Nell'infinita notte della nostra Repubblica, cresce l'inquietudine di chi vorrebbe vivere in un Paese normale, di chi avverte l'urgenza di occuparsi di problemi veri: la famiglia, il lavoro, l'impresa. E soffre il degrado della vita pubblica, la grave perdita d'immagine internazionale. Vogliamo essere orgogliosi del nostro Paese e non avere motivi di imbarazzo se non di vergogna. Un'inchiesta della procura milanese a carico del premier scuote le coscienze. Diffidiamo dei tanti che pensano di avere la verità (e la sentenza) in tasca. Siamo garantisti, ma riteniamo che il premier debba andare dai magistrati competenti e chiarire. Ha tutto il diritto di difendersi, anche se sarebbe preferibile che non lo facesse attaccando ogni giorno la magistratura. Fondato e importante il tema delle libertà individuali, ma chi governa deve dare un buon esempio.
In questi giorni si sta consumando un altro dramma: il crescere della conflittualità fra le istituzioni. Forse ci stiamo abituando a tutto, ma non possiamo assistere in silenzio a una catena di strappi senza precedenti. Capisco l'insofferenza per le forme, che è figlia di questo tempo, ma c'è un limite. Jean Monnet, uno dei padri dell'Europa, diceva che «niente è possibile senza gli uomini, ma nulla è durevole senza le istituzioni». Nella salute delle nostre istituzioni c'è la qualità democratica di cui godranno le future generazioni. Le irritualità sono state numerose. Il premier chiede le dimissioni del presidente della Camera, suo ex alleato, e questi, super partes a Montecitorio, da poco capo di un nuovo partito, rivolge al presidente del Consiglio analoga intimazione. Il ministro degli Esteri, rispondendo a un'interrogazione ammessa, fra le contestazioni, dal presidente del Senato, presenta un dossier con lo scopo di provocare le dimissioni del presidente della Camera su una questione, la nota vicenda della casa di Montecarlo, che continua a incombere su Fini. Insomma, l'appartenenza politica e le convenienze personali degli uomini che rivestono le principali cariche dello Stato sembrano prevalere sul ruolo istituzionale che ricoprono. In un Paese nel quale vi sono forze politiche che vorrebbero ridurre al silenzio la magistratura, limitandone l'autonomia e l'indipendenza, e magistrati che pensano di potersi sostituire alla volontà popolare nel decidere a chi spetti governare.
Nell'anomalia italiana, gli ingredienti più rari sono il buon senso e la misura, propri dell'etica pubblica. Una tregua fra le istituzioni e una prova di dialogo fra maggioranza e opposizione sono necessari. Un'indagine non può paralizzare la vita del governo, che deve proseguire la propria attività, peraltro caratterizzata da diversi aspetti positivi, nel rispetto dell'azione della magistratura. Un allargamento della maggioranza è sempre possibile (i ribaltoni, per favore no), ma non a costo di avvilenti mercanteggiamenti di deputati e senatori. La precaria congiuntura internazionale suggerisce stabilità e polso fermo, specialmente in economia. Ma se l'incertezza di un quadro contrassegnato da scandali, liti e reciproche delegittimazioni fra poteri dello Stato dovesse proseguire, è preferibile restituire la parola agli italiani. Ancora due anni così non ce li possiamo permettere. Senza una vera tregua, meglio allora votare subito, anche con una legge elettorale sbagliata. Non è la scelta migliore ma potrebbe diventare il minore dei mali.
Ferruccio de Bortoli
30 gennaio 2011
1 commento:
D'accordo su tutto ma non su questa frase "...magistrati che pensano di potersi sostituire alla volontà popolare nel decidere a chi spetti governare ..." che mi sembra del tutto gratuita e partigiana, se non addirittura una colossale fesseria.
Basterebbe che i nostri (si fa per dire) governanti evitassero di commettere reati e la magistratura, anche la più faziosa (ammesso che esista e io non lo penso) non avrebbe di che indagare.
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