Cicchitto e Gasparri in difesa: “Il premier non si dimetterà”
di Luca Telese
Prima notizia. Solo sei mesi fa non lo avrebbe detto nessuno. Eppure, di nuovo, Futuro e libertà, nella sua pur breve vita, si ritrova con in mano le chiavi del governo, la spina da “staccare” – nel gergo del Palazzo – che è passato dalla lingua del sogno a quella delle malattie terminali. Sono e restano determinanti i voti di Gianfranco Fini e dei suoi uomini, soprattutto nel momento in cui si solleva l’onda dello scandalo Ruby.
Seconda notizia: gli uomini di Berlusconi si affannano a ripetere che non ci saranno dimissioni, il che in qualche modo conferma che l’ipotesi non è giudicata così improbabile e deve essere comunque smentita (e per giunta con molta forza, persino in un giorno di festa).
Terza notizia: domani Futuro e libertà presenta il suo simbolo, e domenica, a Perugia, il suo manifesto culturale e programmatico. Anche se l’incrocio fra questa tempistica e la cronaca di questi giorni è del tutto casuale, non lo è la velocità con cui il movimento si sta strutturando: si vis pacem para bellum e pur dichiarando la loro solidarietà al governo (“Non staccheremo la spina”) i finiani restano sul piede di guerra, pronti al voto e forti dei sondaggi che li stimano tra il 7 e l’8% dei consensi.
MA FATTA QUESTA premessa, la strategia è un’altra cosa, e nel movimento convivono due anime nettamente distinte: quella che ormai pensa a trasferirsi all’opposizione e a dare il colpo di grazia al Cavaliere nelle prossime ore. E quella che invece vorrebbe mantenere la “fronda”, per rosolare Berlusconi a fuoco lento, senza strappi e senza lasciare “impronte digitali” sulle responsabilità di una eventuale crisi. Infine, anche
Da un lato apre il fuoco di sbarramento contro ogni ipotesi di governo tecnico.
Dall’altro non disdegnerebbe le elezioni anticipate, che la porterebbero a raddoppiare i seggi anche in caso di sconfitta: “Ogni altro governo – spiega Roberto Calderoli – sarebbe un golpe e contro di lui sarebbe legittima una rivolta del popolo”. E a nessuno è sfuggito che la dichiarazione di Umberto Bossi sulla telefonata per salvare Ruby, pur apparentemente difensiva, conteneva in realtà un rimprovero molto netto: “È stato un ingenuo, non doveva chiamare lui”.
Ecco perché l’imbarazzo di Roberto Maroni è molto superiore a quello che è stato esplicitato: un affaire che coinvolge
Così tutti attendono il question time di Maroni, e tutti sono in attesa del discorso di Fini di domenica, anche se nel centrodestra gli effetti implosivi sono già in atto.
Ad esempio. Che cosa accadrà nella direzione del Pdl di giovedì? E anche: chi sono i nuovi acquisti (annunciati come imminenti dagli uomini del presidente della Camera) che stanno transitando dalle posizioni berlusconiane a quelle di Fini (verranno annunciati questa settimana). Alla luce di questo scenario, lo scontro fra le due anime del centrodestra si fa sempre più complesso, e non è certo un caso se ieri ha ripreso a circolare, persino negli ambienti berlusconiani l’ipotesi di una possibile discesa in campo di Marina Berlusconi, che potrebbe correre al posto del padre, in caso di voto anticipato.
Si fanno dei sondaggi, si fa filtrare la voce, per vedere le reazioni degli alleati e degli uomini di partito. Se il padre dovesse essere costretto ad un passo indietro, la figlia ne farebbe uno avanti, e (come spiega un dirigente del Pdl che non può rivelarsi) “sulla scheda elettorale resterebbe sempre il nome di Berlusconi, una garanzia di vittoria”.
Fantascienza? Mica tanto. Certo, il gioco è riuscito solo a Kim Jong II, Raul Castro e Marianne Le Pen. Ma tutte le pedine sono in movimento sullo scacchiere.
Ed è anche per fugare queste voci che ieri i due capigruppo del Pdl hanno dovuto ripetere il loro mantra: “Silvio Berlusconi non farà un passo indietro, Fini stia con noi o si assuma la responsabilità della crisi”. La forma solenne del comunicato congiunto Gasparri-Cicchitto, rende bene l’idea del dilemma che attanaglia i vertici del Pdl. E anche quello dello stesso Berlusconi che ieri ripeteva: “Una mia defezione provocherebbe seri danni al paese”. Se lo dice lo stesso premier in una delle solite anticipazioni virali del nuovo libro di Bruno Vespa (che nell’ultima settimana prima di dare il testo alle stampe aggiunge l’ultim’ora a seconda del dibattito in corso), ancora una volta è un segnale di disagio non indifferente.
INSOMMA, a chi resta in mano il cerino di una eventuale crisi? E che cosa si fa se Berlusconi si dimettesse o fosse costretto a farlo? Cicchitto, Gasparri e Quagliariello, fanno quadrato intorno al premier: “Berlusconi non intende compiere alcun passo indietro perché non esiste alcuna ragione per farlo. Si tratterebbe solo di una fuga dalle responsabilità, che invece impongono di procedere senza indugi nell’attività di un governo voluto dalla maggioranza degli elettori e al quale il Parlamento ha recentemente rinnovato la sua fiducia”.
Ancora una volta la prova di una inquietudine crescente. Anche Pasquale Viespoli e Italo Bocchino si esercitano nel gioco della dichiarazione congiunta: "Futuro e libertà ha sempre detto – spiegano i due capogruppo – che non intende staccare la spina al governo ma, anzi, di volerlo sostenere per l’intera legislatura al fine di attuare il programma”. Anche per loro, a dire il vero, bisogna leggere il comunicato più per quello che sottintende che per quello che dice. A decidere sarà Fini domenica. O prima, se la crisi precipita sull’onda delle inchieste.
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