di Antonella Mascali
Gli interessi personali, i guai giudiziari da arginare e cancellare con un colpo di spugna, innanzitutto. E così il Lodo Alfano è stato il primo pensiero tramutato in legge del governo Berlusconi in carica. Approvato a tempo di record in 26 giorni, il 22 luglio del 2008. Il giorno dopo, il presidente Napolitano lo ha firmato. Con effetto immediato sono stati sospesi per Berlusconi i processi Mediaset, sulla compravendita dei diritti tv e quello per la corruzione del testimone David Mills. L’avvocato inglese invece è stato giudicato corrotto, anche dalla Cassazione, che però ha dichiarato prescritto il reato.
I giudici milanesi di entrambi i processi si sono rivolti alla Corte costituzionale. Tredici mesi dopo, il 7 ottobre 2009,
Nei giorni dello scandalo, il presidente Francesco Amirante, disse: “
Diventato carta straccia anche il secondo Lodo, i processi di Milano sono ripresi. Un fatto inaccettabile per Berlusconi e i suoi fidi avvocati-parlamentari Nicolò Ghedini e Piero Longo. Che quindi hanno escogitato un altro scudo. Diverso nella forma, per aggirare quanto stabilito dalla Consulta, ma uguale negli effetti: ibernare i processi del primo ministro. La legge è stata ribattezzata “legittimo impedimento”: serve al premier e agli amici ministri (vedi Brancher). È una norma a tempo, valida per 18 mesi, in attesa di un lodo Alfano costituzionale. Un unico comma che integra l’articolo 420-ter del codice di procedura penale, sull’impedimento a comparire dell’imputato o del difensore: “L’esercizio della funzione di governo da parte del presidente del Consiglio dei ministri e dei ministri costituisce, ad esclusione dei procedimenti per i reati commessi nell’esercizio delle loro funzioni, legittimo impedimento a comparire nelle udienze”. Un certificato del segretario generale di Palazzo Chigi e il gioco è fatto. La legge per i comuni mortali, e che si applicava fino al 7 aprile, anche ai ministri, prevede che un impegno istituzionale non sia di per sé legittimo impedimento.
Infatti una sentenza della Cassazione sul caso Previti, ha stabilito che i giudici devono armonizzare il calendario delle udienze in base gli impegni parlamentari di un imputato ma anche alla ragionevole durata del processo.
Nessun commento:
Posta un commento