martedì 20 luglio 2010

“LA POLIZIA INDAGHI SENZA IL PM”


Lo dice Mantovano su “Il Foglio” Ma il Pd e i finiani sono contrari

di Eduardo Di Blasi

Alfredo Mantovano, sottosegretario all’Interno, ha scelto le colonne de Il Foglio per illustrare la propria teoria sul rapporto tra polizia giudiziaria e pm. Ha spiegato che, prima del 1989, con il vecchio codice di procedura penale, “le indagini venivano svolte con una discreta autonomia” dalla prima, avendo solo il vaglio del pm o del giudice istruttore. E ne ha concluso che quel sistema era migliore. Perché oggi, “il pm è diventato il dominus della repressione criminale, colui che decide su cosa indagare, chi indagare e come farlo”, e così facendo, sarebbe riuscito anche a vanificare “l’obbligatorietà dell’azione penale, sancendo di fatto la atipica discrezionalità dell’ufficio di procura, o del singolo pm”.

Questo perché, prosegue, il pm predilige “l’ipotesi di reato importante, che dà soddisfazione e notorietà, e che magari colpisce il presunto potente, e invece resta fermo il fascicolo contenente una denuncia per truffa, o una informativa per furto”.

Di più, questo pm avrebbe “la pretesa di governare a mezzo di provvedimenti giudiziari in settori che appartengono alla esclusiva responsabilità di istituzioni che non sono la magistratura”. E il riferimento, che in realtà anima l’intera esposizione, è alla fresca condanna in primo grado del comandante dei Ros Giampaolo Ganzer (14 anni in primo grado per traffico di droga), e ai processi istituiti a vario titolo su Mario Mori, Gianni De Gennaro, Niccolò Pollari. Che, in sostanza, si afferma, non dovevano essere indagati.

L’articolo si conclude con una doppia esortazione: alla maggioranza e al governo, affinchè si attivino in tempi rapidi, e a “quella parte della sinistra – oggi non particolarmente presente nel dibattito, ma che pure esiste – a cui non va di avallare questa deriva”.

IN VERITÀ la proposta sul tema, il governo l’aveva presentata due anni fa, parte integrante delle nuove norme sul processo penale che riprendevano un testo depositato nel 2006 dall’avvocato del premier Niccolò Ghedini. All’epoca, nel 2008, la proposta fu motivo di roventi polemiche essendo considerata figlia diretta di una apertura di credito che il Pd Luciano Violante aveva fatto dalle colonne de Il Giornale, il 2 di settembre, affermando: “Il ruolo della polizia è stato schiacciato dal ruolo del pm” e ricevendo immediato sostegno dallo stesso Ghedini sullo stesso giornale. Sono proposte, d’altronde, che tornano con una certa costanza nel dibattito politico, quelle enunciate da Mantovano. Addirittura nel 1999 furono i Ds dell’allora segretario Walter Veltroni a chiedere che la polizia giudiziaria avesse maggiori poteri e che comunicasse al pm anche “con ritardo”, vale a dire senza porsi i limiti di tempo previsti dall’articolo 347 del codice di procedura. Ma parliamo di un’altra epoca politica. Più tardi, infatti, l’idea sarebbe stata rilanciata dal deputato Carlo Taormina nel 2005, da Ghedini nel 2006, da Alfano nel 2008. Eppure la riforma del processo penale resta per adesso in Commissione Giustizia al Senato, senza dare l’impressione di accelerare.

Oggi, infatti, se Mantovano non trova sponde nemmeno nella propria maggioranza (la pattuglia dei finiani ha già mostrato la propria contrarietà con un intervento su Micromega di Fabio Granata), il Pd si mostra molto freddo sull’uscita del sottosegretario. Di più: Andrea Orlando, responsabile Giustizia del partito Democratico, vi legge un’alzata di scudi di Mantovano proprio contro Alfano: “Ci sta dicendo che non apprezza la divisione delle carriere così come voluto dal Guardasigilli”, afferma. E spiega: “Perché in un sistema come quello immaginato dal Pdl, con i pm che dipendono dal potere politico, la ‘pubblicizzazione’ dell’azione giudiziaria del pubblico ministero di certo non sarebbe attenuata. Al contrario: per acquisire visibilità sarebbe spinto a muoversi diversamente”. Orlando ritiene d’altronde che la maggioranza e il governo continuino a muoversi “a orologeria”, ritenendo che gli interventi, pubblici o legislativi che siano, arrivano sempre a seguito di indagini o di condanne.

SEMPRE DAL PD d’altronde, anche chi mostra preoccupazione per le indagini sui graduati delle forze di polizia, come Emanuele Fiano, ritengono che il discorso del sottosegretario non stia in piedi. “La condanna di Ganzer - afferma - non può lasciare indifferenti, e credo che sul tema possa esserci un ragionamento sereno tra maggioranza e opposizione. Ma certo non credo possa trattarsi di un complotto dei pm, o che si debba ridisegnare il rapporto tra pg e pm. Anche perché, in questo caso, stiamo parlando di una condanna di primo grado”. Dello stesso avviso il vicecapogruppo Pd al Senato Felice Casson, che fornisce anche una prospettiva storica, essendo stato pm prima dell’89, quando era in vigore la vecchia legge. “Polizia giudiziaria e pm devono lavorare di comune accordo - spiega - perché solo così ottengono risultati. Prima dell’89, poi, non è che la polizia giudiziaria viaggiasse per conto proprio come afferma Mantovano”. Infine, ricorda, non è nemmeno vero che con quella formulazione non si potesse processare Ganzer: “Su Ganzer aprii un’inchiesta anche io”.

1 commento:

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

INDUBBIAMENTE, UNA VERA "FACCIA DI TOLLA"!