sabato 4 dicembre 2010

IL LODO ALFANO COSTITUZIONALE

LUIGI MORSELLO

Leggo oggi la lettera di un lettore il quale enuncia una sua opinione in materia di giustizia e di ‘scudo’ per il premier contro l’aggressività di una magistratura fortemente ‘politicizzata’ e non me sorprendo affatto.

Considero positivo che un lettore acculturato scriva in modo corretto enunciando una tesi che però, partendo da presupposti errati conduce a risultati non solo errati ma aberranti.

Inizio con lo sgomberare il campo da un primo equivoco semantico, in quanto la parola ‘lodo’ è inadatta a definire tale oggi un progetto di legge costituzionale, ieri due leggi ordinarie recanti il nome del primo firmatario, e cioè la legge (ordinaria) Schifani e l’altra la legge (ordinaria) Alfano, entrambe dichiarate incostituzionali da quel covo di ‘bolscevichi comunisti’, e cioè la Corte Costituzionale, il giudice delle leggi, l’organo deputato a valutare la costituzionalità delle leggi ordinarie e, secondo la dottrina costituzionalista recente, costituzionali.

Si intende per lodo un ‘arbitrato’, cioè uno strumento di soluzione delle controversie civili e commerciali ricorrendosi ad un collegio composto da un membro nominato dalla parte richiedente, un secondo dalla parte opponente e il terzo dal Presidente del Tribunale competente per territorio, che lo presiede. Chiamare lodo una legge dello Stato, per giunta costituzionale, è una aberrazione giuridica.

La legge costituzionale presentata al Senato e che ha avuto il via libera nella Commissione Affari costituzionali, se approderà fino alla fine del lungo iter di approvazione delle leggi costituzionali non solo non mette al sicuro il premier dall’obbligatorio referendum costituzionale confermativo (appare difficile che la maggioranza riesca a raggiungere il quorum dei due terzi del Parlamento, che non lo prevede) ma neanche da una successiva valutazione della Corte Costituzionale medesima circa la violazione dell’art. 3 della Costituzione il cui primo comma recita: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.

Veniamo alla ‘separazione dei poteri’ teorizzata da Montesquieu. È uno dei principi fondamentali dello stato di diritto ed è individuata in tre funzioni pubbliche: legislazione, amministrazione e giurisdizione. I poteri esercitati nell’ambito delle tre categorie non devono debordare dal proprio ambito, dal proprio ‘letto’ (usando una metafora mutuata dal mondo fisico), non ci deve essere ‘invasione di campo’.

Ora si tratta di stabilire se l’indagare su presunti reati commessi dal premier, ‘avvisato’ con una comunicazione giudiziaria e sulla base di ‘notitia criminis’ pervenuta all’ufficio del Pubblico Ministero, costituisca o meno invasione di campo.

Non vedo come ciò possa accadere, posto che la giurisdizione è a tutela di ogni cittadino, premier compreso, e che la notizia di reato dovrebbe essere completamente inventata.

Quindi, l’affermazione del lettore è o appare manipolatoria della pubblica opinione, e cioè di quel 38% che legge un quotidiano e almeno un libro all’anno.

Il premier non sfugge al principio costituzionale dell’eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, egli non è più eguale degli altri. Inoltre, per quanto riguarda i reati commessi nell’esercizio delle sue funzioni c’è l’esame dei Tribunale per i ministri, il quale deve chiedere l’autorizzazione a procedere alla Giunta della Camera per gli atti di esercizio della giurisdizione, specificamente indicati dell’attuale formulazione dell’art. 68 della Costituzione (la formulazione originaria fu cancellata nel 1993 a ‘furor di popolo – allora esisteva un popolo): comma 2 “ Senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene, nessun membro del Parlamento può essere sottoposto a perquisizione personale o domiciliare, né può essere arrestato o altrimenti privato della libertà personale, o mantenuto in detenzione, salvo che in esecuzione di una sentenza irrevocabile di condanna, ovvero se sia colto nell'atto di commettere un delitto per il quale è previsto l'arresto obbligatorio in flagranza.”; comma 3 “Analoga autorizzazione è richiesta per sottoporre i membri del Parlamento ad intercettazioni, in qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni e a sequestro di corrispondenza.”. Mi astengo da qualunque commento circa la illogicità di questo terzo comma. Però il premier non si ritiene abbastanza scudato e martella a reti televisive unificate la mente del quel 62% che abbevera solo alle televisioni circa il complotto di una magistratura politicizzata ai suoi danni. Oltre a sostenersi che la persecuzione sarebbe iniziata con la ‘sua discesa in campo’ (singolare che far politica sia considerato una discesa e non una ascesa) e per il solo effetto di questa (il che parrebbe non esser vero), adesso si sostiene non solo nel centro-destra ma anche in un nostalgico centro che in tutto il mondo il premier è ‘scudato’ (il che non è vero) ma anche il Presidente della Repubblica italiana lo sarebbe e anche questo non è vero.

L’art. 98 – comma 1 – della Costituzione recita: “Il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell'esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione.”.

Non è quindi vero che non è processabile, ma lo è solo per due tipologie di reati specificamente enunciati: 1) alto tradimento; 2) attentato alla Costituzione, mentre nessun premier gode di uno scudo immunitario.

Quanto al supposto metodo democratico, un Bignami al riguardo è opportuno.

“È l'unica formula ammessa dal nostro sistema (e dalle vere democrazie), che rende genuina e corretta la partecipazione dei cittadini alle competizioni politiche.

Essa presume la:

— trasparenza delle formule politiche: atteggiamento che è stato spesso trascurato dai numerosi partiti che perseguivano finalità generiche e spesso demagogiche, contingenti, a fini propagandistici e di lottizzazione;

— trasparenza dei candidati: spesso dietro ad alcuni esponenti politici si nascondono lobbies economiche o centri di potere che ne favoriscono la scalata politica per sfruttarne successivi favori;

— trasparenza dei sistemi elettorali: soprattutto nella cd. prima Repubblica l'elettore si limitava spesso a scegliere la lista, mentre i candidati erano designati o favoriti dai giochi delle correnti di partito;

— democraticità interna degli apparati di partito: manca nel nostro sistema l'elezione dal basso dei candidati da iscrivere nelle liste, anche se si sono svolte, per la prima volta nel gennaio del 2005, le elezioni primarie, che rappresentano uno strumento di scelta dei leader di partiti politici e coalizioni;

— partecipazione informata degli elettori: il passato disinteresse e disaffezione degli stessi, soprattutto nel Meridione, ha creato un sistema esasperatamente clientelare che ha spesso dato vita alle pratiche del voto di scambio ed ha permesso un ingresso significativo del potere mafioso nella politica;

— chiarezza e separatezza del messaggio elettorale: il possesso egemonico dei mezzi di comunicazione di massa nelle mani di una forza politica, crea il fenomeno della videocrazia che, grazie anche a forme di pubblicità subliminale, condiziona inconsciamente l'elettore suggerendogli scelte e tendenze politiche anche in trasmissioni di puro intrattenimento.

Solo la presenza dei requisiti summenzionati può garantire la concorrenza democratica per la determinazione della politica nazionale.” (Edizione giuridiche Simone – Dizionari in linea).

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