giovedì 9 dicembre 2010

GIUSEPPE UVA, QUELLE LESIONI RESTERANNO SENZA UN COLPEVOLE


Fermato dai carabinieri, morto in ospedale

di Giancarlo Castelli

Per la morte di Giuseppe Uva, ora, è rimasto un solo imputato. A rispondere dell’improvviso decesso dell’artigiano varesino di 43 anni, avvenuto il 14 giugno 2008 dopo un fermo dei carabinieri, sarà soltanto uno dei due medici, Carlo Fraticelli, psichiatra, indagato dalla procura di Varese per avere somministrato un farmaco ansiolitico ad un uomo, fermato in stato di ubriachezza. L’altro medico, Matteo Catenazzi, chiamato in caserma dai carabinieri perché Giuseppe Uva “dava in escandescenze” e poi indagato anch’egli per la somministrazione di medicinali incompatibili con uno stato etilico, è stato prosciolto in udienza preliminare il 1 dicembre scorso dal gup Cristina Marzagalli. “Perché la firma del medico che ha prescritto quei farmaci, dice la procura, non è la sua”, spiega l’avvocato Fabio Anselmo, difensore della famiglia Uva. Solo un imputato, quindi, per un’iniezione inopportuna.

IL CORPO esanime di Giuseppe, però, “raccontava” di segni di percosse. Uva era stato arrestato dai militari alle 3 di notte, mentre con un amico, Alberto Biggiogero, complice qualche bicchiere di troppo, aveva deciso di chiudere una strada con alcune transenne. Inseguimento e arresto per quella che sembrava soltanto una bravata. Quello che accadde quella notte nella caserma di via Dandolo non è mai stato oggetto d’indagine. Eppure Biggiogero raccontò di aver sentito, dalla stanza di fronte, le urla dell’amico durante l’interrogatorio. Le grida gli erano sembrate quelle di chi subisce un pestaggio e per questo telefonò “di soppiatto” al 118 col suo cellulare per chiamare un’ambulanza.

Quella stessa telefonata ascoltata in tanti telegiornali e che è stata riproposta lunedì scorso nella trasmissione di RaiTre “Lucarelli racconta” di Carlo Lucarelli. Ma questo elemento non è stato ritenuto oggetto d’indagine dai pm Agostino Abate e Sara Arduini. E neanche quello che videro i familiari sul corpo esanime del fratello. “Aveva segni di trauma sul naso – ha sempre affermato la sorella Lucia, disperata per l’ultima decisione dei giudici – al posto degli slip aveva un pannolino sporco di sangue. Sangue anche sul fianco. Gli infermieri mi dissero che l’avevano dovuto lavare. Lavare da cosa? Mio fratello era uscito di casa pulito come sempre. Lavato dal sangue? Chi aveva fatto quelle cose a mio fratello?”.

Erano evidenti anche ecchimosi sul collo sinistro, sulla parete dorsale: ad affermarlo sarebbe stato il comandante del posto fisso di polizia all’ospedale Circolo dove Giuseppe era stato portato e dove poi è morto. Spariti gli slip, mai riconsegnati alla famiglia. “Non è stato interrogato nessun carabiniere, si sono accontentati delle relazioni di servizio”, commenta laconico l’avvocato Anselmo.

LA FAMIGLIA, attraverso i suoi legali, aveva chiesto l’apertura di un’inchiesta-bis per accertare cosa fosse successo durante quelle ore in caserma, acquisendo anche i tabulati delle utenze dei carabinieri e dei poliziotti in quelle ore, perché “non si può escludere il nesso causale” tra le percosse e il suo ricovero e infine la morte. Il procedimento, aperto dal procuratore Maurizio Grigo, non è stato archiviato, ma le conclusioni a cui si sarebbe giunti non sembrano diverse da quelle dei pubblici ministeri. Ancora una volta, come per il caso di Stefano Cucchi, una storia che racconta di cittadini nelle mani di istituzioni dello Stato, forze dell’ordine, medici della sanità pubblica. Le analogie sono parecchie. E quello che però non va giù a Lucia Uva è la soddisfazione espressa di fronte alla stampa da parte della Procura in merito all’assoluzione di uno dei due medici.

Qualcuno mi può spiegare, per favore, perché la Procura di Varese è così soddisfatta dell’assoluzione di uno dei due indagati che riteneva colpevoli della morte di Pino dopo aver richiesto il rinvio al processo. Che c’è da gioire?”. Ad esprimere una certa soddisfazione, però, potrebbero essere anche i legali dei due medici: avrebbero, infatti, tutto l’interesse a che le parti civili riescano a dimostrare una versione dei fatti diversa dalle conclusioni dell’accusa. Il paradosso di un processo che, ancora una volta, vede coinvolte più di un’istituzione dello Stato. Come nel processo su Stefano Cucchi. Anche lì, agenti, medici e tutti contro tutti.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

quando avremo anche in Italia una legge sulla tortura (nonostante si fosse impegnata già vent'anni fa a promuoverne una)? e perchè chi abusa del potere non viene sospeso dal servizio, soprattutto se più è alta la sua carica?

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

SEMPLICE: PERCHE' IN ITALIA C'E' UNA DEMOCRAZIA STENTA, QUASI INESISTENTE, ECCO PERCHE!