di Gianni Barbacetto
La notizia della decisione della Corte costituzionale si diffonde in un attimo nei corridoi e negli uffici del Palazzo di Giustizia di Milano. Nel pomeriggio di ieri, in attesa di notizie da Roma, i magistrati milanesi ostentavano tranquillità (“Vedrete, non ci saranno sorprese”). Appresa la sentenza, non nascondono una pacata soddisfazione. Nessuna reazione ufficiale, nessun commento. Ma la valutazione unanime è che non si sia trattato di una sentenza di compromesso, come si era ventilato nei giorni scorsi.
Lo afferma anche uno degli aggiunti del procuratore della Repubblica Edmondo Bruti Liberati: i processi riprendono e Silvio Berlusconi dovrà presentarsi in aula, senza poter accampare per legge di essere un cittadino “più uguale” degli altri. In fondo,
Quando, nell’aprile 2010, era stata varata la legge sul legittimo impedimento, De Pasquale aveva sostenuto che i processi sarebbero potuti continuare, considerando il diritto-dovere costituzionale dei giudici di giudicare. La nuova legge, secondo il pm, era solamente “una specificazione di cosa il giudice debba considerare come legittimo impedimento di imputati che svolgano le funzioni di presidente del Consiglio o di ministro”: “Un catalogo allargato dei casi”, ma “non una presunzione di assoluta impossibilità a comparire in giudizio”.
Era poi stato il tribunale, prudentemente, a ricorrere comunque alla Consulta, che ora conferma nei fatti la linea di De Pasquale. Sì, ad aver vinto la partita è proprio “il famigerato De Pasquale”: così il pm era stato definito da Berlusconi, tanto che era dovuto intervenire il Consiglio superiore della magistratura. La prima commissione del Csm aveva stabilito che il presidente del Consiglio aveva denigrato con accuse infondate il pm e leso l’onore e la credibilità dell’intera magistratura, definendola “un’associazione a delinquere” e affermando l’esistenza di “un accordo tra giudici di sinistra il cui scopo è sovvertire il risultato delle elezioni”.
Ora invece, bocciando come incostituzionali i commi 3 e 4 dell’articolo 1 della legge,
Adesso Silvio Berlusconi è atteso a Palazzo di Giustizia.
Non appena le motivazioni della Consulta arriveranno a Milano, saranno fissati i tre processi nati dalle indagini di De Pasquale (Mills, Mediaset e Mediatrade).
Per il primo, la strada è spianata dal fatto che una gran mole di atti processuali è già utilizzabile, che è già stato condannato il corrotto (l’avvocato David Mills) e che dunque è ragionevole pensare di giungere in tempi brevi anche alla condanna del corruttore (Berlusconi, secondo la sentenza Mills). Certo, in un anno precipiterà sul caso la scure della prescrizione, ma nei corridoi della procura si è convinti che un anno potrebbe essere sufficiente per celebrare tutti e tre i gradi di questo giudizio, anche se è prevedibile che i processi vengano trasformati dalla difesa in corse a ostacoli. In più, per il presidente del Consiglio, tornato cittadino uguale agli altri, potrebbero arrivare nuove sorprese. Per esempio dal caso Favata (quello dell’intercettazione di Piero Fassino portata in regalo ad Arcore e poi finita sulla prima pagina del “Giornale”).
Il pm Maurizio Romanelli ha chiesto l’archiviazione per il presidente del Consiglio, ma non è del tutto escluso che il giudice delle indagini preliminari possa riaprire la partita.
Un giudice dei vecchi processi “toghe sporche” a Cesare Previti ripensa ora a quanto successe allora: attacchi, delegittimazione, ricusazioni, difficoltà a fissare il calendario delle udienze. “Non auguro ai colleghi che tutto ciò si ripeta”.
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