venerdì 2 luglio 2010

PRENDI IL LODO E SCAPPA, LA FUGA DEL CAVALIERE DAI PROCESSI


di Antonella Mascali

Gli interessi personali, i guai giudiziari da arginare e cancellare con un colpo di spugna, innanzitutto. E così il Lodo Alfano è stato il primo pensiero tramutato in legge del governo Berlusconi in carica. Approvato a tempo di record in 26 giorni, il 22 luglio del 2008. Il giorno dopo, il presidente Napolitano lo ha firmato. Con effetto immediato sono stati sospesi per Berlusconi i processi Mediaset, sulla compravendita dei diritti tv e quello per la corruzione del testimone David Mills. L’avvocato inglese invece è stato giudicato corrotto, anche dalla Cassazione, che però ha dichiarato prescritto il reato.

I giudici milanesi di entrambi i processi si sono rivolti alla Corte costituzionale. Tredici mesi dopo, il 7 ottobre 2009, la Consulta ha dichiarato incostituzionale lo scudo. Ha confermato un principio fondante della nostra Repubblica: l’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge. Infatti hanno stabilito che è stato violato l’articolo 3 della Costituzione. Non solo. Anche l’articolo 138 della Carta, che regola le riforme da approvare per via costituzionale. Invece, il lodo Alfano, è stato approvato con legge ordinaria, anche perché altrimenti non sarebbe mai passato in Parlamento. La bocciatura è stata presa da Berlusconi con il solito aplomb istituzionale che lo contraddistingue: la Corte costituzionale è composta da “giudici comunisti”, nominati da un presidente della Repubblica “comunista”. Dimenticandosi che Napolitano aveva firmato la legge nonostante fosse la fotocopia (unica eccezione, nessun privilegio per il presidente della Consulta), del vecchio scudo processuale, il “Lodo Schifani”, bocciato dalla Corte costituzionale nel 2004. Forse per un’amnesia temporanea, Berlusconi si è dimenticato anche dei suoi amici dentro la Consulta: i giudici Luigi Mazzella e Paolo Maria Napolitano, compagni di banchetto assieme al ministro Alfano, al sottosegretario Gianni Letta e al presidente della commissione Affari costituzionali, Carlo Vizzini alla ormai famosa cena del maggio 2009.

Nei giorni dello scandalo, il presidente Francesco Amirante, disse: “La Corte costituzionale nella sua collegialità deciderà come ha sempre fatto, in serenità e obiettività, le questioni sottoposte al suo giudizio”. Così è stato.

Diventato carta straccia anche il secondo Lodo, i processi di Milano sono ripresi. Un fatto inaccettabile per Berlusconi e i suoi fidi avvocati-parlamentari Nicolò Ghedini e Piero Longo. Che quindi hanno escogitato un altro scudo. Diverso nella forma, per aggirare quanto stabilito dalla Consulta, ma uguale negli effetti: ibernare i processi del primo ministro. La legge è stata ribattezzata “legittimo impedimento”: serve al premier e agli amici ministri (vedi Brancher). È una norma a tempo, valida per 18 mesi, in attesa di un lodo Alfano costituzionale. Un unico comma che integra l’articolo 420-ter del codice di procedura penale, sull’impedimento a comparire dell’imputato o del difensore: “L’esercizio della funzione di governo da parte del presidente del Consiglio dei ministri e dei ministri costituisce, ad esclusione dei procedimenti per i reati commessi nell’esercizio delle loro funzioni, legittimo impedimento a comparire nelle udienze”. Un certificato del segretario generale di Palazzo Chigi e il gioco è fatto. La legge per i comuni mortali, e che si applicava fino al 7 aprile, anche ai ministri, prevede che un impegno istituzionale non sia di per sé legittimo impedimento.

Infatti una sentenza della Cassazione sul caso Previti, ha stabilito che i giudici devono armonizzare il calendario delle udienze in base gli impegni parlamentari di un imputato ma anche alla ragionevole durata del processo. La Consulta che ha bocciato il lodo Alfano, ha recepito quella sentenza e ha ricordato che il legittimo impedimento “nella sua pratica applicazione va modulato in considerazione dell’entità dell’impegno addotto dall’imputato”. Quindi, non è scontato che tutti gli impegni istituzionali siano legittimo impedimento. La leggina ad hoc, che ha ribaltato il codice e ha tolto di mezzo i pronunciamenti dei massimi organi giudiziari, è già approdata alla Corte costituzionale. Vi si sono rivolti i giudici dei processi Mediaset e Mills e anche il gup del procedimento Mediatrade-Rti. Imputato per corruzione in atti giudiziari, falso in bilancio, e appropriazione indebita, sempre lui. Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi.

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