di Beatrice Borromeo
“Ci guardiamo e non sappiamo cosa dirci. All’inizio eravamo incazzati, ora c’è solo dolore”. Si dice mortificata Silvana Mura, tesoriere dell’Italia dei Valori e braccio destro del leader Antonio Di Pietro, all’indomani del tradimento degli onorevoli Antonio Razzi e Domenico Scilipoti. E come lei tutti gli altri esponenti del partito, a partire da Di Pietro che ora chiama “giuda” quelli che fino a pochi giorni fa considerava antiberlusconiani senza incertezze.
Poco conta la promessa del ritorno del senatore Giuseppe Astore, tra i primi in questa legislatura a lasciare il gruppo parlamentare dell’Idv per aderire al Misto. Perché Astore, a differenza dei convertiti Razzi e Scilipoti, non è determinante nei conteggi di queste ore. Tra onorevoli che vanno (troppi) e vengono (uno), nell’Idv in queste ore si torna a discutere per l’ennesima volta di un problema sempre rimandato negli ultimi anni: come si scelgono le persone da portare in Parlamento?
L’europarlamentare Luigi De Magistris, l’altro leader forte oltre a Di Pietro, denuncia: “Troppo spesso si sono scelti personaggi servili o peggio equivoci”. E non si riferisce solamente ai due deputati appena reclutati da Silvio Berlusconi. Comincia a essere lungo l’elenco degli episodi e dei nomi che imbarazzano l’Idv, che non ha mai superato il trauma dell’addio di Sergio De Gregorio, eletto senatore con Di Pietro nel 2006 e subito (ri)convertito a Forza Italia per un seggio da presidente della Commissione difesa. La lezione non è servita e in questa legislatura è andata ancora peggio.
7 addii in due anni
INAUGURA la diaspora Americo Porfidia, che quando lo scorso settembre ha votato la fiducia al governo Berlusconi aveva già lasciato l’Idv da mesi. Poi il 12 giugno 2009, all’indomani delle elezioni europee e amministrative, se ne va Astore, il presidente dell’ufficio politico dell’Italia dei valori. Che però “ha sempre tenuto un piede nell’Idv, ha ancora la sua scrivania qui e ora torna”, raccontano dalla sede romana del partito. Il 5 novembre 2009 è il turno di Pino Pisicchio, un altro deputato sulla cui coerenza è rischioso scommettere (ex Dc e Udeur, oggi aderisce al nuovo progetto politico di Francesco Rutelli, l’Api). L’8 novembre scorso tocca ad Aurelio Misiti, l’ingegnere calabrese che dopo un decennio di fedeltà dipietrista sceglie il gruppo Mpa, del movimento di Raffaele Lombardo. E all’Api approda anche il senatore Giacinto Russo, che il 24 novembre di quest’anno fugge dall’Idv. Con Scilipoti e Razzi fanno sette transfughi in soli due anni.
“La carne è debole”
L’UNICO che in questo momento predica fiducia e non autocritica è il presidente dei deputati Idv Massimo Donadi: “Il partito è granitico. De Magistris sbaglia a parlare di servi, dà giudizi errati e ingenerosi. Non serve una riflessione perché da qui non se ne andrà più nessuno”. Eppure la ricetta di De Magistris sembrerebbe semplice, troppo per Donadi: “Basta scegliere persone con una storia limpida e cristallina, che abbiano dimostrato con i fatti da che parte stanno, coinvolgendo gli uomini e le donne del nostro partito che sono impegnati in prima fila e che hanno un alto profilo morale e culturale”.
“Magari fosse così facile – replica Silvana Mura a difesa del leader – Scilipoti e Razzi rispondevano proprio alle caratteristiche: un medico e un operaio che hanno avuto con l’Idv la loro prima esperienza politica e che in questo decennio sono sempre stati antiberlusconiani. Solo che poi si sono fatti ammaliare dal canto delle sirene. Non ho presente la loro situazione patrimoniale, ma constato che le debolezze umane portano a compiere gesti vergognosi”.
Il più duro è però il segretario regionale dell’Idv Toscana e deputato Fabio Evangelisti: “Sono mercenari. Non si arruolano per amore di una bandiera, ma rispondono ai soldi. In più, con questa legge elettorale, la classe dirigente viene piazzata e non selezionata”. Per Evangelisti è il tempo dell’autocritica: “Il degrado del berlusconismo ha rovinato tutto. Siamo in un Parlamento fatto di veline, parenti, pregiudicati e mercenari. Berlusconi ha inquinato anche noi”. E in un partito che da sempre ha il nome delle leader perfino nel simbolo, le critiche finiscono sempre per risalire fino a chi decide davvero, anche sulle candidature. Cioè Antonio Di Pietro.
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