lunedì 20 dicembre 2010

Giustizia privata


di Marco Travaglio

C’era un tempo in cui B. e i suoi cari dovevano prima comprarsi i politici per farsi fare le leggi e poi i giudici perché le interpretassero nel senso giusto. Da sedici anni a questa parte risparmiano un sacco di soldi, perché le leggi se le fanno in casa e, quanto ai giudici, non c’è più bisogno di comprarli: basta disarmarli e terrorizzarli. Casomai non bastino, alla bisogna, le facce dei ministri della Giustizia (tipo Castelli o Al Fano), ci pensano le P3 e le P4 e, se non bastano neanche quelle, arrivano gli ispettori, assistiti dalla contraerea di tv e giornali.

Prima o poi questi giudici capiranno come devono comportarsi per campare sereni: arrestare e condannare i poveracci, meglio se studenti o immigrati; rilasciare e assolvere i ricchi e i potenti.

Se proprio non capiscono, c’è sempre il segreto di Stato (vedi Sismi, Abu Omar, Telecom). Oppure il Csm (vedi Forleo, De Magistris, Nuzzi, Verasani e Apicella).

Le intercettazioni vanno abolite, almeno quelle fatte dai giudici. Tanto chi può se le fa da solo. Per esempio Paolo Berlusconi, il fratello che in azienda ha la delega di finire nei guai al posto di Silvio. È imputato per avergli donato il nastro con la telefonata Fassino-Consorte, mentre Silvio si è salvato dalla ricettazione perché il file che gli portarono ad Arcore era solo una copia dell’originale e dalla rivelazione di segreto perché s’addormentò mentre l’intercettatore Roberto Raffaelli tentava di farglielo ascoltare dal suo pc, purtroppo impallato (la “nuova” Procura di Milano s’è bevuta tutto).

Così il Berluschino, come lo chiamava Montanelli, stufo di prendere sberle per conto di quell’altro e di essere quasi sempre assolto nonostante le piene confessioni che rende ogni volta, ha deciso di fare finalmente qualcosa in proprio. Secondo il suo ex socio Fabrizio Favata, Paolo B. chiese a Raffaelli di intercettare le telefonate della sua ex fidanzata, Natalia Estrada, che l’aveva appena mollato: “Andai da Paolo – racconta Favata – e mi dice ‘Natalia mi ha lasciato’. E io gli dico ‘mi spiace, ma sentire la Natalia che parla col suo nuovo compagno non mi sembra ti possa fare bene, comunque, se vuoi, chiedi a Raffaelli’…”.

È consolante comunque sapere che c’è almeno un Berlusconi favorevole alle intercettazioni: Paolo. In forma strettamente privata, s’intende.

Il suo Giornale, noto tutore della privacy, ha preferito glissare sull’imbarazzante notizia. E, per solidarietà, anche tutti gli altri (tranne il Secolo XIX e il Fatto).

Già ci pare di sapere come finirà il processo per il nastro Unipol: come quello per le tangenti alla Guardia di finanza, in cui Paolo confessò di aver fatto tutto lui, poi i giudici scoprirono che aveva fatto tutto Silvio e assolsero Paolo, ma poi la Cassazione, spiritosa, scoprì che mancavano le prove anche per Silvio, così salvò l’intera famiglia, ma sputtanò Paolo che, ignaro della propria innocenza, aveva confessato reati mai commessi (dovette poi patteggiare la pena in un altro processo, per non sfigurare in casa).

Sempre a proposito di giustizia privata, l’altro giorno la Corte dei Conti ha condannato Saccà e Marano, i dirigenti Rai che nel 2002 eseguirono l’editto bulgaro contro Santoro, a pagare 110 mila euro a testa per il danno arrecato all’azienda (che, non sembra, ma è pubblica). Ma non sborseranno nemmeno un euro: la Rai li ha coperti con l’assicurazione aziendale e pagherà pure gli avvocati. In fondo, i due avevano solo eseguito un ordine: l’editto di B., l’utilizzatore finale che non paga mai il conto.

Danneggi la Rai? Paga la Rai (tre volte: danno, risarcimento e spese legali). Il tutto avviene sotto lo sguardo di un giudice della Corte dei Conti (un non vedente, si presume) che partecipa stabilmente ai Cda Rai. E che finora non ha trovato nulla da ridire su quella strana assicurazione che accolla all’azienda i danni che le causano i suoi dirigenti. Poi, naturalmente, tutti a indignarsi perché qualche studente incazzato non rispetta la legge.

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