La legge 183 introduce una serie di paletti e cavilli legali che renderà la vita dei lavoratori atipici durissima. Sarà quasi impossibile impugnare in tribunale il proprio contratto di lavoro
Chi ha avuto esperienze professionali precarie sa bene che avere buoni rapporti con i propri principali è fondamentale. Mi rinnoveranno il contratto? Me lo prolungheranno? Mi assumeranno a tempo indeterminato? Prima, poi o mai? Sono alcune delle domande che affliggono quotidianamente il lavoratore atipico. Adesso, però, chi si trova nel limbo temporale tra un contratto scaduto e uno che forse arriverà – co.co.pro, di collaborazione, o tempo determinato – è davanti a un bivio. Entra oggi in vigore la legge 183 del 2010, più nota come “Collegato lavoro”.
COM’ERA. La vecchia normativa garantiva anni di tempo a chi intendeva fare causa al suo ex-datore di lavoro (il caso più classico, per i precari, è quello in cui si viene utilizzati come “collaboratori” anche se si fa un lavoro da dipendenti a tutti gli effetti). Con il Collegato lavoro, l’arco di tempo entro il quale si può fare causa al proprio datore di lavoro diventa di 60 giorni: o ci si muove per tempo, o dopo non si può più rivendicare nessun diritto (era una disposizione già prevista per i contratti a tempo determinato ora allargate anche agli altri contratti).
CHI PUO’ FARE CAUSA. Per tutti i rapporti di lavoro terminati prima del novembre 2010 (oggi), quindi, si potrà fare causa entro il 23 gennaio. Per i contratti che scadranno in futuro, si avranno sempre e comunque solo 60 giorni di tempo, e poco importa se, magari, si aspetta un nuovo contratto proprio dal datore di lavoro che si vuole portare in tribunale.
RICATTO CERTIFICATO. “
Secondo gli avvocati di San Precario, la nuova legge rende quasi impossibile per i lavoratori fare causa alle aziende quando le condizioni contrattuali sono ritenute non corrette. E’ un vero rosario – di cavilli, eccezioni, tempistica, sproporzione delle forze in campo – quello da sgranare per vedersi riconoscere i propri diritti.
I PERIODI DI NON LAVORO. “Oggi ero in tribunale per due cause di lavoro e, alla luce delle novità legislative, sono state entrambe rinviate”, dice Matteo Paulli, uno dei legali del pool. “Ci vogliono mesi, addirittura anni, per sapere se un contratto di lavoro è impugnabile”. E chiarisce: “I precari fra una collaborazione e l’altra possono avere dei periodi di non lavoro ben superiori a due mesi – continua Paulli – Un datore di lavoro può dire al suo dipendente che gli rinnova il contratto, lascia passare i famosi 60 giorni e al 61esimo non glie lo rinnova. A quel punto per il precario è finita, si trova cornuto e mazziato”.
CONTRATTISTI MULTIPLI. Non solo, c’è una trappola anche per i contrattisti “multipli”: “Se un lavoratore ha avuto con la stessa azienda un numero elevato di collaborazioni, ad esempio cinque contratti nell’ultimo anno, potrà impugnarli sempre che i famosi 60 giorni non siano trascorsi. E’ ovvio che quindi potrà impugnare solo l’ultimo. E avrà molte meno possibilità di vincere”, sottolinea Massimo Laratro. Insomma, è la parola del dipendente contro quella del principale. “Dato che durante l’udienza il datore di lavoro deve dimostrare la ‘temporaneità’ del rapporto di lavoro, se la causa riguarda un solo contratto di due mesi anziché cinque o sei collaborazioni, avrà la strada spianata”.
INSIDIE PRIMA DI FIRMARE. Le insidie non finiscono qua. Le altre due novità particolarmente indigeste ai legali di San Precario sono la “certificazione del rapporto di lavoro” e la “clausola del ricorso all’arbitrato” in caso di impugnazione. Presso le camere del lavoro verranno istituite delle “commissioni certificatrici” che avranno il compito di apporre il loro sigillo sulla validità di un determinato rapporto di lavoro. “Io ti assumo con un contratto a progetto, mi rivolgo alla commissione che timbra il contratto come legittimo e tu non potrai mai fare più causa contro di me – dice Laratro – Così facendo si certifica non solo il rapporto, ma anche la volontà del lavoratore che evidentemente non è nella condizione di rifiutare perché magari sta cercando un’occupazione da mesi”.
ARBITRATO. L’arbitrato invece dà la possibilità al datore di lavoro di inserire nel contratto una clausola che dice che in caso di problemi il dipendente si rivolgerà a una commissione arbitrale invece che ai giudici. “Con questa norma si vuole azzerare il ricorso all’autorità giudiziaria” dicono gli avvocati.
INDENNITA’ PREGRESSA. Infine c’è la questione dell’indennità. Prima della Legge 183 se un lavoratore vinceva la causa contro il suo datore di lavoro, lui era obbligato a “riconoscergli il mancato guadagno”, e cioè a corrispondergli tutti gli stipendi in cui era rimasto a casa. Ora, nel caso l’azienda perdesse in tribunale sarà tenuta solo a versare un’indennità all’ex dipendente che andrà da un minimo di
LICENZIAMENTO ORALE. E ancora, l’ultima gabola. C’è il licenziamento “orale”. Per la legge il licenziamento deve essere comunicato in forma scritta: se comunicato oralmente, non è valido. Ma ora il termine dei 60 giorni varrà anche per i “licenziamenti orali”. Se un datore di lavoro sosterrà che il licenziamento c’è stato prima della data indicata dal lavoratore (e ben prima dei sessanta giorni a disposizione), basterà trovare dei testimoni compiacenti per bloccare il processo.
LA CGIL: ASSISTENZA’ STRAORDINARIA.
NESSUN DIRITTO. il colpo finale ai precari e alla loro dignità è ormai sferrato. Si parla da anni di “flexsecurity”, di garantire sostegno e stato sociale anche ai lavoratori precari. Alla fine, invece, si è chiuso il ciclo aperto da Treu: neanche i tribunali potranno garantire i diritti violati dei lavoratori atipici.
di Lorenzo Galeazzi e Federico Mello
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