LUCIA ANNUNZIATA
Quel che avrebbe potuto essere. C’è una sorta di tristezza nella foga con cui Silvio Berlusconi sta provando in queste ore a rassicurare tutti sulla tenuta del suo governo.
Comprensibilmente. Qualunque sia l'analisi che se ne fa, e qualunque ne sarà lo sbocco, la rottura dentro il Pdl lascia come principale vittima sul terreno il sogno che il Premier aveva accarezzato nei primi mesi del suo terzo governo.
Quello di divenire l’uomo che dopo aver spaccato l'Italia l’avrebbe ricostruita, trasfigurandosi da leader di parte in Statista. Quello che avrebbe potuto essere, appunto. Per misurare il reale impatto nel governo della crisi di questi giorni, occorre riandare con la memoria agli straordinari inizi e successi della attuale legislatura. Nell’aprile del 2008 Silvio Berlusconi tornava a Palazzo Chigi in maniera inaspettata, dopo un brevissimo governo Prodi che aveva consegnato alle ceneri ogni futuro della sinistra. Tornava sull’onda della crisi della spazzatura, uomo del destino, uomo di popolo, santino di una Napoli che adora i Masaniello, e raccoglieva una maggioranza senza precedenti nelle legislature del dopoguerra. L'uomo del fare sembrò confermare la sua fama pochi mesi dopo l’elezione, con la sua reazione al terremoto dell’Aquila: subito in mezzo alla gente, risolutore, risanatore, affettuoso leader.
Agli occhi della sua maggioranza più che l’avvio di una legislatura, quel primo anno di Silvio Berlusconi sembrò l’inizio di un intero futuro. In quei mesi circolava nelle vene delle aule di governo una fiducia senza limiti, che poteva essere paragonata solo alla disperazione con cui il centro-sinistra si immergeva in una lenta autodistruzione che avrebbe portato alle dimissioni di Veltroni. Persino in quel centro-sinistra si immaginava che Berlusconi avrebbe governato per sempre: «Durerà venti anni» si sentiva dire dappertutto.
Se si vanno a rileggere oggi i giornali e i commentatori politici di allora, vi si troveranno gli scenari di quell’entusiasmo: si vedeva già Silvio al Quirinale, dopo una rapida riforma che avrebbe trasformato apposta per lui un sistema Parlamentare in uno Presidenziale; si parlava già persino di manovre per accorciare
Dentro i successi e la sicurezza di quel primo anno prese forma una convinzione più grande della stessa leadership, o, se volete, un sogno: che si fosse arrivati a una vera svolta nella storia, che l’Italia fosse pronta a diventare un nuovo Paese e che Silvio potesse diventare l’uomo che dopo averla divisa, sfondata, cambiata, poteva riunificarla.
Perché non immaginarlo, d’altra parte? Nel suo terzo governo (formalmente quarto, per via di un rimpasto nel 2005) Berlusconi riceve un consenso persino da quella élite del Paese che per lungo tempo si è tenuta lontana: direttori di giornali, imprenditori, artisti, intellettuali ammettono la sua potenza. Se si rilegge oggi la collezione di - ad esempio - «il Foglio», si capirà bene la ampiezza del sogno.
Il momento più alto di questa tendenza è raggiunto il 25 aprile del 2009, festa di sinistra cui di solito il Premier si è sempre sottratto. Per questo 2009 «il Giornale» invece annuncia: «Silvio ci sarà e sarà una prima volta storica». Effettivamente ci va e sceglie una location significativissima: il paesino di Onna, da poco devastato dal terremoto, teatro in passato di un eccidio nazista, patria della «leggendaria» (parole di Berlusconi) brigata partigiana Maiella. Vi pronuncia un discorso che ancora oggi è il più serio invito mai pronunciato dal premier alla riunificazione dell’Italia: «In quel momento - dice parlando della Resistenza - tanti Italiani di fedi diverse, di diverse culture, di diverse estrazioni si unirono per seguire lo stesso grande sogno, quello della libertà. Vi erano fra loro persone e gruppi molto diversi. Vi era chi pensava soltanto alla libertà, chi sognava di instaurare un ordine sociale e politico diverso, chi si considerava legato da un giuramento di fedeltà alla monarchia. Ma tutti seppero accantonare le differenze, anche le più profonde, per combattere insieme. I comunisti e i cattolici, i socialisti e i liberali, gli azionisti e i monarchici, di fronte a un dramma comune, scrissero, ciascuno per la loro parte, una grande pagina della nostra storia». Segue un elogio alla Costituzione, che suona ancora oggi sorprendente, se si pensa a tutte le polemiche successive: «Una pagina sulla quale si fonda la nostra Costituzione, sulla quale si fonda la nostra libertà. Fu nella stesura della Costituzione che la saggezza dei leader politici di allora, De Gasperi e Togliatti, Ruini e Terracini, Nenni, Pacciardi e Parri, riuscì ad incanalare verso un unico obiettivo le profonde divaricazioni di partenza. Benché frutto evidente di compromessi,
Il discorso irrita i nemici acerrimi, spiazza tutti, e commuove i partigiani - i quali applaudono il premier, lo circondano quando scende dal palco e gli regalano il fazzoletto della Brigata Maiella. Circondato a quei vecchi eroi, con sulle spalle quel fazzoletto simbolo della resistenza, Berlusconi fa il giro del paese terremotato. Il giorno dopo il suo consenso è, secondo tutti i sondaggi, il più alto che abbia mai raccolto. Ma è anche l’ultimo momento di felicità del Premier. Il giorno dopo, il 26 aprile, si reca a Casoria alla festa di una ragazzina di 18 anni. Una decisione che segna simbolicamente una lunga discesa in un lungo anno, fra polemiche, scandali, divisioni, inchieste e dimissioni. Fino alla separazione di questi giorni.
Di quello che accadrà ora, dopo la crisi apertasi con Fini, è difficile dire. Silvio Berlusconi ha dimostrato in questi quindici anni di politica, di essere un uomo forte, astuto, cocciuto, cinico, abile, popolare. Ha dimostrato insomma di essere un vero politico, e infatti ha saputo più volte risorgere dalle sue difficoltà. I segni della sua popolarità sono ancora forti anche in queste ore, e se si andasse a votare presto rivincerebbe. Ma nemmeno una nuova vittoria potrebbe riportarlo indietro al tempo di cui abbiamo parlato. La crisi ha tolto al premier la sua onnipotenza, la sua intangibilità, il suo «magico». Un governo che in soli due anni arriva a schiantarsi su una crisi parlamentare, sia pur controllata, è infatti solo un governo come tanti altri. E di conseguenza, Silvio Berlusconi si è lui stesso ridimensionato a un politico come tutti gli altri. Il giocattolo che aveva nelle mani quando ha riattraversato la soglia di Palazzo Chigi per la terza volta si è definitivamente rotto.
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