di Enrico Fierro
Susanna Camusso sa che deve tuffarsi subito al centro della “tempesta perfetta”: Marchionne e l’accordo Fiat, il referendum, la scontata vittoria del sì, la prospettiva concreta che l’onda lunga da Mirafiori investa fabbriche e uffici di tutta Italia travolgendo diritti acquisiti, ruolo e rappresentanza del sindacato, introducendo forme di governo del lavoro mai sperimentate nel nostro Paese.
La platea è affollatissima dal sindacato in carne ed ossa, i segretari delle Camere del Lavoro, da Trento a Nuoro. L’Italia delle mille crisi, quelle silenziose, il lavoro che muore giorno dopo giorno, l’esclusione sociale, la precarietà, la povertà che cresce e che nessuno racconta. Neppure Tremonti, dice
Il problema è il “giorno dopo”. Che fare? “Come affrontare il problema dei processi produttivi dentro la fabbrica. Da fuori non si costruiscono le condizioni per ripartire”.
E’ questa la critica più forte alla Fiom e al suo segretario Maurizio Landini, che risponde in modo netto. “Bisogna far saltare l’accordo su Mirafiori, renderlo inapplicabile. Vorrei che
Tutti d’accordo, Susanna Camusso in testa, sulla pericolosità del “modello Marchionne”, tutti d’accordo sulle novità dirompenti che la svolta Fiat fa precipitare sul sindacato. Per
COME ARGINARE lo tsunami? “Il primo obiettivo – dice la segretaria generale della Cgil – è un accordo sulla democrazia e la rappresentanza sindacale propedeutico a una vera e propria legge sulla rappresentanza nel nostro Paese”. Per Landini “non si deve scaricare sui 5500 lavoratori di Mirafiori che non sono liberi di scegliere, una responsabilità enorme. Dobbiamo essere al loro fianco qualunque sia l’esito del referendum e dobbiamo dirglielo prima del voto”. Se ne riparlerà al direttivo nazionale di sabato, lì
NON SOLO FIAT. I segretari delle Camere del lavoro raccontano la crisi del Paese. Quella che per tv e grandi giornali non esiste. “Nessun media – dice Antonino Calogero, segretario della Camera del lavoro di Gioia Tauro – ha parlato di un fatto straordinario. L’altro giorno il Porto ha chiuso per 30 ore, non c’erano più navi attraccate, una cosa mai accaduta in 16 anni. Qui, nell’indifferenza dei poteri forti, 3mila famiglie rischiano il lavoro”. Non ci sono più isole felici, le Marche erano un modello. “Ora – racconta Marco Manzotti, Cgil di Ancona - sono in crisi le nostre fabbriche storiche. Merloni, Fincantieri, i distretti produttivi con le piccole e medie realtà artigianali. La cassa integrazione è passata dal 3,5% del 2007 al 5,8 del 2009, il numero delle famiglie sotto la soglia di povertà è aumentato al 7%, il più alto tra le regioni del Centro. Anche da noi è a rischio la coesione sociale”.
Dati allarmanti, e aree condannate alla marginalità e alla povertà. Gianfranco Mussoni (Cgil di Nuoro ) preannuncia una marcia per il lavoro e contro la povertà. Partirà da Zuri, il paese più povero della Sardegna. “La mia provincia conta 164mila abitanti, 32mila sono iscritti nelle liste di disoccupazione. Il 47% dei giovani dai 15 ai 35 anni è senza lavoro. L’Eni, i grandi gruppi chimici hanno chiuso e il governo risponde con la violenza alla protesta dei pastori. Ci hanno condannato alla marginalità in una realtà dove è difficile investire perché il costo dell’energia e dei trasporti è il doppio rispetto al resto d’Italia”. Tagli, crisi, un altro attacco ai diritti. Azmi Jarjaw, immigrato dalla Palestina, è membro della segreteria della Cgil di Bari. “Al Comune sono stati tagliati più di 13 milioni di euro. Servivano per gli asili, le mense, il recupero dei minori a rischio, l’integrazione. Non possiamo rinunciare al diritto di essere trattati come persone”.
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