Pressing Pdl per le dimissioni B. continua la caccia ai “delusi”
di Luca Telese
Dicono che a Montecitorio abbia perso e che ora sia spacciato. In realtà la prima cosa è sicuramente vera, ma per ora si tratta solo di una delle tante battaglie, di una guerra che si preannuncia ancora lunga. La seconda cosa invece è sbagliata, e la riprova è il fatto che ieri Gianfranco Fini è già partito in contropiede con una decisione che ha fatto andare su tutte le furie Sandro Bondi: la scelta di calendarizzare per la prossima settimana il voto di sfiducia sul ministro della Cultura. Un bellissimo regalino di Natale per il ministro che offre lavoro ai suoi famigli.
Dicono che Futuro e libertà, perdendo altri tre deputati si sia indebolita. È vero. Ma mai come questa volta, nella politica italiana, epurandosi ci si rafforza: i trenta che sono rimasti con Fini dopo la sfiducia, sono determinati, come dice (sorridendo, ma nemmeno troppo) Enzo Raisi “A battersi con il coltello fra i denti”. Dicono che Berlusconi stia corteggiando altri tre futuristi: senza dubbio vero. Ma anche se riuscisse a strapparli quasi tutti, quelli che restano sarebbero comunque in grado di far andare sotto il governo.
Scrive Ezio Mauro che adesso il leader di Futuro e libertà si dovrebbe dimettere da presidente della Camera, per avere le mani più libere. Lui dice ai suoi di essere “amareggiato, e fa filtrare ai giornali: “È possibile, prendo in considerazione l’ipotesi. Ma non lo farei certo perché me lo chiedono quelli del Pdl”.
Insomma, è un bel rebus, quello che prende corpo intorno a Gianfranco Fini, un altro capitolo di una storia che sta diventando una saga. Il viso serba traccia dello stress, il volto si fa spesso cipiglioso, ma è anche un piccolo esercito quello che si è raccolto intorno a lui nel fuoco della battaglia: “Siamo cento parlamentari”, spiega con orgoglio Paolo Guzzanti “un piccolo esercito”. Si riferisce al neonato - nome provvisorio - “Partito della Nazione”. Mentre - su questo invece non c’è dubbio - per ora alla Camera le carte le continua a dare lui. Il caso Bondi è emblematico. Il voto di sfiducia era stato già iscritto all’ordine del giorno, poi sospeso e congelato, in vista del dibattito sulla sfiducia. Poi ora torna, come una spada di Damocle sospesa sulla testa di tutto l’esecutivo.
Spiega Benedetto Della Vedova, deputato di estrazione radicale che adesso è diventato uno dei grandi consiglieri di Fini: “Attenzione. Perché sulla carta Bondi i numeri per salvarsi dovrebbe averli. Ma la prima domanda che bisogna farsi è: siamo sicuri che tutti quelli che hanno votato per Berlusconi muoiano dalla voglia di venire a difendere Bondi. Io non ho nulla di personale contro di lui. Ma al suo posto mi preoccuperei un po’...”.
E in effetti Bondi si preoccupa, e nemmeno poco. Anzi. Invia una lettera al presidente della Repubblica per denunciare “una abnorme commistione tra l’imparzialità del presidente della Camera e la leadership di un gruppo parlamentare”. Sostenendo poi che la scelta di mettere in calendario il voto metterebbero in dubbio “il ruolo di garanzia istituzionale di Fini”. La verità è che Bondi è irritato per alcune ricostruzioni apparse sui giornali in base alle quali Fini avrebbe espresso giudizi di parte sulla sfiducia che lo riguarda. Ma anche Fini risponde al colpo attraverso il suo portavoce Fabrizio Alfano: “Bondi avrebbe potuto semplicemente chiedere la veridicità delle dichiarazioni e ne avrebbe ricavato una netta smentita”.
Il clima è teso, e intorno al caso Bondi si accende l’ennesima scintilla. A metà pomeriggio interviene anche lo stesso Berlusconi, che fino a ieri si era tenuto prudente sulla questione delle questioni. Il leader del Pdl chiede apertamente la testa di Fini, sia pure con il velo di un piccolo escamotage dialettico: “Metà Assemblea gli ha chiesto già le dimissioni - dice il premier - e questa è una scelta sua che riguarda la sua dignità”.
Anche in Transatlantico si discute dell’opportunità delle dimissioni del presidente della Camera. Nel Pdl e nella Lega tutti concordano nel ritenerle più che opportune, ma solo alcuni però si spingono fino a chiederle ufficialmente: “Dovrebbe rendersi conto che così non può andare avanti e presentarle lui stesso”, spiegano alcuni parlamentari a mezza bocca. Anche il capogruppo del Carroccio, Marco Reguzzoni, punzecchia il presidente della Camera senza affondare il colpo finale: “Il suo atteggiamento - spiega - è tutt'altro che sopra le parti come invece richiederebbe il suo ruolo. Di questo deve rendere conto”.
Ma a dimostrazione che i finiani in Parlamento sanno come gestirsi, ci sono le parole di Fabio Granata, che rilancia la palla in campo avverso, tornando a parlare del ministro: “Bondi stia sereno sull'equilibrio e la terzietà del presidente Fini - dice - Si preoccupi della disastrosa gestione del ministero della Cultura, piuttosto, attraverso un primo gesto apprezzabile e responsabile: le sue immediate dimissioni”.
Berlusconi continua a mandare messaggi di pace: “Delusi, venite da me”. E per decidere la rotta riunisce in serata lo stato maggiore del Pdl a Palazzo Grazioli. Al centro di una discussione accesa sul che fare, ci sono le contromosse da prendere per contrastare il polo e per discutere sul coordinamento unico nato ieri in Parlamento. Intorno al tavolo ci sono i tre coordinatori del partito, Denis Verdini, Ignazio
Nessun commento:
Posta un commento