giovedì 8 aprile 2010

VIZIO DI FIRMA


Ok di Napolitano anche al legittimo impedimento salva-B “Ora lealtà politici-giudici”. Il premier incassa e ringrazia
di Paola Zanca

La firma è arrivata al ventisettesimo giorno utile. Prima di partire per il Vinitaly, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha deciso di dare il via libera al legittimo impedimento. Aveva tempo fino a sabato, ma deve aver pensato che era inutile partire per Verona e farsi tartassare dalle domande sull’ennesima legge ad personam. Da oggi, infatti, il presidente del Consiglio - che avrebbe prontamente ringraziato il Capo dello Stato appena appresa la notizia - e i suoi ministri potranno evitarsi il fastidio di comparire in udienza. Per 18 mesi - questa la durata della legge, in attesa di una riforma costituzionale - non avranno più bisogno di giustificare le assenze in Tribunale: per il solo fatto di essere al governo sono legittimamente impediti a rispondere ai giudici. Lunedì 12 aprile, per esempio, Berlusconi non avrà bisogno di improvvisare viaggi all'estero, nè di darsi malato: per non presentarsi davanti ai giudici di Milano che lo chiamano a giudizio nel processo Mediaset, gli basta una firma. La sua. Lo stesso farà il 16, all'udienza per il processo Mills. Da solo, si dirà che è giustificato a non andare in Tribunale, e lo farà anche per i suoi ministri, come Fitto, che hanno in corso procedimenti penali. Da solo ma non proprio. La firma di Napolitano gli dà il via libera di cui aveva bisogno.

Il Capo dello Stato fa sapere di aver seguito i principi già contenuti nella sentenza 24 della Corte Costituzionale. Capiamoci bene, quella è la sentenza che dichiarava incostituzionale il Lodo Schifani nel parte in cui diceva che le più alte cariche dello Stato (i presidenti della Repubblica, del Consiglio, del Senato, della Camera e della Corte Costituzionale) “non possono essere sottoposti a processi penali, per qualsiasi reato anche riguardante fatti antecedenti l'assunzione della carica o della funzione, fino alla cessazione delle medesime”. Ecco, nelle 18 pagine in cui i giudici della Consulta indicavano chiaramente i motivi per cui nessuno può fuggire dai processi, il presidente della Repubblica ha scelto le 12 righe in cui si nomina “l'apprezzabile interesse” ad assicurare “il sereno svolgimento di rilevanti funzioni" istituzionali. Lo stesso che aveva fatto con il Lodo Alfano: lo promulgò nel luglio di due anni fa, e anche allora si appellò alla sentenza della Consulta sul lodo Schifani. Un anno dopo, il 7 ottobre del 2009, la stessa Corte Costituzionale dichiarò che quella legge che sospendeva i processi per le più alte cariche dello Stato andava contro i principi della Carta: violava l'articolo 3, quello sull'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, e il 138, quello per cui le riforme costituzionali non possono essere fatte con legge ordinaria, ma necessitano di un procedimento aggravato. Evidentemente per il Colle questa volta questi principi non sono stati considerati un ostacolo. Napolitano, la scelta della firma, la rivendica da sempre: a due cittadini che un mese fa gli chiedevano di non firmare il decreto salva-liste aveva pubblicamente risposto “di non rivolgersi al Capo dello Stato con aspettative e pretese improprie” perché le sue scelte sono in linea con le “prerogative che la Costituzione attribuisce al Presidente della Repubblica, nei limiti segnati dalla stessa Carta e in spirito di leale cooperazione istituzionale”.

Una scelta in realtà il presidente ce l'aveva. Come ha fatto con il ddl lavoro, avrebbe potuto rinviare il testo alle Camere e chiedere modifiche almeno sui punti che presentano i maggiori dubbi di legittimità costituzionale. Tra le ipotesi circolate nei giorni scorsi, ad esempio, c’erano due punti su cui l'esame del Colle avrebbe potuto essere più approfondito: la possibilità che il legittimo impedimento sia “continuativo” (non richiesto volta per volta, ma valido per tutto il mandato) e che per concederlo sia sufficiente una autocertificazione della presidenza del Consiglio.

Napolitano adesso parla di un “contesto” di “leale collaborazione istituzionale fra autorità politica e autorità giudiziaria”: un’intesa, dunque, che non dovrà limitarsi al provvedimento promulgato ieri. Ora che ha ottenuto lo “scudo” – sembra chiedere il presidente – anche la politica sia leale con la magistratura. E faccia un passo indietro sul ddl sulle intercettazioni. Non è un caso che il Colle abbia atteso così a lungo prima della promulgazione di ieri. Aspettava segnali di distensione – dopo la bufera sul salva-liste e la torrida campagna elettorale – per decidere il da farsi. E la maggioranza si è adoperata per dargliene. Giovedì sera il presidente ha molto apprezzato la visita al Quirinale di Berlusconi e ieri – dopo il vertice tra Bossi e il Cavaliere – ha voluto ricevere anche il ministro Calderoli per capire se il cammino delle riforme condivise questa volta fosse cominciato davvero. Il banco di prova prescelto potrebbe essere proprio il ddl intercettazioni e la riforma della giustizia. Che, negli auspici del Quirinale, dovrebbero essere affrontati con una maggiore cautela dalla maggioranza che, con il legittimo impedimento, ha già incassato un risultato importante. Non a caso il Pdl ha rallentato l'iter della legge, rimandando il calendario dei lavori in commissione Giustizia al Senato per “cercare un dialogo con l'opposizione”. Il rischio è che però questo dialogo - nonostante ieri sera il Cavaliere si sia detto pronto ad un incontro con i leader dell’opposizione - si riduca alle premesse già annunciate dal ministro Alfano. Non si impiccheranno per un aggettivo, promette: sono disposti a togliere la parola “evidenti”, vicino agli indizi di colpevolezza che consentiranno di procedere alle intercettazioni. Ma la disponibilità al confronto potrebbe esaurirsi con questa sbianchettata. E a quel punto anche il Quirinale dovrebbe rassegnarsi a capire con chi ha a che fare.

1 commento:

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

TEMO CHE IL GIUDIZIO DELLA STORIA SARA' IMPIETOSO CON GIORGIO NAPOLITANO: MAGRA SODDISFAZIONE!