mercoledì 12 gennaio 2011

Il sindaco peggiore


CONCHITA DE GREGORIO

Proviamo a immaginare che Alemanno non ne sapesse nulla. Che abbia vissuto asserragliato nella sua stanza con balconcino su al Campidoglio, che i camerati di un tempo (da lui messi comunque opportunamente al comando dei reparti strategici) lo abbiano tenuto all'oscuro, che persino i suoi uomini di fiducia e di scorta non gli abbiano detto che tipo di cuccagna fantasmagorica era in corso già di sotto, che gigantesca spartizione di beni e di posti, che baldoria.

Proviamo a pensare che il Sindaco di Roma abbia passato la maggior parte del suo tempo distratto dalle macchinine della Formula Uno, a giocare con il plastico da piazzare all'Eur, e che non si sia accorto di nulla. Facciamo di quasi nulla, che è comunque inverosimile. Alemanno ignaro, la più benevola delle ipotesi.

Se anche fosse così - e sappiamo che così non è - saremmo di fronte alla più grande e più grave omissione di controllo, essendo il compito principale di un amministratore appunto quello di controllare: coordinare, dirigere, delegare a persone appropriate, infine controllare.

Gianni Alemanno non è stato un pessimo politico, nella sua metà campo, ma è stato, a Roma, il peggior sindaco di sempre.

Non fossero anche sue le colpe dirette sono sue le colpe obiettive.

Fare il sindaco, una gestione complessa che richiede doti specifiche, è chiaramente al di sopra della sua soglia di competenza.

Sono mesi che pensa ad altro, ad un ritorno alla politica nazionale, come se fare il sindaco della Capitale non fosse - non possa essere, certo dipende da come lo si fa - un incarico di livello nazionale.

La notizia di oggi, quella che arriva insieme all'azzeramento della giunta, è la possibile cooptazione di Bertolaso, supereroe in prepensionamento forzato in attesa di un nuovo episodio della saga. In effetti Bertolaso ha passato la quarantena, sono già un paio di mesi che della cricca degli affari del G8 dei centri benessere e del giro di cognati non si parla più. Dimenticato. L'Aquila è in effetti un peso morto, come dice Borghezio. Finite le parate ad uso dei leader stranieri i tagli di nastri alle casette verdi e rosa, finito lo show in diretta da Vespa L'Aquila può tranquillamente tornare al suo destino: un cumulo di macerie, e nessun progetto di ricostruzione come questo giornale racconta e denuncia dal principio.
Verrà il tempo, non smettiamo di crederlo, in cui questo nauseante e criminale gioco delle tre carte tra potenti che hanno il solo scopo di mantenere intatti i privilegi dei loro sempre diversi e sempre alti incarichi, sarà smascherato dai cittadini in rivolta. Una rivolta democratica, certo, ma una rivolta. Che parta dai giovani, dai terremotati, dai cassintegrati, dai precari di ogni tipo, dalle madri costrette a passeggiare coni figli tra cumuli di immondizia.

Verrà il tempo, e non manca molto, in cui tutto questo sarà chiaro: che non bastano nuove alleanze tra vecchie volpi, che non basta cambiare di posto per rifarsi una verginità. Che l'Italia è diventata il posto dove la Fiat ha di suo ormai quasi solo l'insegna al Lingotto e dove nel centro di Bologna un neonato muore di freddo. Che non sia questa la modernità e la buona politica lo diranno presto a milioni, e pazienza se la tv non ne parla. Lo capiranno sulla loro pelle, e hai voglia allora a dire che è moralismo, che è demagogia, che è disfattismo. Quando verrà quel giorno bisognerà avere un po' di memoria, non tanta ma almeno un po', e ricordarsi dello spettacolo osceno che hanno dato i servi urlanti, i sottopancia armati di fucile.

Mica per altro, giusto per fare l'elenco e dire grazie, no: di voi non abbiamo bisogno.

10 gennaio 2011

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