36 astenuti e solo 63 no tra cui i deputati radicali del gruppo Pd e Furio Colombo. Ieri un’altra svolta, però, perché la procura di Siracusa, che aprì un’inchiesta nei giorni successivi alla deportazione via mare in Libia, manda ora a giudizio, con l’accusa di “violenza privata”, due alti funzionari statali: Rodolfo Ronconi, direttore della polizia delle frontiere del ministero dell’Interno e il generale Vincenzo Carrarini capo ufficio economia e sicurezza del comando generale della Guardia di finanza.
Proprio a sottolineare la responsabilità politica di quell’ordine che arrivò da Roma, la procura di Siracusa ha chiesto e ottenuto dal gip il proscioglimento dei finanzieri che intervennero sul posto “in considerazione del fatto che avevano operato per ordini superiori non manifestamente illegittimi”. Insomma, i militari non potevano capire in quel momento, secondo la procura, l’illegittimità di quell’azione, per loro semplicemente un ordine da eseguire. Perché non è il “respingimento in sé” il problema, ma la mancata applicazione della legge italiana sul territorio nazionale. Infatti la citazione a giudizio dei due alti funzionari – senza passare in questo caso dalla decisione del gip come prassi giuridica in caso di reati valutati dal giudice monocratico – richiama a una “condotta violenta” per “ricondurre in territorio libico, contro la loro palese volontà, 75 stranieri, non identificati, alcuni sicuramente minorenni, intercettati in acque internazionali”.
Il reato, secondo la procura, scatta proprio nel momento in cui i migranti vengono “fatti salire a bordo della nave della guardia di finanza Denaro e dunque su territorio italiano”: una volta saliti su quell’imbarcazione è come se i 75 camminassero su suolo italiano e costringerli al ritorno verso la Libia, da cui il gommone era partito, è “in aperto contrasto con le norme di diritto interno e di diritto internazionale recepite nel nostro ordinamento”.
La procura per sgombrare equivoci specifica anche che “l’imputazione non concerne direttamente la cosiddetta politica dei respingimenti e in particolare non attiene alla legittimità in sé degli accordi sottoscritti tra Italia e Libia”, ma comunque si tratta di ordini che, una volta eseguiti, diventano “violenza privata, poiché non eseguiti nel rispetto della normativa italiana, conforme tra l’altro agli accordi internazionali”. La notizia è “importante e positiva” per la Cgil, impegnata in quelle zone della Sicilia sud orientale ogni giorno con problemi relativi all’immigrazione: proprio in queste ore una tendopoli allestita nei pressi di Cassibile è già satura per l’arrivo di oltre 140 immigrati, con regolare permesso di soggiorno, che saranno impiegati nei campi per la raccolta delle patate da qui a giugno.
“Monitoriamo quotidianamente – afferma Paolo Zappulla, segretario generale della Camera del lavoro di Siracusa – quanto avviene e registriamo che l’inasprimento della normativa italiana sull’immigrazione generato dalla Bossi-Fini ha provocato solo danni e nuove tensioni, bisogna lavorare alla modifica di quella legge. Questa citazione a giudizio, invece, è sicuramente un punto a favore dei diritti umani”.
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