La sfiducia presentata da Fini, Rutelli e Casini contiene un programma di governo tecnico
di Luca Telese
La crisi continua e assieme a lei si alimentano i più imprevedibili esercizi di translitterazione immaginifica. La politica diventa ogni giorno il luogo del possibile e dell’inimmaginabile. Ieri, per esempio, si poteva scrivere “mozione di sfiducia”, ma sembrava di leggere un alfabeto di ipotetici presidenti del Consiglio. Molti hanno visto in quelle righe il nome di Mario Draghi, il candidato più prestigioso. Altri quello di Mario Monti, il più probabile. Oppure quello - fatto esplicitamente - da Pier Ferdinando Casini, di Gianni Letta (forse proprio per bruciarlo nella caldaia incandescente del totopremier) come possibile nuovo inquilino di Palazzo Chigi: “Letta? Non andrebbe bene - ha detto il leader dell’Udc - ma benissimo” .
Quello che invece è certo, è che ieri, scorrendo il testo firmato dagli 85 ribelli anti-Pdl sembrava di leggere il manifesto programmatico di un nuovo possibile governo di transizione che si autoassegna il compito di traghettare l’Italia fuori dalla stagione berlusconiana. Se non, addirittura, di avere tra le mani il programma della Lista Civica Nazionale di cui nei giorni scorsi (non a caso) parlava Luchino Cordero di Montezemolo, uno dei principali costruttori del cantiere del Terzo polo.
Insomma: quello predisposto da Gianfranco Fini e da Pier Ferdinando Casini è molto di più di un testo parlamentare legato alla singola giornata del 14 dicembre (che poi è quello che in teoria avrebbe dovuto essere il documento sottoscritto dai deputati del neonato terzo polo) ma qualcosa di più: una sorta di programma minimo di governo, una piattaforma politica su cui impostare un vero e proprio cambio di stagione. Tutto questo in uno scenario in cui continua la macerazione del premier a mezzo Wikileaks, e nel momento in cui i documenti che sono approdati tramite il sito alla stampa internazionale sul Cavaliere sono ancora (“solo”) sessanta su seicentocinquanta.
CERTO, SILVIO Berlusconi ieri era a dir poco furibondo: “Il terzo polo? L’idea che alla Camera esista una maggioranza alternativa di 317 voti è una bufala”, sentenziava sicuro il premier. E aggiungeva: “Si tratta di un progetto esile nei numeri ma smisurato nelle ambizioni, con l’unico obiettivo di cambiare la legge elettorale per divenire arbitro della situazione e allearsi con la sinistra”. Ma già la sera, ospite di Lilli Gruber, Casini gli rispondeva colpo su colpo: “La questione - spiegava il leader dell’Udc - è semplice: le firme sono lì nero su bianco. Non capisco quale sia il bluff”. E poi, sempre intervistato dalla conduttrice di 8 e mezzo: “Berlusconi ha due strade: o far finta di non vedere o cercare di aprire una fase politica nuova”. Aggiungeva infatti il leader centrista, riferendosi all’imminente battaglia per la fiducia che si prepara a Montecitorio: “Il premier ha già perso perché se lui prendesse anche un voto in più, tutti sanno che non riuscirebbe a governare e in Italia non si può consentire ora un governo che tiri a campare”.
Certo, il dispositivo della mozione di sfiducia è tutto centrato sull’evocazione dello spettro della crisi prefigurandone una via d’uscita. Nel documento si auspica infine “l’avvio di una nuova fase politica della legislatura ispirata al senso di responsabilità nazionale e istituzionale, che punti a modifiche della legge elettorale per restituire ai cittadini la scelta degli eletti, con un governo capace di prendere le misure adeguate per evitare il declino del Paese e garantire il suo futuro civile ed economico”. Insomma, tre punti programmatici chiari: una garanzia anti-speculazione per i mercati, la nascita di un nuovo governo di profilo istituzionale, e la stesura di una nuova legge elettorale. E se ieri Casini giocava a fare “il poliziotto buono”, Fini si metteva nei panni dello “sbirro cattivo” che strapazza Berlusconi senza riguardo: “Io credo che il Parlamento - vaticinava il presidente della Camera - fra qualche giorno testimonierà ciò che tutti sanno e che solo il premier nega: che il governo non c'è più o che non ha i numeri per governare”. Ma il leader di Futuro e libertà diceva un’altra frase che faceva arrabbiare i dirigenti pidiellini: “Il mio auspicio è che la legislatura duri. E io quindi continuerò a fare il presidente della Camera”. Apriti cielo! Attaccava Mario Valducci, presidente della commissione Trasporti: “Non credevo che Fini, da presidente della Camera, oltre che fare il capo di un partito nato nel palazzo fosse diventato anche ventriloquo del presidente della Repubblica”.
LO STESSO Napolitano faceva diffondere una nota in serata: “Nessuna presa di posizione politica di qualsiasi parte può oscurare il fatto che ci sono prerogative di esclusiva competenza del Presidente della Repubblica”. Rispondeva il coordinatore del Pdl Denis Verdini: “Noi sappiamo che in caso di caduta del Governo il Capo dello Stato ha le sue prerogative. Ciò che non sappiamo e non vogliamo capire, e che non ci piace per niente, è che il Capo dello Stato, nelle sue prerogative, possa pensare che per risolvere i problemi di questo Paese si mandi a casa chi ha vinto le elezioni, Berlusconi e Bossi, e si mandi al governo chi le ha perse, Casini e Bersani. Noi andiamo a toccare le prerogative del capo dello Stato. Noi sappiamo che le ha ma ce ne freghiamo, cioè politicamente riteniamo che non possa accadere questo. Anche i partiti hanno le loro prerogative”. Una replica che nel Pdl non tutti approvano. Ma sono schermaglie, fendenti, minacce. Ora, dietro il campo di battaglia di Montecitorio, si intravede lo scenario su cui lavorano da mesi gli architetti del Terzo polo.
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