giovedì 10 giugno 2010

VEDI ALLA VOCE CAMILLERI


di Andrea Camilleri

DESIDERIO

Desiderio è una parola bellissima. Io credo che il desiderio sia una delle forze motrici dell’uomo e non è detto che sia sempre una mera soddisfazione del senso. Nel cinquanta percento dei casi ciò che desideri è soddisfare quel desiderio, attraverso il tatto, il palato… Ma io preferisco i desideri spirituali, i desideri dell’anima, i desideri del pensiero. Cercherò di spiegarmi meglio. Il desiderio carnale, dei sensi, si soddisfa con poco. Se desideri un buon odore, prendi una rosa, la odori e per un po’ il desiderio è soddisfatto; quando ti torna la riodori. Se hai desiderio di un pezzo di pane appena sfornato, con quel suo croccante, vai da un fornaio, te lo compri e l’hai soddisfatto di nuovo. Diverso è il desiderio che ti nasce dentro di qualcosa che ti manca, un qualcosa che ti manca che è difficile da spiegare. Io per esempio ho il desiderio di cose che dentro di me non ho. Desidero – e non ci arriverò mai – una sorta di appagamento del mio chiedere continuamente qualcosa a me stesso. Non c’è giorno che io non desideri – non di essere altro, perché sto benissimo come sono – di avere una più larga capacità del mio cervello, per fare un esempio, di capire le cose. Poco fa parlavo del senso della misura che ho di me stesso e delle mia capacità: ecco, vorrei tanto avere la possibilità di capire di più, è un desiderio intensissimo. Stendhal una volta scrisse i dieci desideri che voleva… poverino, ma sono terra terra quei suoi desideri. Devo dire che l’unica cosa che forse avrei voluto è un cervello capace anche di capire fenomeni che mi sfuggono. Cercherò di essere ancora più chiaro: desidererei avere dentro di me, per esempio, il cervello di un santone indiano. La capacità del controllo del proprio corpo, il desiderio del controllo dei propri desideri. E questo è molto difficile. È una sconfitta sicura. Come diceva Picasso, resterà sempre un desiderio che cerchi di acchiappare per la coda, ma quello è andato avanti e non lo raggiungerai mai.

FASCISMO

Il Fascismo io l’ho vissuto, perché nel 1943 avevo diciotto anni, quindi fino a diciotto anni ho vissuto sotto il Fascismo, subendo tuttavia una certa metamorfosi. A dieci anni, la mia aspirazione era di partire volontario e andare a combattere in Abissinia: per questo scrissi una domanda di volontario a Mussolini, perché il mio ideale era andare ad ammazzare gli abissini. Sono state le letture che hanno cominciato a farmi capire alcune cose, non letture direttamente antifasciste. Perché bastava leggere, per capire che c’era qualcosa che non funzionava in Italia in quegli anni. Poi arrivò il colpo in testa. Faccio un esempio: Uomini e no di Vittorini ti dimostrava un’altra realtà negli anni Quaranta. Ma attraverso le maglie della censura filtrò La condizione umana di André Malraux e quella fu la botta vera. Quella notte che finii di leggere il romanzo – lo ripeto e non mi stancherò di farlo – intere masse di cellule cerebrali si spostarono nel mio cervello, tant’è vero che mi venne la febbre e mi alzai con delle macchie tanto era stato il capovolgimento totale delle mie idee. È lì che io divenni comunista. Ancora non sapendolo. Questa storia è avvenuta specularmente alla mia coetanea Rossana Rossanda dall’altra parte dell’Italia, lei si trovava a Trieste mentre io mi trovavo a Porto Empedocle, stavamo ai due poli opposti del’Italia. E francamente, cominciai a essere antifascista. Insomma, a non essere d’accordo: a non volere più partecipare alle adunate, a trovare tutti gli escamotage possibili e immaginabili. Ma non era facile, perché era una crescita completamente isolata, una maturazione dolorosa che avveniva dentro te stesso, senza avere il conforto di nessuno. Perché non sapevi se potevi confidarti con gli amici e soprattutto la cosa rappresentava un conflitto enorme nei riguardi di mio padre, che era fascista, squadrista e marcia sua Roma. Lui non era un fanatico e di questo gliene sarò eternamente grato. Nel 1938 un mio compagno di scuola venne ad abbracciarmi, dicendomi: “Da domani non posso più frequentare”. Gli chiesi perché e lui rispose: “Perché sono ebreo”. “E che significa?”chiesi io. “E significa, significa che non posso più venire a scuola” disse, e se ne andò. Quando tornai, a tavola chiesi a papà: “Ma perché questo mio amico ebreo non può più venire a scuola con noi?”. E mio padre partì in quarta, contro Mussolini non contro gli ebrei. Mio padre era questo personaggio. Via via che passano gli anni, via via che divento vecchio sempre più mi rendo conto che del Fascismo mi ha colpito la stupidità, l’imbecillità sovraumana, che vedo ahimè riprodursi sotto altre forme in questi ultimi anni. Per questo ho tentato di esorcizzare e di capire il Fascismo scrivendo tre libri. Uno è La presa di Macallé che venne equivocato come un romanzetto pornografico. Ma figurati! C’era tutt’altra volontà dietro: il bambino superdotato era la metafora, il simbolo della virilità fascista, identica a ciò che avviene oggi, sia pure mediata dal Viagra o da iniezioni varie ma comunque esibita. Poi ho fatto Privo di titolo, dove c’è la finzione, la virtualità del fascismo. E l’ultimo Il nipote di Negus, nel quale descrivo la stupidità e l’imbecillità del Fascismo. Spero di non doverne scrivere più. Vale per tutti Brancati. Brancati è stato un grande scrittore, un liberale autentico, talmente autentico da dire che in Sicilia non si può essere liberali se non si è comunisti. Fino ai ventidue anni Brancati era un fascista di quelli duri, aveva scritto un dramma – Piave – che terminava così: “Camerata Mussolini, presente”; perché Mussolini venne ferito durante la Prima guerra mondiale. E l’altro era un romanzo buono, ma di sentimento fascista: L’amico del vincitore. Durante il periodo fascista, Brancati, crescendo, cambiò idea e si vergognò di se stesso; ma ebbe il coraggio di scriverlo e lo scrisse anche durante il Fascismo: “Nei miei vent’anni un imbecille con lo stesso mio nome e cognome scriveva dei libri ecc.”. Infatti, ci succedeva di avere all’improvviso come un risveglio e di chiedersi “ma che è? Dove mi trovo? Perché sto facendo questo?”. Ecco è l’istupidimento la cosa che ricordo di più, e mi fa paura perché credo che la vocazione alla stupidità sia nell’uomo talmente innata che bisogna continuamente tenerla sotto controllo. Una volta in taccuino ho letto un appunto di Baudelaire che diceva: “Oggi alle ore 15.00 ho sentito l’ala della stupidità sfiorarmi la fronte”. C’è un momento nella vita nel quale si è assolutamente stupidi, l’importante è lasciarlo dentro la cornice di quel momento. Non voglio più parlarne del Fascismo, perché subito dopo la Liberazione, nel ’45, un grande giornalista americano pubblicò un articolo sulla rivista Mercurio intitolato “Non lo avete ucciso”. Diceva che in realtà il Fascismo non l’avevamo ucciso, inutile averlo sparato o appeso a piazzale Loreto, il Fascismo ritornerà in Italia per anni e anni e anni, per venti e trent’anni, perché è un male che si radica ed è difficilissimo da estirpare. Cambierà forma, cambierà aspetto ma tornerà. All’epoca io mi arrabbiai moltissimo e dissi: “Quest’americano non capisce niente”. Invece, quel giornalista aveva capito tutto. Giorgio Almirante forma il Movimento sociale italiano esattamente un anno e due mesi dopo la Liberazione e due anni dopo, alle elezioni, i primi deputati del Msi – che allora era fascista senza se e senza ma – entrano nel Parlamento italiano. Il fascismo può riprodursi, è come quei virus mutanti che cambiano forma e per i quali ogni volta bisogna cercare di adattare il vaccino. Ma loro tornano e bisogna starci molto attenti.

MAGISTRATI

Tocchiamo un tasto dolente… Probabilmente tra i miei antenati dovevano esserci dei delinquenti a livelli mostruosi, perché io istintivamente ho sempre provato una sorta di repulsione berlusconiana nei riguardi dei magistrati. Una sera feci addirittura un salto dalla sedia, quanto sentii un magistrato che mi piaceva e che era molto bravo – soprattutto l’apprezzavo moltissimo perché era venuto in Sicilia a sostituire il povero Falcone, che era saltato in aria –, il magistrato Gian Carlo Caselli da Torino. C’era una trasmissione televisiva che si chiamava Italiani d’oggi e siccome presentava degli italiani di oggi, veri, la cosa la seguivo. E quella sera c’era Caselli. Arrivato a un certo punto l’intervistatore gli chiese: “Ma lei, piemontese, come fa a capire i siciliani?”. E lui rispose: “Mah, leggendo molto i siciliani, e soprattutto Camilleri” e tirò fuori dalla tasca il mio volumetto Il gioco della mosca. Io ebbi un brivido, mia moglie è testimone. E mi venne da dire: “Perché dice il mio nome questo qui?”. Cioè reagii non da Camilleri, ma da cittadino che non ama nemmeno essere citato da un magistrato… nessun orgoglio da scrittore. Devo dire che negli ultimi tempi mi sono trovato a doverli difendere. Infatti una volta che c’era una riunione di magistrati alla quale mi avevano invitato, io esordii dicendo: “Una cosa che non perdonerò mai a Berlusconi è quella di avermi costretto a difendervi”. Ecco, questo lo dissi facendo calare il gelo sulla platea. Certo, quando si parla della mafia, dei siciliani mafiosi, ci si dimentica facilissimamente che nel novanta per cento dei casi i magistrati, i poliziotti, i carabinieri che sono stati ammazzati dalla mafia erano siciliani come i mafiosi. Questo va detto, tanto per stabilire i giusti pesi sulla bilancia. Quella era quindi una mia iniziale diffidenza, d’altra parte comprovata da anni di magistratura asservita al potere politico: durante gli anni della Democrazia cristiana la magistratura è stata tranquillamente asservita al potere politico. Durante gli anni del Fascismo, quando il Fascismo chiese a tutti i dipendenti dello Stato (professori universitari…) il giuramento di fedeltà al Regime fascista, solo dodici professori universitari riscattarono l’onore di tutti, non giurando e facendosi licenziare. Ma i magistrati giurarono tutti fedeltà al Fascismo, quindi un motivo di diffidenza era ben più che giustificato da parte mia. È stato vedere il coraggio di certi magistrati, pagato a prezzo della vita, che mi ha fatto cambiare completamente idea. D’altra parte però, attenzione: i magistrati non sono esseri superiori, sono uomini come me e come voi, quindi soggetti a errori, soggetti a passioni, soggetti a tutto. Spesso e volentieri fanno uno sforzo sovrumano di astrazione da quelle che sono le proprie personali idee nel giudicare. Certe volte non ce la fanno, e con ciò? È un’imperfezione prevedibile all’interno del corpo della magistratura. Non credo che la magistratura possa perseguitare qualcuno che gli sta antipatico. Deve sempre muoversi sempre dentro binari. Tra l’altro, vorrei ricordare che in Italia ci sono tre ordini di giudizio, ed è difficile che oggi si commetta l’errore giudiziario, difficilissimo. L’errore può essere commesso nel primo processo, ma nel secondo e nel terzo comincia a essere problematico. La diversità stessa dei magistrati a essere una garanzia di oggettività.

3 commenti:

Armando ha detto...

primoooooooo!

Armando ha detto...

cavolo la moderazione allora può darsi che non sia il primo.

Armando ha detto...

desiderio:

Bellissimo desiderare qualcosa ma se questo qualcosa non dovesse bastare più diventerebbe un problema proprio come nella società di oggi. Si desidera di tutto e di più.

fascismo:

a me sta capitando oggi quello che capitava a te a 18 anni solo che io ne ho 35 di anni.

magistratura e giustizia:

ci credo fermamente anche se oggi il denaro guasta tutto pure gli uomini di legge.

un saluto