lunedì 20 dicembre 2010

ANNI ‘70: IL GERARCA MISSINO NELLA MILANO CON LA BAVA ALLA BOCCA


I suoi camerati d’un tempo, quelli che erano al suo fianco nel fuoco degli anni Settanta, non riescono a crederci. Proprio non ce lo vedono, Ignazio La Russa, nei panni del difensore della legalità contro la violenza, dei poliziotti contro i giovani in piazza. “Fu proprio lui a volere più d’ogni altro la manifestazione del 12 aprile 1973 in cui fu ammazzato l’agente Antonio Marino”, ricorda Tomaso Staiti di Cuddia, camerata ed ex parlamentare del Msi.

Allora Ignazio era un giovane dirigente missino, segretario regionale del Fronte della gioventù e leader a Milano di quella destra che si presentava davanti alle scuole e nelle piazze armata di catene e coltelli. Il 1973 fu l’anno più duro della “strategia della tensione”. “A Milano il Msi da tempo non riusciva a fare una manifestazione all’aperto, con corteo”, racconta Staiti. “Così La Russa s’impuntò: il 12 aprile dovevamo riuscirci. A tutti i costi. Man mano che la data s’avvicinava, diventava chiaro a tutti che sarebbe stato un massacro.
Alla fine il corteo fu vietato dalla questura. Ma Ignazio continuò a insistere: dovevamo scendere in piazza. E così fu”. Quel pomeriggio gli scontri con la polizia furono durissimi. Era arrivato a Milano da Reggio Calabria anche Ciccio Franco, il caporione dei “boia chi molla”. Durante la manifestazione (“Contro la violenza rossa”, diceva il manifesto che la convocava),
furono lanciate perfino due bombe a mano Srcm. Una distrusse un’edicola in largo Tricolore. L’altra, in via Bellotti, uccise il poliziotto Antonio Marino, 22 anni, a cui fu tirata in pieno petto.
Di quel giorno, resta una foto che ritrae La Russa, capelli lunghi, occhi luciferini, assieme a
Ciccio Franco, al senatore missino Franco Servello e a tutti i caporioni del Msi milanese. “Ma non aspettatevi di trovarlo direttamente coinvolto in azioni violente”, racconta un altro camerata che chiede di non fare il suo nome. “Ignazio restava nell’ombra, le cose le faceva fare agli altri. Era già un politico. E poi diciamolo: non è mai stato un cuor di leone. Dopo quel pomeriggio di sangue, Giorgio Almirante, che non amava quel ragazzotto con i capelli troppo lunghi e gli occhi spiritati, sciolse la federazione milanese del Msi e il Fronte della gioventù. Ma La Russa ricostruì,anzi aumentò, il suo influsso sul partito a Milano, di cui divenne pian piano il padrone.
“A parole era tutt’altro che un moderato: un fascista con la bava alla bocca”, racconta Staiti. “Quando divenni deputato del Msi, tentò di emarginarmi. Alle riunioni della segreteria provinciale non mi invitava. Io partecipavo ugualmente e lui cominciava così: ‘Saluto i camerati e anche Staiti che non è stato invitato’. Alla quarta volta mi alzai e gli allungai quattro ceffoni: ‘Io l’invito me lo sono preso, e tu ti tieni le sberle’ ”. In quei turbolenti anni Settanta, Ignazio s’impossessò di Radio University, un’emittente di destra che trasmetteva da Milano. In quella “radio libera” lavorava una ragazza di nome
Amina Fiorillo. Ignazio la presentò a un camerata di Roma, Maurizio Gasparri, che poi divenne suo marito. “Il potere che Ignazio aveva nel Msi non gli derivava però dalla militanza, ma dalla famiglia”, continua Staiti. Il padre, Antonino La Russa, ex federale fascista di Paternò e poi senatore missino, era arrivato a Milano dalla Sicilia con una dote di rapporti pesanti. Con Michelangelo Virgillito innanzitutto, suo compaesano, cognato e grande corsaro di Borsa. E con Raffaele Ursini, l’uomo che ereditò da Virgillito il gruppo Liquigas. “Il vecchio patriarca Antonino era invisibile, ma potentissimo nel partito: era lui a trovare i soldi per finanziarlo”. È anche l’uomo che pilota le eredità.
Convogliando rapporti, soldi, affari e azioni verso un giovane di bottega, arrivato anch’egli da Paternò, che diventa, non senza qualche conflitto, l’erede del potere dei
La Russa-Virgillito-Ursini: è Salvatore Ligresti. Don Totò è cresciuto insieme con Ignazio, tra busti del duce e scorribande in Borsa. E non dimentica la fonte del suo potere e della sua ricchezza, tanto da riservare sempre ai La Russa qualche poltrona nei consigli d’amministrazione delle sue aziende. “Con Almirante”, dice Staiti, “Ignazio ricucì il rapporto quando fece dare a un figlio di donna Assunta, che aveva fatto fallire la sua concessionaria d’automobili, la gestione di un’agenzia romana della Sai, la compagnia d’assicurazioni di Ligresti ”. Oggi Ignazio vive a Milano in un palazzo che, di notte, sembra uscito dalla Gotham City di Batman, con le luci che si proiettano dritte sulla geometrica facciata anni Trenta.
La leggenda dice che La Russa abbia ristrutturato l’appartamento dove viveva Mussolini. Nostalgie private. In pubblico, però, oggi prevale il senso pratico di Ignazio, amico di Ligresti, sostenitore di Berlusconi, ministro della Repubblica e ospite pirotecnico dei talk - show.

di Gianni Barbacetto (dal Fatto Quotidiano di oggi 18/12/2010)

1 commento:

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

I quattro ceffoni presi da Tomaso Staiti di Cuddia se li tenne: un vero 'cuor di leone'!