giovedì 15 luglio 2010

IL CARCERE CATTIVO CHE CREA SOLO VENDETTA


Nella sovraffollata prigione di Padova dove regnano caldo e silenzio

di Erminia della Frattina

Padova

Quando chiedo se in cella hanno un ventilatore mi ridono in faccia. “Ventilatori? Ne abbiamo ottenuti due per la sala colloqui, perché i familiari dopo aver affrontato magari un viaggio lungo – molti detenuti non sono italiani – e diverse perquisizioni si ritrovano a incontrare padre, madre o figlio carcerato in un forno”.

Casa di reclusione Due Palazzi di Padova. Un carcere costruito alla fine degli anni ‘80 per ospitare 300 persone in celle di 3 metri per 3. Ora i detenuti sono 820, e in quelle celle vivono in 3: un letto a castello e una brandina. Per camminarci dentro due devono stare seduti sul letto, così il terzo si muove. “In cella ho due tossici, vorrei studiare perché mi sono diplomato qui dentro e mi sono iscritto all’università” racconta Milton, croato che sconta 12 anni per traffico d’armi (ne ha già fatti 11). “Beato te, almeno stanno sdraiati tutto il giorno così giri per la cella facilmente”, ridono gli altri. È l’unica arma che hanno adesso, l’ironia.

In ogni cella c’è uno spazio angusto con vicinissimi fornellino per scaldare i pasti e tazza del bagno. “Anche lì tocca darsi i turni. Ma l’igiene non è il massimo”, dice Rachid, tunisino, una condanna per omicidio e le fiamme nere dei tatuaggi sulle braccia.

D’estate quando esplode il caldo le celle diventano impossibili, soprattutto di notte: oltre al cancello in ogni cella si chiude anche la porta blindata, dalle 23 fino alle 6. Dentro 3 persone in 3 metri quadrati e almeno 30 gradi. “Rischiamo di fare la fine dei sorci”, dice Milton. “Quando chiudono il blindo quelli della 3a e 4a sezione battono sulle sbarre della finestra, è impossibile dormire – racconta Rachid”. Sono quelli che non hanno niente da perdere, stranieri spesso clandestini, a volte tossici. “Dopo l’ultima protesta li hanno trasferiti ed è finito tutto”. Un ‘capoposto’, i poliziotti responsabili di una sezione, ha chiesto al direttore di tenere aperti i blindi di notte e qualche ventilatore in cella. Tentativo ancora in attesa di risposta, come quelli che stanno facendo da un pezzo i volontari e gli operatori del carcere. “Mi sono informata sulla situazione in altre case di reclusione – racconta Ornella Fa-vero, direttore responsabile di Ristretti Orizzonti, la rivista mensile del carcere, volontaria da 14 anni al Due Palazzi – a Torino i blindi li tengono aperti. Speriamo che anche qui abbiano un po’ di coraggio, non credo ci siano rischi, ci sono i cancelli chiusi a doppia mandata”.

Ma paradossalmente il caldo è quasi il problema minore: “Sembra che il sole ci porti via il cervello”. È Dritan, albanese, sconta 30 anni per omicidio. Sta al reparto 5° di quelli che lavorano. Le celle di giorno sono aperte, un lusso riservato anche al 1° reparto, quello degli studenti. “Ho girato tanti carceri, questo è decente. Però siamo 150 detenuti con 5 docce, facciamo file di ore per lavarci. Ma la cosa peggiore è chi sta 20 ore in cella senza fare niente. Io sono impegnato in un’attività, ma d’estate le scuole sono chiuse e non c’è lavoro per tutti”. Rimangono caldo e silenzio, quando va bene. In carcere è entrata anche la crisi, e i tagli hanno colpito le forniture minime assegnate ai detenuti: shampoo, sapone, detergenti e disinfettanti sono centellinati. “I detenuti più poveri non hanno nulla per lavarsi, sopravvivono in condizioni decenti solo quelli che hanno le famiglie che li aiutano o che lavorano”. Igiene e salute preoccupano molto i “ristretti”, così si chiamano i detenuti, impegnati a combattere una fiorente colonia di scarafaggi che di notte entra in massa nelle celle. “Le disinfestazioni servono a poco, nei corridoi ogni tanto vedi file di cadaveri di scarafaggi. Ma quando spengo la luce per dormire è guerra: appena entrano dalla finestra li colpisco con uno strofinaccio, ne ammazzo a decine”. Il racconto è di Sandro, un passato da rapinatore e un amore grande per la figlia 20enne che non lo ha mai abbandonato: quando ne parla si scioglie. Racconta la necessità che siano distribuiti disinfettanti, vorrebbe pulirsi bene la stanza.

Persino il sovraffollamento, per quanto pesante, non è quello che schianta i detenuti. La vera pena da scontare sono gli affetti negati, le difficoltà a incontrare i familiari (ogni detenuto ha 6 ore al mese di colloquio) in due stanze piccole con una decina di tavoli ciascuna, un detenuto per tavolo. “Ognuno può incontrare 3-4 familiari, ma quando sono rom arrivano sempre con tanti bambini”, racconta Rachid. Significa un chiasso infernale, difficile comunicare. “Abbiamo sbagliato, è giusto pagare per i reati commessi – Elton Kalica, albanese, un talento per la scrittura e una condanna a 16 anni per sequestro di persona – ma è giusto anche permetterci di mantenere le relazioni con i familiari, per uscire da qui sereni”. Le stanze dell’affettività ipotizzate e mai realizzate sono un miraggio. In Svizzera, Spagna e Germania ci sono stanze dove i ristretti passano qualche ora con la famiglia, in intimità. “In Italia i media le hanno chiamate ‘stanze a luci rosse’. Ma perché si pensa sempre al sesso? E poi che male ci sarebbe a fare sesso con la propria moglie?” dice Elton. E questo è l’altro nodo: se la pena deve essere rieducativa, ha senso costringere i detenuti a fare telefonate di 10 minuti e solo a numeri fissi (da poco sono consentite con mille restrizioni le chiamate a cellulari) una volta la settimana in orari precisi, previa autorizzazione vistata dal direttore? “Ogni telefonata sono carte da compilare, se poi a quell’orario non trovi nessuno devi aspettare la settimana dopo. Quelli più fragili si scoraggiano e non chiamano più”, dice Elton. “Una galera in queste condizioni non crea alcuna sicurezza, si esce da qui pieni di rabbia, facile essere recidivi”, chiude Milton. “Un carcere così crea solo vendetta”, taglia corto Rachid.

3 commenti:

LaMeska ha detto...

Bel pezzo..però poteva evitare di scriverei motivi per cui sono reclusi...

Giada
http://mentecoerente.blogspot.com/2010/06/vita-dentro.html

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

Ho iniziato a risponderti sul tuo blog. Mi riprometto un commento più meditato e informato.

LaMeska ha detto...

Grazie! Le ho già risposto :)