Di Antonio Padellaro
Non è affatto un caso che nel giorno della manifestazione di Piazza Navona contro la legge bavaglio, la banda Berlusconi abbia raddoppiato lo scempio del cosiddetto Lodo Alfano: uno scudo totale, oltre che per il capo dello Stato, per il premier e i suoi ministri con la sospensione dei processi iniziati prima di assumere l’incarico.
Un’assoluta vergogna a cui, ne siamo certi, al momento opportuno Napolitano saprà sottrarsi. Né deve destare meraviglia l’esultanza con la quale il Pdl ha accolto la condanna in appello per reati di mafia a “soli” sette anni di Marcello Dell’Utri. E neppure può sorprendere l’insistenza del suddetto senatore, fresco di sentenza, nel definire “eroe” il boss Mangano.
Questa, lo sappiamo bene, è gente pericolosa che esercita il potere come una gang organizzata. Ma di una cosa bisogna dargli atto: che non si nascondono.
Non dimentichiamo mai che l’Italia, nazione allegra, piacevole, culla di civiltà, di poeti, scienziati, navigatori eccetera, ha inventato il fascismo. E che lo ha esportato con successo in Europa.
Quasi un secolo dopo, il nostro vivace Paese sta sperimentando una forma avanzata di gangsterismo politico. Non si spiegherebbe altrimenti la sfrontata protervia con cui gli uomini del capo si comportano inneggiando a Cosa Nostra. Del resto, ormai, le leggi sono loro. Ne hanno quante ne vogliono e di tutti i tipi. E poiché nessuno più potrà mandarli in galera per nessun motivo, stravaccati nei loro palazzi ricolmi di escort e di coca, forse anche un po’ annoiati, devono essersi detti: perché dietro le sbarre non ci mandiamo gli altri?
Nasce così la legge sulle intercettazioni beffardamente spacciata come difesa della privacy. Essa invece rappresenta un paradossale sovvertimento del diritto che con un doppio salto mortale passa, dalle mani degli onesti a quelle dei disonesti. Pensate al godimento di chi ha passato la vita a scappare da giudici e carabinieri, poter minacciare i giudici e i carabinieri. E che soddisfazione mandare dietro le sbarre i giornalisti rompicoglioni e a gambe all’aria gli editori disobbedienti. È sopportabile tutto ciò?
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